Va in scena al Kroen la notte dei dui (si può dire "dui"? Vabbè, licenza poetica). I veneti G.I. Joe tornato a calcare queste assi come valletti degli inglesi That Fucking Tank, più che mai sulla cresta dell'onda e in cerca di consacrazione in Europa dopo aver suonato sullo stesso palco dei Metallica al Leeds and Reading Festivals dello scorso anno. I Nervous Kid, che avrebbero dovuto presenziare, marcano visita a causa di un infortunio di gioco occorso al batterista.
Anche stavolta battezzo la serata mangiando e bevendo interminati piatti nell'osteria annessa al locale e probabilmente esagero, sia coi liquidi che coi solidi, cosicché, quando alla volta della mezzanotte risuonano i primi giri di basso, sono preda di un preoccupante abbiocco terminale. Mi faccio tuttavia forza e aiutato da un caffè, mi accomodo in prossimità del palco. I G.I. Joe, avevo già avuto modo di scriverlo su queste pagine, non mi fanno propriamente stravedere, ma la tendenza attuale, che vede le parti "caoticosincopate" cedere terreno a rallentamenti drone/doom me li rende assai più sopportabili e apre rosei orizzonti futuri. Certo, le scorie metal/gabber che affiorano di tanto in tanto mi torturano inutilmente i timpani senza spingermi al ben minimo movimento danzereccio, ma in compenso mi è dolce il naufragar fra le stratificazioni vocali e strumentali dei pezzi più dilatati. Soliti venti minuti di concerto, il giusto.
Alla ribalta salgono ora gli inglesi, due facce da pub che ve le raccomando, armati di minimale batteria e chitarra baritono che spiega la sua voce attraverso amplificatori per basso e chitarra. Qualcuno del pubblico che li aveva ascoltati in una loro precedente discesa, è già in fibrillazione e inizialmente il duo dà loro pienamente ragione: battiti semplici e non esageratamente veloci, giri di chitarra efficaci e coinvolgenti senza che si indugi in eccessivi tecnicismi che mi invitano, ormai superata la crisi digestiva, a un salutare headbanging. Alla lunga però l'entusiasmo va scemando perché il gruppo non riesce a cambiar marcia, i momenti si ripetono un po' tutti uguali, senza alcun sussulto e il tiro, che all'inizio ci aveva trascinato, si affievolisce, complice anche un volume della chitarra che non ne valorizzarne le dinamiche. In chiusura, estremo tentativo di salvare un concerto piuttosto deludente, i G.I Joe vengono richiamati sul palco a dar vita a una mostruosa big band con doppie chitarre e batterie, basso e voce: come se gli Hawkwind fossero rinati nella Chicago dei '90. Un diversivo simpatico, ma che non aggiunge granché a quanto si è sentito stasera. Sta quindi a Bruno dei Rosolina Mar, stasera nelle vesti di DJ, risollevare il morale dei presenti a forza di classico Rhythm'n'blues d'annata: finalmente ci si muove per qualcosa.
(luconevpb@hotmail.it)