Trent’anni di Sigillum S: solo una tappa verso l’infinito

Ci sembra parimenti difficile e inutile presentarvi i Sigillum S: difficile perché, in poche righe, è impossibile tratteggiare una carriera dove la quantità delle uscite è seconda solo alla profondità sonora e concettuale che le caratterizza, all’insegna di uno spirito di ricerca che non concepisce l’immobilismo e il mantenimento di uno status;  inutile perché, se state leggendo queste pagine, chi sono dovrebbe esservi ben chiaro. È tuttavia doveroso dedicare spazio a questo fondamentale progetto e l’occasione ce la dà la ricorrenza del trentennale, celebrata con Non Serviam, un monumentale nuovo lavoro (non la solita antologia autocelebrativa…) e con un concerto che si terrà al Lo-Fi di Milano il 16 aprile. In questa intervista con i due artefici del progetto, Paolo Bandera ed Eraldo Bernocchi, abbiamo volutamente trascurato gli argomenti prettamente biografici -per i quali vi rimandiamo al libro Rumori Sacri (Kali Yuga Editions) che a Sigillum S dedica un intero capitolo curato dallo stesso Bandera o al recente Solchi Sperimentali Italia (Crac Edizioni) di Antonello Cresti– per concentrare l’attenzione sul milieu che ha generati e fatto crescere un progetto per il quale l’essere italiano è un mero dato anagrafico.
SODAPOP: Per iniziare vorrei che mi parlaste del terreno su cui i Sigillum S sono germogliati: nella vostra opera si trovano svariati riferimenti a quella comunemente definita Cultura dell’apocalisse, ma è altrettanto evidente che non ci si possa limitare a questa: nella vostra musica mi sembra che un forte afflato spirituale si traduca, invece che in una fuga verso l’altrove, in una forte immanenza. È un’interpretazione corretta?
PAOLO BANDERA: Fondamentalmente, direi che non è sbagliato caratterizzarci così, anche se è secondo me sempre opportuno sottolineare che Sigillum S è prima di tutto il prodotto dell’interazione tra Eraldo e me, nel più ampio contesto di tutti gli altri “contributori”, storici ed attuali. In questa logica, le nostre diverse sensibilità e predisposizioni sono al tempo stesso allineate su territori comuni, ma anche cariche di prospettive divergenti: proprio dalla peculiare matrice multi-dimensionale che si genera dal contrasto scaturiscono le forme più inaudite ed interessanti ! Siamo esploratori e teorici eretici, ma anche provocatori e scienziati sonori; affrontiamo il caos per comprenderlo, ma anche semplicemente per goderne, quindi, scorrendo con passione le nostre infinite derive concettuali e sensoriali, mentre filosofeggiamo di rumori meta-reali apriamo anche percorsi potenzialmente meditativi. Se agiamo separati, le nostre tendenze singole si declinano implicitamente in modo più delineato, dai miei estremismi psico-geografici alla trascendente  densità emozionale di Eraldo. In ogni caso, in Sigillum S serpenti che schiacciano universi si susseguono “per definizione” a demoni molecolari, a bizzarri furori psicotici o a mille altre perversioni audio-concettuali, in una cadenza senza fine di virate impreviste.

sigillum s interv 1SODAPOP: Venendo invece al lato prettamente musicale della faccenda, nei primi tempi, chi vedevate come ispiratori e chi come compagni di strada?
PAOLO BANDERA: Al di là delle singole influenze individuali (diverse ed eterogenee, come spesso anche “pubblicamente” indicato), penso che sia indubbio come (soprattutto quando abbiamo iniziato) le nostre coordinate stilistiche e tematiche siano state tracciate da Psychic TV, Current 93 e Coil. Nel nostro processo di evoluzione, però, hanno certamente avuto un ruolo fondamentale gli artisti che hanno condiviso con noi palchi e/o registrazioni: in ordine sparso, citerei (focalizzandomi soprattutto, come dici, sui “primi tempi”) F:A.R., TAC, Gerstein, Ain Soph, Capricorni Pneumatici, Z’ev, Phallus Dei, Dive… e molti altri, ovviamente !
Più di tutti, ritengo infine rilevante sottolineare il ruolo delle etichette che ci hanno supportato agli inizi, da ADN a Minus Habens, Cthulhu, AWB /  Bloodlust! e soprattutto dei nostri amici / collaboratori, in primis Claudio Agostoni (Bandauciel), Andrea Cernotto (The Sodality), Andrea Chiaravalli (Iugula-Thor), Emanuele Carcano (Gerda Schlass, Haydee Mismass), Milo Sacchi e Mark Solotroff (Intrinsic Action, Bloodyminded), senza dei quali Sigillum S sarebbe stato certamente un progetto completamente diverso.

SODAPOP: I Sigillum S sono visti come un gruppo post-industriale, collocazione ribadita da Paolo sulle pagine da lui curate in Rumori Sacri. Ritenete ancora valida questa collocazione? Lo chiedo perché in quest’ambito vedo, non da oggi, una certa staticità se non addirittura un certo compiacimento per il mantenimento di posizioni acquisite, all’insegna di un estremismo un po’ vuoto, un discorso che mi pare riguardarvi poco.
PAOLO BANDERA: Metodologicamente e culturalmente ribadisco il nostro posizionamento in un contesto che non può che definirsi “post industriale”, in quanto inserito a valle di un solco tracciato inizialmente dalle schegge deviate dell’ Industrial Culture (nella definizione originale di Re/Search) penso sia rilevante esprimere su questo un pensiero forte in un’epoca debole !
Al tempo stesso però, fin dagli inizi, Sigillum S ha perseguito “l’oltre” in forma ibrida tra contemporaneità ed infinito, andando quindi ad attualizzare costantemente tematiche, forme e strumenti. Conseguentemente, ci troviamo ora più a nostro agio in super nicchie di esplorazione esoterica degli spazi galattici tra suono e mutazione genetica che in “storicizzate” forme di tattiche shock, valide in certi tempi/modi ed ora probabilmente annacquate da usura temporale ed ubiquità mediatica via web.

sigillum s interv 2SODAPOP: Venite da un ambito dove spesso il contesto (immagine, grafiche, performance) aveva pari peso, se non maggiore, del suono, anche, immagino, per via di oggettivi limiti tecnici ed economici che rendevano al tempo non facile l’accesso a una registrazione professionale. L’attenzione alla qualità del suono è invece una cosa che vi ha sempre caratterizzati. Da dove vi viene questa caratteristica? Quello che realizzavate vi soddisfaceva pienamente dal punto di vista della resa?
ERALDO BERNOCCHI: È sempre stata una mia mania, una passione bruciante se vuoi. Non a caso, adoro produrre gruppi. Certo all’epoca non era così facile produrre materiale che suonasse in maniera professionale. Per dirla tutta credo sia stato un grande vantaggio, perché abbiamo dovuto arrangiarci con i pochi mezzi che avevamo E fare in modo che tutto suonasse al meglio possibile. Non è stato facile, ma era comunque una continua sperimentazione, una ricerca che ho traslato poi nella mia carriera solista, sia come artista che come produttore.

SODAPOP: Proprio a questo proposito, fin da subito, come singoli musicisti, vi siete dimostrati interessati a collaborazioni sia come Sigillum S, sia fuori da esso. Le esperienze maturate fuori dal gruppo lo hanno in qualche modo arricchito e ne hanno influenzato il percorso?
ERALDO BERNOCCHI: Sicuramente si, ogni esperienza arricchisce la tavolozza di colori le sfumature sonore che possiamo poi utilizzare live in studio. E’ un limite che ho sempre trovato nell’ambito italiano, la poca voglia di collaborare, rimettersi in gioco, di provare a fare cose nuove, che non fossero necessariamente derivative. Quindi si siamo stati arricchiti da tutto questo oltre che ora arrivati, io ad esempio detesto lavorare da solo. Lo trovo un esercizio di masturbazione mentale che non fa per me.

sigillum s interv 3SODAPOP: Pochi anni prima che voi nasceste i Throbbing Gristle registravano una session negli studi di Radio RAI: quando avete iniziato qual era la situazione, le possibilità di diffondere materiale e i posti dove si poteva suonare dal vivo? Mi piacerebbe che tratteggiaste un quadro di com’era l’ambiente che portava a sviluppare certi discorsi musicali, magari aggiungendo qualche aneddoto, se ne avete.
ERALDO BERNOCCHI: Beh, certamente non era facile come oggi. Però dall’altro lato il pubblico che veniva a vederti lo faceva per vedere te su quel palco; venivano per vedere noi come tanti altri, ma erano interessati realmente a ciò che accadeva. La diffusione del materiale non era accessibile come oggi, dove hai tutto on-line e teoricamente raggiungi milioni di persone, mentre in pratica raggiungi molto meno perché il tuo lavoro si perde in un magma di altre migliaia di alternative. Quindi, non importa quanto tu abbia lavorato su qualcosa se non hai la possibilità di promuoverlo adeguatamente. Quando abbiamo iniziato noi era molto diverso: il materiale da distribuire, i concerti, locali, negozi di dischi e soprattutto si usava il mail order. Ti posso assicurare (e sembra incredibile) che noi piazzavamo veramente un sacco di materiale in questo modo. A Milano abbiamo avuto la possibilità di suonare in posti ai quali dobbiamo tanto come l’Helter Skelter, all’interno del vecchio Leoncavallo, un’area autonoma gestita da punk latori di cultura alternativa che rifiutavano ogni politicizzazione e poi Conchetta / Cox 18. Sono loro che ci hanno supportato, dato la possibilità di suonare, dato la fiducia di organizzare serate. Se devo essere sincero al 100%, a prescindere da Sigillum S, io personalmente sono ciò che sono anche grazie a loro.

SODAPOP: Da chi era costituito il vostro pubblico in quel periodo?
ERALDO BERNOCHI: All’Helter Skelter e in Conchetta, dove sono tornato a suonare un paio di anni fa con Obake, c’era un pubblico misto, un po’ di punk, un po’ di gente della scena post industrial, anche qualche metallaro, a volte dei dark. La cosa più importante da sottolineare, come ti ho accennato prima, è che quelli che venivano a vedere noi come altri gruppi post industriali, ci venivano per vedere noi, non per passare una serata. Divento pazzo quando suono dal vivo e sento la gente che parla e cazzeggia al bar, ogni volta mi chiedo perché non restino a casa. Ai tempi, anche grazie alla mancanza di limiti alla pressione sonora, cosa che c’ha fatto ben conoscere per aver sfondato almeno 3-4 impianti, non sentivi volare una mosca a quei concerti.

SODAPOP: L’arrivo di Petulia Mattioli ha cambiato Sigillum S? Mi spiego meglio: avete iniziato a far musica che tenesse conto della presenza delle immagini o lei è venuta a completare qualcosa che, sebbene inespresso, era sempre stato presente nel progetto?
ERALDO BERNOCCHI: Fino dall’inizio Sigillum S è stato concepito come un progetto multimediale (passami il termine che ormai è super abusato e puzza di carogna), quindi l’uso delle immagini, ferme o in movimento, è parte integrante. L’arrivo di Petulia ha cambiato radicalmente l’approccio, perché un conto è ciò che facevamo noi, dilettanti dell’immagine, un conto è ciò che fa una professionista e un’artista visiva. Quindi abbiamo ben volentieri passato il testimone a lei e ne siamo felicissimi. Dal punto di vista visivo adesso il progetto è realmente completo e ne abbiamo tratto vantaggio anche evitando la solita figura “italiana”, dove tutti fanno tutto e niente in maniera decente.

sigillum s interv 4SODAPOP: Siete musicisti italiani che si sono sempre rapportati con l’estero. Il provenire dalla penisola lo avete vissuto come un limite o è stato ininfluente? E vi sembrava di essere percepiti in modo diverso rispetto a gruppi provenienti da altre nazioni? Ve lo chiedo perché notavo con diverse persone che, almeno ultimamente, qualsiasi musicista italiano che abbia riscontro oltre confine (concerti, uscite discografiche…), sparisce dal nostro orizzonte, anche da quelli autoproclamati più aperti. Un atteggiamento di quasi censura che lascia straniti: mi chiedo se sia sempre stato così.
ERALDO BERNOCCHI: All’estero provenire dalla penisola non ha alcun tipo di influenza, una volta che riesci a far capire che non sei uno che fa la canzone italiana tutto va in automatico. Le cose cambiano radicalmente invece in Italia, dove per anni rimani relegato in quel ghetto giornalistico che appare, o meglio appariva, sulla maggior parte delle testate mensili come “speciale Italia”. Un po’ tipo le quote rosa, una specie di parco nazionale zoo per i musicisti italiani, che all’estero sono considerati esattamente alla stregua di tutti gli altri, mentre in Italia no, perché noi amiamo essere tanto provinciali e quindi prima di poter fare il salto tra “gli altri” devi stare qualche anno in purgatorio.
Questo paese soffre di una malattia infame (totalmente incurabile perché parte del DNA italiota),  l’invidia: la maggior parte dei musicisti italiani che fanno cose all’estero sono guardati da principio con ammirazione, in genere per le prime 3-4 uscite, poi invece inizia l’invidia. E’ un processo attraverso il quale si tende a sminuire ciò che hanno realizzato, facendoli apparire come quelli che lavorano con Tizio o Caio invece di chiedersi perché ci lavorino, se hanno dei meriti, se hanno dei talenti, se hanno proposto cose interessanti e quindi collaborano con certi artisti… sono 40 anni che faccio musica, è ben poco è cambiato!

SODAPOP: Per chiudere questa prima parte, una domanda a cui un gruppo che compie trent’anni non può sottrarsi: da quando siete partiti le cose nell’industria discografica (ammesso che si possa chiamare industria l’ambito entro cui vi muovere) sono cambiate: da edizioni casalinghe dove il packaging aveva un valore spesso non secondario alla musica che conteneva si è passati alla distribuzione in rete. Come la vedete? Personalmente da un lato questa “immaterialità” mi affascina, dall’altro fatico a pensare che questa mancanza di una parte fisica non rappresenti una perdita.
PAOLO BANDERA: Il lato materiale di quello che facciamo è per noi imprescindibile: non penso sia concepibile affrontare quello che perseguiamo senza addensare il suono in un simulacro fisico che ne esalti dimensioni e profondità. L’infrastruttura che il web fornisce è assolutamente funzionale al contatto diretto ed alla distribuzione/comunicazione non intermediate. Questo però non assolve la modalità liquida/istantanea della fruizione digitale di rete dall’inevitabile penalizzazione di qualità/attenzione ridotte al minimo, in uno svilimento banalizzato ed omogeneizzato anche dal l’annullamento delle linee temporali.  Scorriamo perciò grondanti estasi digitale le aree mediatiche sociali, ma Sigillum S non esiste in pieno se non nei singoli manufatti e nelle manifestazioni sul palco.



foto di Stefano Oflorenz.
Un ringraziamento speciale ad Andrea “Mingle” Gastaldello per aver reso possibile questa intervista.