Nicholas Remondino – meno, meglio, musica.

Di recente ho avuto occasione di ascoltare Nicholas Remondino in diverse vesti, leggendo diversi articoli ed approfondimenti, scoprendo un musicista che tocca diversi mondi musicali. La prima opera ascoltata che lo vedesse coinvolto è stato l’esordio di Vieri Cervelli Montell, che avevo scoperto arrivando ai suoi musicisti. Poi Massimo SIlverio, Any Other ed altri ancora…In questo caso ho approfittato di una spedizione alla mia persona di tre dischi per cercare, insieme a lui, di abbozzare non un ritratto bensì un percorso di uno dei musicisti più intriganti dell’attualità…

SODAPOP: Ciao Nicholas! Per posizionarti inizialmente, di che classe sei?

NICHOLAS: Sono del 1993.

SODAPOP: A che punto della tua vita hai iniziato a suonare? E quando a concretizzare il suono tramite incisione e composizione?

NICHOLAS: Allora, diciamo che a suonare ho iniziato da molto piccolo, direi a quattro anni gicocando. Poi da lì in realtà ho fatto una breve pausa perché ero preso da altro, alle medie ho iniziato a prendere lezioni ed ho iniziato con le prime band e le prime situazioni più rock ai tempi, però diciamo che è nata subito e velocemente una curiosità che andava abbastanza alla ricerca di approcci sperimentali, più che di ricerca. Una cosa abbastanza naïf che mi attirava e nella quale mi gettavo a capofitto ed ho avuto delle epifanie con la musica più psichedelica ma anche quella più rock e dadaista.

SODAPOP: Che tipo di dischi od artisti sono stati angolari in questo senso, aprendoti alcune porte?

NICHOLAS: Beh, sicuramente sono partito da questo libro dove c’erano segnate delle pietre miliari ed io iniziai a pescare da lì, trovando dal nulla Rock Bottom di Robert Wyatt, Tago Mago dei Can, i Pere Ubu, i Residents, cose che mi hanni portato verso cose ancora più aperte. Da lì è stato un attimo passare a Free Jazz di Ornette Coleman e l’improvvisazione diciamo. Però anche i Pink Floyd, lasciandosi più porte aperte…

SODAPOP: Inevitabile il lasciarsi anche più ambiti aperti al tempo! Tu fai anche degli studi accademici di musica, corretto?

NICHOLAS: Sì, vari…insomma, prima un approccio più trasversale, legato al conoscere i vari generi con vari insegnanti fra Torino ed il Piemonte nel periodo medie e liceo, poi da lì, capendo quanto mi interessava il jazz ( o per lo meno pensavo mi interessasse), specialmente quello nord europeo, ECM e relative uscite, mi ha portato all’accademia Chigiana ed a Siena Jazz, l’unica scuola nella quale c’era un insegnante che incideva per ECM, il pianista Stefano Battaglia, con cui ho studiato improvvisazione e che mi ha messo a posto un po’ delle cose in testa, facendo ordine col suo metodo, è stato importante. Ma anche altri insegnanti come Alessandro Giachero, un altro pianista con cui avevamo un gruppo chiamato Sonoria col quale facevamo un’improvvisazione molto disciplinata, vicina alla contemporanea. Ai tempi ascoltavo molta musica del ‘900 legata alle avanguardie, colta diciamo, però pensando ai suoni dell’improvvisazione.

SODAPOP: Oggi ragionavo sulla batteria e sulla percussione in generale, Credo che, insieme alla voce, sia il suono più antico e primordiale. Quando qualcuno picchiando un oggetto su un altro creò rumore, fece partire una pratica che è rimasta, ovviamente con le dovute evoluzioni, invariata nei millenni. La semplciità della percussione e dell’estrazione sonora. Questa cosa si sente? Sentite il peso di fare qualcosa che è nato ai promordi e non uno strumento costruito?
Tu sei partito dalla batteria per poi fare anche altro. Come si è costruito il tuo legame con lo strumento?

NICHOLAS: Sicuramente come abbiamo detto è partito dal gioco, poi è stato supportato da mio papà che come hobby aveva quello del suonare. In case c’erano strumenti, c’era una batteria..io iniziai percuotendo roba sul letto ma poi arrivò proprio una batteria giocattolo e sicuramente da lì è iniziato un percorso dove l’ho studiata anche tanto, con parecchi momenti di accanimento legato allo studio dello strumento, dei suoi quattro arti, dei tamburi che controlli con gli arti. Poi è iniziata questa fase del ridurre fino all’osso, tramite le improvvisazioni e gli incontri prima citati. Sono passato da lì, andando a distruggere il suono reputato normale, prima pensandolo come strumento elettronico, studiando l’imitazione fedele sui timbri, poi da lì ho sempre tolto, passando alla grancassa, un tamburone con una grande superficie che puoi sfruttare. Ora è la parentesi povera legata alla fase primordiale. Mi trovo ora ad essere interessato a legni e pietre anche in assenza dei tamburi. Una cosa che prima snobbavo anche, preferendo approcci più sofisticati, mentre ora i materiali poveri mi interessano molto. Questo senso ancestrale, spirituale, è sbocciata con questo suono povero e minimale. Anche la voce, che citavi all’inizio, c’è tantissimo in questa ricerca, di pari passo con questa attitudine alla povertà. Il lavoro va in quella direzione, voce e percussione.

SODAPOP: Da musicista cosa ti ispira? Elabori input esterni? Cosa ti smuove? Parti automaticamente vedendo gli strumenti o l’ispirazione, (con tutti gli annessi e connessi) ti danno il là? Come funziona il tuo giocare con la batteria?

Nicholas. Anche qui la questione si è aperta tantissimo negli ultimi due.tre anni, in cui mi sono sempre più trovato a cercare fuori dallo strumento, cercando più la vita che il suono dello strumento, che è una cosa che ci viene per la maggior parte dalle scuole, chidendoti di studiare tanto. Pratica che ci sta e che non rinnego, ma ora mi ispira molto di più una dimensione spirituale e legata al vivere delle cose, all’esperienza nella natura e di espansione di un sentire interno. Una cosa per me molto imposrtante in questi anni, una sorta di ricerca del sacro attraverso al suono, una cosa che c’è stata in latenza ed in maniera generica, ma che ora ricerco direttamente. Questo è ciò che mi ispira ed è legata ai luoghi, alla natura ma soprattutto ai luoghi dove certa materia può vivere. È un lato connesso alla creazione e ci sono vari livelli: in studio si attivano cicli interni di creazione, c’ê sempre qualcosa di molto diretto e che gioca con le emozioni. Non voglio sofisticare troppo il pensiero, sovrastrutturando. L’istinto è sempre molto presente al di là dello strumento, con un approccio aperto alle elettroniche con synth e campionatori, ma anche strumenti come pianoforte e la voce.

SODAPOP: Suoni in diverse situazioni. In alcune di esse sei centrale ed in altre sei parte di gruppi formati, a tratti sei più mente ed a tratti braccio. Cosa cambia questo nel tuo modo di porti tra esecuzione e creazione?

NICHOLAS: Diciamo che l’aspetto principale, al centro, è il timbro, la ricerca e la cura del timbro, sia per una canzone o per un linguaggio più destrutturato, di ricerca o più ostico. Cerco quello. La canzone mi ha accompagnato tantissimo ed è pensata nelle sue forme piìù ampie: riuscire a convogliare anche la ricerca più estrema dandogli forme diverse come quelle della canzone mi incuriosisce molto negli anni e sicuramente mi ha dato anche tanto nell’aspetto dell’arrangiamento, collaborando con progetti non miei c’è un lavoro streto di arrangiamento che è quasi scrittura, con canzoni all’osso che mi piace andare a vestire con quello che posso dare anche in maniera radicale e riconoscibile su quella canzone. Questo mi interessa moltissimo ed ho fatto con Vieri Cervelli Montel, Massimo Silverio ma anche con Any Other. Nella sfera della canzone c’è un’apertura che mi interessa molto, ed anche un’interesse personale in un progetto mio al quale sto lavorando e che sta andando in quella direzione. Ovviamente negli approcci legati ai miei progeti finora c’è stato più l’altro approccio, l’altra parte di ricerca, dove ovviamente ero interessato ad andare nelle direzioni più estreme che sentivo con Lamiee, Oort ma anche McCorman venendo dall’imporvvisazione jazz rimanendo aperto. Ma non sento molte differenze né di andare a fare troppi compromessi, certo c’è stato da studiare per poterci stare dentro.

SODAPOP: Sei un ascoltatore oltre che musicista? Segui l’attualità oppure sei troppo preso dal tuo mondo?

NICHOLAS: Sono stato un ascoltatore onnivoro anche fin troppo attivo, ma c’è stato un cambio anche in questo campo, nell’ascolto e nella scelta. Mi sono ritrovato ad avere un ascolto depotenziato da troppa roba, un po’ meno concentrato e più lascivo. Lo scegliere invece mi ha dato molto e sicuramente l’allontanarmi dai servizi di streaming mi ha aiutato, in questo momento rinunciandovi mi sono trovato ad apprezzare molto di più meno cose. Ascoltando molto meno con più amore, un cambio profondo e molto cercato, allontanandosi un pochino dal voler sempre essere sull’attualità. Troppa roba che mi sommergeva: l lavorare più sul mio materiale mi ha fatto scremare gli ascolti. Ci sono stati momenti dove quel che stavo facendo era anche quello che volevo ascoltare, una sensazione molto forte!

SODAPOP. In questo poco cosa ti ha fatto innamorare negli ultimi anni? Cosa rappresenta la tua idea di bellezza musicale?

NICHOLAS: Pochissime cose recenti. Mi sono innamorato di cose già uscite, andando verso la ricerca di quel suono sacro che citavo prima, legato quindi a musica corale ed allo stesso tempo linguaggi come lo shoegaze, legati al rock ma che mi da la stessa sensazione di suono immersivo. Ho cercato in questo senso, anche tramite autori contemporanei. Da lì tanti ascolti di etichette che seguo, cose di ricerca insomma.

SODAPOP: Al momento su cosa stai lavorando? Cosa vedrà la luce nei prossimi tempi?

NICHOLAS: Ci sono progetti non miei ai queli sto lavorando, cose che ancora non sono uscite, lavorando a stretto contatto con la produzione, in studio a 360 gradi al di là delle percussionei e di pari passo lavoro a cose mie che vanno in direzione canzone. Un progetto che ancora deve nascere ma al quale sto lavorando e che andrà lì: suon povero, percussioni, voci, i miei ascolti…una summa del genere. Un po’ un arrivo, cose che si muovono a livelli profondi e vedremo cosa succederà.

SODAPOP: Hai lavorato con diverse etichette di qualsiasi provenienza, dimostrandoti un bel viggiatore. Lavorare con così tante persone diverse, come musicista, quanto tempo ti occupa? Oltre al suonare ed tessere relazioni come ti muovi nel mondo reale?

NICHOLAS: Sono musicista. Principalmente suono, lavoro su progetti di altri ed i miei. Lavorando con così tante situazioni le energie spese sono molte ed a volte non è facile serbarne per le proprie idee. Appunto perché sono tante cose credo sia importante cercare l’equilibrio anche sul fare. È una cosa che sento anche nei musicisti si tende ad occupare tutto il tempo col suonare e non è una cosa che mi interessa molto. Può sembrare che sia molto impegnato però cerco di avere un equilibrio che mi dia respiro altrimenti si sente che l’energia creativa scende. Non è illimitata ed ha bisogno dei suoi ritmi, altrimenti è tosta.

SODAPOP: Con questo agire su più livelli e più mondo la tua musica arriva a diversi pubblici. In questi anni hai percepito una fan base? Delle persone che ti seguono attraverso i progetti? È una cosa importante sapere di potersi esprimere con qualcuno che al di fuori ci seguirà e ci ascolterà?

NICHOLAS: Diciamo che mi interessa fare un lavoro anche proprio sull’ascolto, nel proporre delle cose di relazione con il pubblico che vadano proprio su questo punto (cosa che riesco a fare maggiormente con i miei progeti in solo essendo più diretto). Diciamo che al di la di tuto so che c’è una fetta di pubblico che segue e conosce il mio approccio trasversale seguendo una cosa aggiormente rispetto all’altra. Magari l’aver messo più in luce i progeti sul songwriting mi ha dato accesso ad un pubblico meno di nicchia, mentre con le cose più di ricerca il pubblico è molto meno italiano, anche le connessioni con etichette estere è molto più facile che porporre cose simili sul territorio italiano.

SODAPOP: A livello di percezione, storicamente in Italia mi sembra ci sia sempre stato uno zoccolo legato alla musica sperimentale, poi non so come sia all’estero. Che tipo di percezione hai come musicista?

NICHOLAS: Rispetto al live mi sembra che il nome di cartello straniero sia sempre più attrattivo rispetot all’italiano. Ci sono delle cose, ci sono tante cose in Italia ma diciamo che le etichette sono un pelo più chiuse diciamo. Ho trovato questa cosa a livello europee, dove da situazioni americane trovi risposte molto più aperte. Ho trovato questa etichetta, Dinzu Artefacts dove sono usciti diversi artisti italiani, con una linea precisa e con la quale siamo usciti col primo disco Lamiee. Mi sembrava ci fosse una linea più chiara mentre in Europa si tende a ragionare con situazioni più sicure e meno propense aquesti tentativi. Poi magari le situazioni si sbloccano e si riesce a proporre in maniera più facile ma di norma non ?e così semplice.

SODAPOP: Ho l’impressione che ad ogni progetto ci si ritrovi ad iniziare da capo. Pensavo che, facendo uscire tre progetti all’anno e conquistando qualche ascoltatore all’anno, ci potesse essere una piccola crescita a livello di pubblico. Ma questo, stranamente, non succede mai.

NICHOLAS: Diciamo che c’è questa cosa del blasone. La gente si sente più sicura ad andare in luoghi dove sembra che la musica sia più attrattiva rispetto a rassegne che magari continuano a proporre cose da anni facendo il proprio lavoro. Ho suonato a Jazz is Dead con Massimo Silverio e, non essendo un aproposta ultrasperimentale ma comunque di avanguardia, c’erano delle belle proposte toste. Non assurde, anche codificate ora, ma c’era un’infinità di gente che ballava e che negli anni, suonandole in situazioni più sgangherate, non trovi che in minima parte un riscontro del genere. Negli ultimi anni alcuni festival col nome hanno fatto scelte più coraggiose a livello di ricerca.

SODAPOP: Cosa buona perchê se si riesce ad andare in profondità senza traumatizzare si può riuscire a riscuotere l’interesse, ma anche il contesto è importante. Se siamo in un centro Sociale di periferia dove da tre anni ci sono le stesse diciotto persone è più difficile entrare e scardinare questa dinamica. Se al Jazz is Dead chi ê arrivato per Rob Mazurek si trova anche i Godflesh e Massimo Silverio è facile che riesca ad assorbirli in maniera più semplice. Su quest’onda ti lascio l’ultima domanda: hai fondi illimitati, devi suonare, ma accanto a te, ad un tuo progetto devi trovare altri due band od artisti da far suonare. Chi ti scegli?

NICHOLAS: Allora. Direi la Messa Arcaica di Franco Battiato (opera non molto conosciuta, ma che nell’ultimo periodo mi sta donando molto), poi Rie Nakajima e Pierre Berthet (uno dei live assoluti del cuore, meraviglia vera), Björk (che mi sono ingiustamente dimenticato prima quando parlavamo dei miei ascolti liceali. Biophilia, Debut, Selmasong mi hanno cambiato la vita).
Ma la rassegna sarebbe veramente completa solo con i My Bloody Valentine che rifanno Loveless, Adrianne Lenker ed il Kyiv Chamber Choir che eseguono le opere corali di Valentin Silvestrov.

SODAPOP: Amen, grazie mille Nicholas!

Nicholas. Grazie a voi!