Una rassegna come RUMUR avrebbe meritato un tempo ben maggiore di quello che, per problemi di lavoro e faccende domestiche, abbiamo potuto dedicarle; è però uno di quei casi dove ogni parte rivela lo spirito del tutto e, pur avendo assistito solo ad alcune delle esibizioni, siamo certi di poterne parlare con piena cognizione di causa. Risaliamo la Val Camonica nel tardo pomeriggio di sabato, con l’Adamello illuminato dall’ultimo sole a indicarci la direzione; la strada l’abbiamo percorsa diverse volte, ma mai c’era stata l’occasione di sostare a Cedegolo. Il paese della media valle, posto sulla riva sinistra dell’Oglio, ci accoglie con la vecchia centrale idroelettrica dell’Enel, ora trasformata in moderno museo dell’energia, illuminata come fosse ancora attiva. Lo è, in un certo senso, perché sarà lei, nei panni di enorme oggetto sonoro, la protagonista assoluta di questi due giorni che si dipaneranno fra performance, installazioni e conferenze che faranno sì che l’edifico in parte riviva e in parte reinventi sé stesso. C’è solo il tempo per buttare un occhio alla stanza del merchandising prima che le frequenze che annunciano l’inaugurazione del Laboratorio Marino Zuccheri, riempiano gli ambienti. È la prima esibizione della serata e sembra ridare voce alle grandi turbine poste nell’immenso open space del piano terra, sensazione bissata con il successivo concerto di DMNTPS: i macchinari analogici, molti provenienti dagli archivi del MUSIL, altri dalla collezione di WK 569, evocano lo spirito del luogo risvegliando i fantasmi delle macchine, mentre gli spazi della centrale modificano il suono a seconda della posizione d’ascolto, consentendo esperienze auditive inedite e affascinanti. Nei sotterranei, dove il palco è già allestito in attesa dei concerti di Marta De Pascalis e Von Tesla che si terranno oltre la mezzanotte, gira in loop il corto Canale Di Scarico e si mostrano, in un anfratto dalle pareti di pietra, i disegni di Achille Molinè. Al livello superiore un’altra stanza nasconde, dietro una tenda, Pelton, bella installazione curata da Otolab, mentre nella zona turbine Carlo Giordani con Dighe e Lorenzo Apolli con di L’Oro Bianco E Altri Racconti, aiutano ad approfondire la storia del luogo che ci ospita e del territorio circostante. Poco distante continuano i concerti: fra due enormi tralicci, Laura Agnusdei propone la sua elettroacustica sognante e narrativa a un pubblico eterogeneo, indigeni dagli 8 agli 80 anni e forestieri saliti fin qua per l’evento. Più tardi sarà la gioventù locale, venuta a far serata ed ascoltare suoni diversi ma forse non così indigesti anche per un pubblico generalista, ad affollare le sale dell’ultimo piano. Lì, con le grandi vetrate che fanno spaziare lo sguardo sui rilievi circostanti, Neunau gioca in casa e ripropone la sua techno concretista a commento di immagini che rivelano le fonti sonore e gettano un ponte ideale fra il luogo e la poco distante diga del lago Pantano. A seguire le imprevedibili traiettorie elettroniche di dTHEd e la più lineare proposta di Lorem, con disturbanti proiezioni mutaforma, chiuderanno la serata del piano superiore. Per chi resta lo spettacolo prosegue ai piani inferiori, per noi invece la trasferta finisce qui, ma resta negli occhi e nelle orecchie un evento riuscitissimo, capace di far uscire la musica, e più in generale la cultura, dai soliti ambiti ghettizzanti, confrontandosi con le istituzioni e trovando nuovi spazi e nuovo pubblico. Ce ne vorrebbero di più di serate così, ma, per ora, ci accontenteremmo di sapere che ci sarà un RUMUR Volume 2.