Difficile rendere con una recensione o il report di un concerto cosa sia Murmur Mori. È difficile capirlo anche se assistete a un loro live ma vi perdete le conversazioni del dopo, che continuano e ampliano quanto appena ascoltato mettendo in comune esperienze e conoscenze. Questo perché, avevamo già avuto modo di farlo notare, per Mirko Volpe, Kuro Silvia e i musicisti che girano intorno al progetto, le canzoni sono solo la punta di un iceberg sotto cui resiste e preme una cultura millenaria che è quanto mai necessario tenere viva diffondendola attraverso tutti i canali possibili. Ecco dunque i concerti-conferenza (ve ne abbiamo parlato qualche mese fa) o i live in luoghi ricchi di senso e le parole durante e dopo le esibizioni; ecco anche questa intervista che cerca di cogliere questo spirito approfondendo alcuni discorsi presenti sul disco e iniziandone di nuovi a loro collegati.
SODAPOP: Per cominciare direi di presentare ai lettori il percorso che vi ha portato ad essere qui ed ora come Murmur Mori. Quali sono state le vostre esperienze precedenti?
MURMUR MORI: Ciò che ha dato vita ai Murmur Mori per quel che mi riguarda è completamente slegato da ogni mia esperienza passata. Murmur Mori nascono dall’ambiziosa e difficile esigenza personale di voler restituire alla musica la sua funzione “primitiva” e “rispettabile”, un linguaggio antico ed accessibile a tutti, più simile ad una fonte di informazioni utili per il popolo che ad una terribile e limitante forma di “intrattenimento” che come dice la parola stessa, trattiene.
SODAPOP: Murmur Mori è un’entità in continuo mutamento: da una forma piuttosto libera con O vira decisamente sulla narrazione folk in Radici. Ci spiegate la genesi e le ragioni di questi cambiamenti? Sono cambiati anche i vostri riferimenti musicali?
MURMUR MORI: O nasce dal fascino che hanno avuto su di noi le visite e le ricerche effettuate su alcuni siti archeologici megalitici limitrofi alle zone in cui viviamo. Molti boschi del nord Italia ospitano ancora i resti di antiche abitazioni, spesso difficilmente databili ma classificabili come appartenenti in un periodo compreso dal neolitico all’età del ferro, quelle pietre incredibili ci hanno portato alla mente immagini di antichi popoli italici e poi celtici che si rapportavano alla Natura alla quale erano visceralmente legati, difatti essa era parte fondamentale della loro quotidianità e veniva vissuta con ritmi e leggi naturali.
Radici è cronologicamente più “moderno” cantando degli ultimi momenti in cui gli esseri umani, seppur ancora in parte legati alla Natura dalla vita agricola o pastorale, iniziavano a prendere definitivamente le distanze da essa, inventando regole artefatte che hanno portato il nostro pianeta ad essere mera fonte d’energia dalla quale attingere senza rispetto oppure un problema da dover controllare e gestire, come se la Natura avesse bisogno di noi e delle nostre leggi. Riguardo ai cambiamenti di sonorità, una volta hanno definito la musica di Murmur Mori “organica’’, mi è piaciuto moltissimo come aggettivo e credo che si possa dire che O sia uno “scheletro” legato a temi di un passato ancestrale che per carenza di fonti lascia inevitabilmente maggior spazio alla creatività, mentre Radici sia di “carne”, cantando di temi molto più familiari e cronologicamente vicini a noi, riportando alla memoria fiabe e leggende offuscate nei ricordi d’infanzia di molte persone.
SODAPOP: Mi pare che O inscenasse un’adesione alla natura sensuale ed emozionale mentre Radici vada più in profondità mettendo al centro la questione del rapporto culturale dell’uomo con essa, un rapporto sempre mediato da figure liminali (il Götwiarhini, Colapesce, l’eremita…). Come avete selezionato le storie e quali sono state le vostre fonti d’ispirazione nel mettere in musica i contenuti?
MURMUR MORI: Le fonti sono state i parenti vecchi e che non ci sono più, come la mia amata zia che non perdeva occasione per raccontarmi tante antiche storie di paese quando ero piccolo, ovviamente poi tanti libri e tante visite nei luoghi direttamente interessati da queste leggende. Si può trovare un filo conduttore tra i due dischi, ovvero il rapporto della razza umana con la Natura, da una totale dipendenza ad un fallimentare distacco che si sta ritorcendo su se stesso e la prova ne è l’inarrestabile allontanamento dalla città che stiamo vivendo in questi ultimi tempi.
SODAPOP: In questo disco si possono trovare tantissimi percorsi di lettura, anche al di là di quelli che proponete nel libretto; vorrei provare a isolarne alcuni e fare qualche riflessione. Il primo direi che riguarda la morte, citata in varie forme in un quasi tutti i brani mentre al giorno d’oggi – se si escludono certe sottoculture che ne fanno un uso provocatorio o al limite del morboso – rappresenta un autentico tabù…
MURMUR MORI: Come dicevamo all’inizio, anche la musica è mutata e si è adattata a quelle che sono le nuove esigenze delle persone. Oggi, in campo artistico e non, gli argomenti vengono spesso affrontati in maniera monotematica; spesso si parla o solo di morte o solo di vita, o solo di amore o solo di dolore e tu puoi incasellare ed etichettare tutto ordinatamente… In passato il contatto con la propria esistenza era più reale e dalla vita si prendeva ed accettava tutto con naturalezza e senza ipocrisia, nel bene e nel male. Ricordo che mia nonna mi diceva che un tempo, quando i vecchi in paese morivano non ci si scervellava troppo per capire di che cosa fossero morti, erano semplicemente vecchi e morivano. Era sufficiente così. La Morte era parte della Vita, nulla di strano, ci si confrontava con essa come ci si rapportava con le altre cose quotidiane. Le fiabe e le leggende che abbiamo musicato sono antiche ed ai bambini in passato non si nascondeva la figura della Morte, la domanda stessa è la prova del fatto che ad oggi parlare di Morte in maniera semplice e senza attribuirgli altri significati intrinsechi suscita un certo interesse, in realtà non avevamo nemmeno fatto caso a questo dettaglio di Radici!
SODAPOP: Sono evidenti anche i richiami a sapienze e tradizioni antiche. Il Götwiarghini, Giovannin senza paura e l’eremita aderiscono perfettamente all’immagine che Carlo Ginzburg illustra dello sciamano nel suo libro Storia Notturna: il primo porta agli uomini conoscenze che vengono da un’altrove, il secondo compie chiaramente un viaggio iniziatico, il terzo vive ai margini della società come coloro che possono trattare con i morti. Li vedete come idee che possono essere in qualche modo (re)integrare o si possono porre solo in contrasto con la nostra società?
MURMUR MORI: Nell’immaginario popolare vi è il riflesso delle esigenze che le persone hanno avuto in determinati periodi storici, esigenze o di affermare le proprie idee o di contrastare determinati sistemi, come da grande esempio il cristianesimo che ha adombrato una serie di forme cultuali ora erroneamente confinate tutte nel grande insieme del “paganesimo”. “Pagano” è il termine ‘rustico’ utilizzato dai cristiani per indicare quei contadini che non sembravano interessati a frequentare la chiesa, a partire dal Medioevo ad oggi in quella terminologia sono confluiti tutti i rimasugli delle antiche pratiche rituali, le quali spesso sono solo comportamenti pratici volti all’osservazione della Natura, destinate ad essere rimpiazzate con violenta imposizione dalla nuova religiosità. In questo senso sicuramente nelle fiabe e nelle leggende vi è uno spiraglio che ci permette di vedere aspetti e comportamenti di vite passate che forse solo all’interno di quelle narrazioni hanno trovato il modo di emergere, e per questo è importante ricordarle. Se nella leggendaria figura dell’uomo selvatico, che abbiamo voluto appunto portare su un piano più realistico e pratico definendolo ‘eremita’, è evidente il conflitto creato dal cristianesimo, invece il Götwiarghini che è l’essere dei boschi che ha insegnato agli abitanti delle Alpi a lavorare il latte, simboleggia il lavoratore instancabile (come anche suggerisce il nome tradotto: ‘buon lavoratore’ in lingua Walser) che abita sulle montagne e si occupa del bestiame. Nella leggenda che narra la sua sparizione, avviene che quando si sente giudicato da un bambino per il suo aspetto decide di non farsi vedere mai più. Il bambino indica un passaggio generazionale, i nuovi abitanti della montagna figli di una rivoluzione industriale che non contempla più gli aspetti dello stile di vita montano del pastore. Nella società attuale di certo è ancora presente la dualità tra lo stile di vita cittadino e quello rurale, e anche in modo più contrastante che mai, essendosi ben distaccato l’uno dall’altro, si spera in leggende future che possano raccontare di una ricongiunzione tra gli individui e la Natura, con magari la consapevolezza in più di non avere a che fare con una miniera di risorse, ma con un organismo vivente. Per il resto, noi prendiamo le distanze da ogni forma di culto o religione poiché crediamo fermamente che le forze della Natura siano semplicemente ciò che vediamo, nulla di più ed a parer nostro è già moltissimo! La semplice potenza di un tuono è per noi già incredibile di per sé ed attribuirgli qualsiasi altra connotazione umana non farebbe altro che sminuirne la sua vera magia.
SODAPOP: Ricollegandomi a questo discorso: la vostra musica è una forma di trasmissione tipicamente orale e capillare, fatta di concerti in luoghi piccoli e raccolti o in location particolari. Come la vedete ai tempi della rete? Possono essere complementari o c’è una totale distanza?
MURMUR MORI: Impossibile prendere completamente le distanze dalla rete, siamo anzi convinti che se utilizzata in maniera coscienziosa la rete stessa possa offrire a tutti, spesso gratuitamente, informazioni interessanti anche se non ancora paragonabili ne per quantità ne per qualità alle informazioni contenute nei libri. Noi la vediamo come una sorta di “eco” che permette a delle piccole voci come le nostre di conoscere persone nuove attraverso la nostra musica. Fondamentale è però che rimanga un mezzo! Portare in giro la propria musica è l’unica realtà nella quale crediamo fermamente ed i nostri concerti sono per noi la fonte di soddisfazione maggiore, per questo, come tu stesso ci fai notare, suoniamo sempre in luoghi che riteniamo essere una splendida cornice per la nostra musica. Preferiamo cantare ad una sola persona, ma curiosa della vita e con la quale scambiare anche informazioni che accrescano entrambi, piuttosto che cantare per tanti senza poter avere un dialogo con loro prima, dopo o durante un concerto. La nostra vita è sempre stata proiettata verso il passato; da bambini forse per gioco, ora lo è sia per gioco che per davvero ed il fascino che l’antichità, ha sempre avuto su di noi è intramontabile e costante. Nel Medioevo, per esempio, la musica esisteva solo se suonata e suonando si poteva comunicare ogni tipo di informazione, di denuncia scherzosa o politica, di storie amorose o avventurose dentro le quali si celava sempre qualche consiglio o insegnamento di vita. Ci sentiamo molto vicini a questo modo di concepire la musica.
SODAPOP: Mi sembra che i luoghi abbiano anche un’altra valenza per voi, direi addirittura che ricorrano a più livelli: in alcune foto siete ritratti in posti significativi e molte delle vostre canzoni si ispirano a storie radicate a zone ben definite.
MURMUR MORI: Passeggiare tra rovine senza tempo o nel fitto di boschi secolari ci permette di volgere il nostro sguardo verso il passato, toccarlo e lasciarci travolgere. Curiosando tra le pieghe della storia cerchiamo di cogliere i pensieri ed i modi in cui i nostri avi si rapportavano all’ambiente nel quale si trovavano, per questo i luoghi sono tra le ispirazioni principali della nostra musica.
SODAPOP: Un altro tema che so starvi a cuore, anche se non rientra poco nelle tematiche del disco, è quello degli animali, in particolar modo della reintroduzioni sulle nostre montagne dei grandi carnivori, un’operazione che ha un evidente valore ecologico ma a mio parere anche simbolico e culturale. Volete parlarcene?
MURMUR MORI: Non possiamo plasmare il mondo basandoci sul nostro ideale di “sicurezza”, questa tendenza così attuale del volersi sentire sicuri, che poi cela soltanto un volersi sentire giustificatamente deresponsabilizzati e disinteressati, porta automaticamente all’ottuso catalogare chi o cosa presenta una minaccia. Ci vuole impegno per imparare a conoscere i comportamenti degli animali, per poter convivere con loro serenamente e con rispetto, prima di tutto bisogna rendersi conto che gli esseri umani non hanno nessun tipo di supremazia su di essi. La questione della reintroduzione di determinate specie animali, oltre ad essere ovviamente preceduta dal violento sterminio causato dalla caccia freddamente definita “sportiva”, è direttamente collegata alle modifiche dell’uomo sull’ambiente. L’antropizzazione ha portato gli animali a ritrovarsi confinati in aree sempre più ristrette, e dal momento che già decidere che un determinato territorio diventi ad esclusivo uso umano è una pretesa capricciosa lo è ancor di più aspettarsi che gli animali stiano attenti alle norme e rispettino le proprietà. E se gli animali si ritrovano ad avere un campo d’azione sempre minore, oltre ad essere uno squilibrio per gli ecosistemi naturali, è un problema per le singole vite che faticano a trovar l’habitat per le proprie esigenze di sopravvivenza. Si è creato nell’essere umano il desiderio di voler tracciare confini e di allontanare ogni “agente disturbante”. Un tentativo di pensiero più ampio potrebbe riportarci alla realtà e a pensare anche al modo in cui noi stessi disturbiamo gli equilibri della Natura. L’errore sta poi nel connotare lupi, orsi, linci ed altri carnivori di atteggiamenti tipici degli esseri umani, personalità che per natura non hanno. Ad esempio: un lupo non è “feroce’’, un lupo caccia, vive, si difende e basta, di certo non attacca per cattiveria o dispetto. Un orso colpisce un uomo che si reca nei boschi? Allora il pensiero moderno e diffuso detta che bisogna ucciderlo, o come si dice ‘abbatterlo’, e la sua colpa? Quella di non temere la legge che dà valore unicamente alla vita umana e che noi abbiamo inventato, ma di aver reagito pensando solo a difendersi da una possibile violenza. La Natura non è né buona né cattiva, il mondo è di tutti e bisogna convivere con rispetto e con attenzione.
SODAPOP: In Italia vedete altre realtà che considerate, almeno per alcune idee, sulla vostra stessa lunghezza d’onda? Non mi riferisco necessariamente a gruppi musicali dato che il vostro è un discorso culturale a 360 gradi…
MURMUR MORI: Tra le realtà artistiche italiane verso le quali sentiamo un forte legame c’è sicuramente la Casetta, una vera e propria baracca di legno nascosta tra i boschi delle montagne venete dove ogni autunno viene fatto un piccolo ed intimo concerto acustico. Da quest’anno la “Casetta” è diventata anche etichetta discografica indipendente, attraverso la quale abbiamo rilasciato il nostro disco Radici. Il loro modo di porsi è estremamente popolare, tutti possono accedere alla Casetta, alla sua musica ed ai suoi eventi, l’unica attenzione richiesta è verso l’ambiente circostante.
Ci sentiamo molto vicini anche alle opere grafiche di Bluttanzt, artista del Trentino Alto Adige, i messaggi contenuti nei suoi lavori spesso si avvicinano molto a ciò che noi cantiamo ed inoltre il suo modo di lavorare è ammirevole ed estremamente attento alle problematiche attuali, dall’ecologia ai diritti umani, problematiche delle quali si parla sempre troppo poco o in maniera strumentalizzata.
SODAPOP: In chiusura l’inevitabile domanda sul futuro. Come pensiate attenda Murmur Mori, un nuovo cambio di pelle (almeno dal punto di vista stilistico) o l’approfondimento…
MURMUR MORI: Abbiamo iniziato a scrivere nuove canzoni tra un concerto e l’altro, d’inverno viaggiamo meno e quindi a breve inizieremo a registrarle. Il disco cercherà di creare parallelismi tra problematiche presenti sia nel presente che nel passato: politica, ambiente e discriminazioni, portando chi avrà voglia di ascoltarlo ad una semplice conclusione: i problemi che si presentavano in un passato da noi “moderni” spesso mal giudicato sono gli stessi che oggi non riusciamo a risolvere, con la differenza che prima si aveva il coraggio di provare a tutti i costi, anche se la posta in gioco era spesso molto più alta di ora.