Mi sono sempre concentrato, forse un po’ morbosamente, su Lou Barlow. Non fraintendiamo, non sono ai livelli di D. Chapman e delle sue tragiche attenzioni verso John Lennon (Lou, non serve neanche dirlo, per indole ha sempre cercato di rifuggire da certi meccanismi tipici legati alla vita da rockstar). Il fatto è che ho apprezzato un po’ tutto quello che ha fatto, pure certa spazzatura targata Sentridoh o Folk Implosion perchè anche questa, comunque rappresentava sempre una porta in cui entravo ed intravedevo la sua vita immaginaria, qualche perla rara registrata in cucina tra i piatti da lavare, la sua camera zeppa di cose e la sua indeguatezza espressa in tutti modi: dietro le canzoni, dietro gli scarabocchi delle cover, dietro quegli occhialoni inguardabili da adolescente.
Quelle cose in cui, se hai un po’ di affinità, ti riconosci subito, altrimenti le rifuggi schifato. Insomma il cliché del nerd, lustri prima di ogni ambizione da hipster e quindi con una certa dose di spontaneità davvero non studiata. All’epoca forse solo Bill Callahan con gli Smog destava un interesse simile (“è loquace? è stronzo o solo chiuso in se stesso? Cynthia Dall, ora defunta, era la sua tipa?”). Ma con Bill e il taciturno J Mascis entriamo in meandri più oscuri (per non parlare di David Pajo e del suo recente estremo gesto dimostrativo). Lou a differenza di quanto credevo in passato appare una persona molto loquace che spesso ama perculare i due colleghi (ha detto poco tempo fa che nel tour del ’95 assieme agli Smog ha scambiato sì e no due parole con Callahan e in un’altra intervista ha dichiarato più o meno che “stare al telefono con Mascis e parlare da soli è un po’ la stessa identica cosa”).
In un articolo A. Compagnoni parla un po’ in generale degli anni ’90 e della golden era dei “perdenti di successo”. Ebbene, da quelli che non hanno retto il colpo (come Kurt Cobain) ci sono invece quelli, come Barlow appunto, che hanno deciso di starne fuori, sin dall’inizio. In questo contesto si fanno scelte di vita parallele: spesso si invecchia normalmente e magari ci si prende anche poco sul serio, fin da subito. Forse inconsciamente, ed è la conclusione di Compagnoni, “Lou ha indicato quale fosse il mio posto e che lì, poi, non si sta davvero così male”. E lo sottoscriverei anche.
Gli anni però passano e purtroppo sempre meno spesso mi capita di ascoltare vecchi album dei Sebadoh. Ricordo che in modo quasi rituale ascoltavo Bakesale ogni sabato pomeriggio prima di uscire con gli amici e questo per anni, non so bene il motivo ma ormai quel disco è stato metabolizzato. L’ampia disponibilità odierna offerta dalla rete e i collegamenti che solo con i social network si possono fare (impensabili negli anni ’90) mi portano a correggere, integrare, rivedere informazioni false o magari imprecise, oppure falsi miti a cui io stesso avevo creduto per vari motivi. Non da ultimo perchè effettivamente “mi piaceva credere a certi miti”. Insomma idealizzavo un personaggio e me lo costruitivo un po’ a mia immagine e somiglianza, per affinità. Un Lou Barlow ideale e granitico nel suo non cambiare mai, diverso da quello vivo e vegeto, che invece si sposta, cambia opinioni, cambia occhiali (i vecchi li ha persi tuffandosi l’anno scorso a Rimini o giù di lì, lo scrivo così tanto per rinverdire l’icona). E poi si sposa, si risposa, invecchia e invecchiando diventa pure un prestante quasi cinquantenne. Ricordo che in una vecchia monografia per Sodapop scrissi di sentire come una sorta di tradimento il suo trasloco in California (avvenuto credo non molto dopo l’ultimo, brutto, disco dei Sebadoh del 1999). Ma come? un tipo ombroso come Lou che passa ore in casa manco fosse Leopardi mi parla di skate, musica elettronica e party in spiaggia?
Ecco dove portano le costruzioni mentali che si scontrano poi inesorabilmente con la realtà. David Chapman arrivò al suo gesto estremo perchè non tollerava più Lennon che predicava bene ed in realtà razzolava malissimo, vivendo da vero nababbo donnaiolo. Inezie per tanti, anzi una cosa praticamente normale, specie a quei livelli. Ma Lennon all’epoca aveva sconquassato il cervello già fragile di Chapman che aveva fatto vangelo di tutte quelle prediche.
Alla fine siamo (o immaginiamo di essere) nel cuore della vita di Lou Barlow, in quel “loobiecore” in cui la musica si fonde con la sua vita. Lui che si faceva passare per scacciafighe perchè quello era il fisique du role, ma nello stesso tempo piaceva pure a noi pensarlo, ossia piaceva al suo ascoltatore medio, il “maschio non alfa” che lo seguiva. Mal comune mezzo gaudio. Lui in realtà la ragazza ce l’aveva, ormai lo sappiamo: era Kathleen Billus, conosciuta (e lo conferma il web magazine Spin) sin dai tempi di You Are Living All Over Me. Siamo nel 1988, Lou aveva poco più di vent’anni mentre lei frequentava il college e si era invaghita del pezzo Poledo (tanto da passarlo spesso in radio al campus universitario). Poledo, la causa di tutto: uno spettrale pezzo acustico di quasi sei minuti registrato in camera che c’entrava poco o nulla con il resto del disco. All’epoca Kathleen era una dei 20/30 spettatori fissi dei primi Dinosaur Jr, prima della rottura con J Mascis: durante un live J scansò Lou con la sua chitarra in un gesto di stizza al culmine di battibecchi continui. Ed il resto lo conosciamo. Ma Kathleen dopo un’intervista mise Poledo in heavy rotation scassando la minchia a tutto il campus universitario Smith. Siamo entrati nel campo delle leggende ora. Come quella che voleva la relazione già finita nel 1993, quando un disperato Lou scrisse il pezzo Soul And Fire e l’amata ascoltandolo si commosse rimettendosi insieme al nostro antieroe.
Kathleen fu la musa ispiratrice di molti pezzi dei Sebadoh, nei momenti alti e nelle fisiologiche incomprensioni di coppia: i due si sposarono nel 1995 poco dopo la morte di Kurt Cobain, dopo Bakesale e prima di Harmacy: nacquero molti anni dopo due figli (la primogenita Hannelore, nata nel 2005, curiosamente ha lo stesso nome di mia madre). Si completa un piano, direi quasi idilliaco. “Insomma Lou, dalle premesse da nerd scacciafighe… ti è andata pure molto bene” mi veniva pure da dire con un pizzico di invidia. In pace però con questo quadretto familiare, come nelle favole a lieto fine, avevo archiviato tutto e mi sono risvegliato nel 2013. Un nuovo disco dei Sebadoh stava arrivando, preceduto da un interessante EP. Per me è stato come un ceffone che proveniva dal passato: non richiesto, nemmeno voluto ma… che emozione. Il disco purtroppo è bruttino, ma me lo faccio piacere comunque.
Dall’album emergono poi dettagli sulla drammatica separazione che nel frattempo è intervenuta nella coppia, dopo un matrimonio ventennale. Lou si fa vedere nel tour mondiale che accompagna Defend Yourself spesso in infradito con un aspetto tanto trasandato da turista capellone in maglietta quanto compassato da uomo di mondo. Ammette, non senza una certa apparente ferocia, di aver fatto troppe volte ammenda e che per i continui sensi di colpa troppo spesso ha voluto/dovuto tornare sui suoi passi. Evidentemente tale determinazione era motivata da un’altra relazione che stava nascendo e si stava consolidando. Crolla il castello: ora basta tornare indietro, bisogna guardare avanti senza blocchi. Undici maggio 2015, ed è storia recente: il nostro ormai ex loser attendista e complessato, dopo la fresca dissoluzione del matrimonio e di un pezzo di vita si risposa prontamente con tale Adelle Louise (Barlow): non so l’età ma è giovane e carina. Non è un Rebound dichiara e noleggia un TIR che si fa più di 2000 km per un trasloco che parte dal sole della California e arriva di nuovo nell’innevato Massachusetts, destinazione: una bellissima villa con porticato a Greenfield, paese di ventimila anime, non molto distante da Boston, il suo “Fort Apache”. Non lontano nemmeno dai suoi cari. Storie normalissime, dinamiche di vita che si sentono migliaia di volte e che si aggiungono ai mille castelli immaginari che si sciolgono come neve al sole, partendo da Thurston Moore fino a Nanni Moretti, magari meno perdenti e ancora più di successo.
Tu però Lou, fammi sapere gli sviluppi, intanto provvedo ad archiviare definitivamente il tuo alter ego loser che vive nei miei scaffali.