Dead Elephant – 06/06/08 Arci Kroen (Villafranca – VR)

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C'era solo un gruppo dei tanti presenti al MiAmi quest'anno che mi sarei visto volentieri, ma varie e noiose faccende mi trattenevano in queste lande e della cosa mi ero fatto una ragione. Quando mi è stato annunciato che i Dead Elephant avrebbero suonato al vicino arci Kroen il venerdì precedente alla data milanese, mi sono messo un minimo in pari col periodaccio che attraverso. Beh, in pari…Diciamo che ho accorciato le distanze.

Non c'è il pubblico delle grandi occasioni, tenuto lontano forse dalla pioggia, più probabilmente dalla fama del gruppo, certo non buono per tutte le orecchie; tuttavia gli intervenuti rappresentano uno zoccolo duro che si è fatto diversi chilometri per essere qui stasera: io, coi miei scarsi 40, faccio la figura del pivello.
Nella sala concerti i tre musicisti che ci appaiono sotto le luci rossastre del palco sono quanto di più normale, a livello estetico, si possa immaginare: non lasciano certo intuire essere i manovratori dello schiacciasassi che fra poco ci martorierà i timpani.
Tuttavia, l'inizio non è dei più coinvolgenti. Violentissimo, con l'amplificazione sfruttata al massimo, ma abbastanza scontato nella proposta musicale: alternanza di parti lentissime e improvvise ma un po' prevedibili sfuriate hardcore. Per i primi minuti, la cosa che più attira la mia attenzione sono le espressioni da teatro kabuki del batterista.
de3Poi la macchina comincia a girare a pieno regime: la batteria stradinamica, il basso che detta le linee melodiche in luogo di una chitarra che sporca il tutto con stile tipicamente "albiniano" (fa fede la Travis Bean maneggiata dal chitarrista), la voce che è un urlo straziato. A livello stilistico i tre non propongono nulla di innovativo; più che figliocci dei tanto (troppo) citati Neurosis, paiono i loro fratelli minori abbeveratisi alla stessa fonte, quella dell'hardcore che, verso la metà degli anni '80, scoprì i Black Sabbath e si accorse che non c'era bisogno di andare sempre a mille all’ora per scatenare l'inferno (vogliamo citare gli Amebix? Ma sì dai…).
Paradossalmente a rendere attuale la proposta musicale dei tre è invece l'approccio in qualche modo primitivo, selvaggio, primordiale: attuale, perché senza tempo. Le canzoni, a volte lunghe, altre sorprendentemente brevi, si succedono intramezzate e concatenate da cupi passaggi ambient, calma apparente prima della tempesta; solo il "click" del pedale del distorsore, annuncia con sicurezza la fine di un pezzo e qualche attimo di pace per le nostre orecchie stigmatizzate. Il suono è più scarno rispetto a gruppi che a volte sono loro associati, senza che, tuttavia, venga meno la violenza, anche se di metal, in fin dei conti, ce n'è poco, salvo non lo si voglia identificare col suono pesante e il volume che i tre riversano sul pubblico. Qualcuno in effetti cede, sopraffatto dalla potenza del gruppo, altri, io fra loro, cavalcano l'onda d’urto e pur con le orecchie sanguinanti, arrivano alla fine. Ne vorremmo ancora, in realtà, ma la sforzo fisico necessario a produrre una tale frastuono è notevole, i tre sono stremati: per stasera può bastare così. Domani i Dead Elephant saranno a spettinare frangette al MiAmi.