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Yuk! Interventi a cadenza casuale e necessaria numero 3 – Epica, etica e pathos

Etica. Un parolone. Però mi interessa perchè, parlando di musica, segna lo sfumato confine tra le proposte che valgono qualcosa e quello che no. In realtà non è che faccio astrusi o filosofici ragionamenti nel momento dell’ascolto, ma succede che in certi casi affiora un senso di fastidio che mi tira per la giacchetta e che mi fa sentire di essere preso per il culo. Una bella fetta di musicisti trattano gli ascoltatori come i politici fanno con i propri elettori e i programmatori televisivi con i telespettatori: come dei poveri coglioni a cui dare in pasto quello che ci si immagina sia nelle loro aspettative, anzi, meglio se un paio di gradini più sotto, tanto per non rischiare.

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Yuk! Interventi a cadenza casuale e necessaria numero 2 – DJ Final Trip

Bene. Dopo la sbrodolata sul footwork, posso a passare a qualcosa di completamente differente. Dj Final Trip (un nome – una garanzia) è un ragazzino incredibilmente giovane e orgoglioso dei suo capelli (“I have good hair and wierd music”), forse satirico e forse no, che si definisce un compositore come Mozart, Chopin, Beethoven e Philip Glass. Di sicuro sa usare bene tutti i mezzi a sua disposizione per portare avanti il suo progetto, che si potrebbe definire come una sorta di situazionismo inconsapevole, o forse no. Tutte le sue uscite sono disponibili su Bandcamp in free download.

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Yuk! Interventi a cadenza casuale e necessaria numero 1 – Footwork

Nel deserto delle proposte fritte e rifritte, ogni tanto mi capita di andare a cozzare con delle cose veramente personali e/o rivelatorie. Così, sollecitato dal prode Emiliano, mi sono deciso a relazionare periodicamente i miei stupori. Siccome non sono particolarmente up-to-date (ma questo non dovrebbe essere necessariamente uno svantaggio, anzi, dovrebbe preservami una certa dose di ingenuità mentale), voglio cominciare col segnalare un fenomeno non recentissimo, che è il footwork/juke.

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2000 – 2010: non è successo niente?

Ultimamente imperversa l'irritante campagna mediatica che accompagna l'uscita dell'ultimo libercolo del signor Simon Reynolds. Un critico, che nella musica di questi anni vede solo forme di sublimazione della nostalgia di un certo passato musicale. Pare che chiunque parli o pensi di musica ormai ragioni in termini di "ai miei tempi…", quindi la glorificazione di Reynolds appare quantomeno scontata e rivelatrice di un clamoroso deserto percettivo. Costui è uso sparare citazioni dotte per avvalorare le sue banalità, certo che facendo riferimenti a Fukuyama o a Debord si mette al sicuro da eventuali contraddittori, intanto chi legge di musica è incapace di fare le sue elaborazioni a riguardo. Il guaio è che in linea di massima è vero, soprattutto per buona parte dei critici e lettori italiani.

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