Spinti dall’entusiasmo di Luigi Monteanni scendiamo dal Ticino al giardino della triennale, stando attenti al pantano lasciato dalle piogge è un luogo molto accogliente. I suoni gutturali dell’Ensemble Tikoro, nella sessione d’ascolto, raccontano di esseri ferini e selvatici. La gente è comodamente seduta a fissare uno schermo sul quale troneggia la formazione degli otto appartenenti all’ensemble. Un commento del pubblico è: “…questo è quello che sentono i vecchi quando ascoltano la nostra roba.” Oppure “Il preludio di un film di Haneke, dove tutto finirà male.” Il tutto è condito da tutti e scoregge, che non minano il rigore con il quale portano avanti il disco, quasi un dialogo corporale e fisico dove libertà, improvvisazione, commedia e goliardia si giocano il proscenio. Sul palchetto inizia poi Ariel William Orah, che inizia con guisa fourtetiana per poi buttarsi in crepacci acidi e scuri. Suono evocativo, amorfo e cloudicante, che pesca visioni sci-fi da incubo. Sibila bastardo senza che riesca a capire cosa stia suonando, ma il farlo con una sorta di tastierina fluorescente al petto già lo rende vincitore ai loro occhi. In mezz’ora spacca il culo a tanta musica da soundtrack stilosa e quando alza al cielo lo strumento per baciarlo (o suonarlo coi denti) beh, Jimi Hendrix scansate. Come secondo set Luigi Monteanni al tollera insieme a Matteo Segu Sideri al tarawangsa e Matteo Pennesi al rayong, lavorando con ance, fiati e corde straziate, in quella che sembra una trance messianica oscura e lontana. È un suono che trasporta e che lancia Babau nel loro mondo, quell’universo che spesso gli abbiamo sentito declinare in mille modi e che stasera si declina in una suite distante, misteriosa ed intrigante. Quando arrivano i Turtles JR si cambia aria: punk rock macilento, schietto e sincero, lento, bolso e pesante. Al secondo brano il vocalist saluta in italico idioma e gorgheggia picchiando duro.
Dedicano Fuck Off System al proprio paese e sembra che gli ultimi 40 anni non siano mai passati, punk hardcore old school squadrato e senza fronzoli, voce growl, creste e rabbia. Il frontman, torso nudo, la cazzimma di chi non vorreste incrociare incazzato in un vicolo, urla come un ossesso trasformandosi nel dialogatore più accogliente del mondo fra un brano e l’altro. Toxic Punk è un anthem da paura e ci getteremmo nel fango se mirabili sconosciuti non ci avessero donato una confezione XXL di patatine chips mezze sottratte al bancone. Non si capisce una mazza del testo ma estrapolo witness, bitches e la giusta rabbia. I temi sono quelli, la guerra, gli sbirri, ma è il come che fa la differenza ed i Turtles JR vincono a mani basse, sarebbe fico vederli in un carcere, in mezzo ad un branco di cani od in una gabbia ma come primo approccio anche la triennale va benissimo!
Non ci si nega nemmeno il momento oggetti smarriti con un mazzo di chiavi ed un telefono ritrovati e gestiti dal cantante con fare del tutto professionale.
Per il gran finale, raggiunto da un secondo vocalist sul palco, ci regala qualcosa del tipo Kuja Gura – Angin, che regale attimo di call and reponse notevoli post pogo. Gran bel live, di quelli di una volta, molto fico.
Myria Idha ci accompagna in una selezione ritmata e pindarica, ad alta quota ma che è anche in grado di sporcarsi e di spezzare letteralmente i Beats in grani sparsi. Abrasioni, gomma, grooves, la chiusura degna di una gran bella serata.