Earth + Mount Eerie + Ô Paon – 24/03/12 Auditorium Del Carmine (Parma)

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Al quarto tentativo, dopo vari spostamenti di sede dovuti al terremoto di febbraio, finalmente la rassegna Sound Canvas riesce ad impossessarsi del suggestivo auditorium del conservatorio, per l’atteso concerto della band di Dylan Carlson. Rispetto al clima polare che trovammo in occasione della data di Tim Hecker, la città si presenta stasera con una temperatura decisamente primaverile che rende piacevole il passeggiare per i borghi del centro storico, anche se la fauna di giovinastri vocianti accalcati fuori dai locali che sparano musica cafona nelle vie adiacenti la sede del concerto, ci fa preferire la città in versione era glaciale.
Poco male comunque, l’Auditorium del Carmine, spostato dai percorsi della movida alla parmigiana, è un’oasi di pace che sembra conservare quel senso diO_Paon_auditorium_parma raccoglimento di quand’era chiesa conventuale. Il pubblico, sistemato sulle poltroncine rosse, si conforma diligentemente all’ambiente e per tutto il concerto non volerà una mosca, evento quanto mai raro ad ogni latitudine, almeno nella Penisola. Così, accomodati nella navata dell’ex chiesa, allestita con pannelli fono-assorbenti in legno sia fra le arcate che sul fondo del palco, che assume così un aspetto piacevolmente caldo, ci apprestiamo al concerto di Ô Paon, giovane cantautrice canadese dalla notevole ugola. Si presenta scalza, con un timido italiano e un’ancor più timida pettinatura coi capelli a nascondere completamente il volto. La sua musica è cosa semplice, scarni loop di chitarra elettrica che esaltano le doti vocali di Genviève, cantautorato indie delicato ma non melenso che, forse per la forzata povertà dell’organico, tende a ripetere un po’ troppo la formula. Col passare del tempo la ragazza finisce comunque per ambientarsi, l’acconciatura lascia intravedere il volto e il concerto volge al termine un attimo prima di iniziare ad annoiare. Il tempo di dMount_Eerie_auditorium_parmaue parole coi presenti e di una visita al banchetto dei dischi e sul palco è il di lei marito Phil Elverum, in arte Mount Eerie, con l’espressione di chi si è alzato da poco e il look di chi ha intenzione di passare tutta la giornata sul divano del soggiorno, con maglietta informe e braghe della tuta oversize. Può darsi che non si sia tanto lontani dalla realtà, se è vero che il suo concerto, anch’esso in solitaria con la dodici corde e nessun effetto, stenta ad ingranare, infilando una serie di canzoncine insipide, ma cresce alla distanza, man mano che la forma canzone si scompone in un’infinità di bozzetti che sembrano non svilupparsi mai pienamente, ma proprio per questa incompiutezza assumono un fascino particolare, alla maniera dei Guided By Voices migliori. Così, diametralmente opposto alla compagna, il concerto di Mount Eerie finisce in crescendo e il musicista lascia spazio agli headliner della serata. Gli Earth prendono posizione sotto lo sguardo vigile di un Dylan Carlson abbigliato come un perfetto sceriffo, completo grigio e nero con tanto di panciotto e stivali; gli manca solo il fucile, ma visti i precedenti forse è meglio soprassedere. Così, quando la violoncellista, la batterista e il bassista si sono sistemati, si è pronti a partire per un’ora (ma mai come in questo caso il tempo è relativo) di giri circolari al limite del narcolettico, dove le volute di suono sembrano ricondurci continuamente allo stesso posto, mentre i pezzi evolvono per piccole variazioni. Le atmosfere sono quelle austere ma non eccessivamente drammatiche degli ultimi lavori, ma la scaletta pesca abbondantemente nel passato, da Hex a Hibernaculum e The earth_auditorium_parmaBees Made Honey In The Lion’s Skull, con solo un paio di puntate nei due album più recenti, regalandoci una serie di classici riattualizzati attraverso lo stile doom cameristico che caratterizza gli ultimi lavori; si evita così l’aria di revival che spesso assumono in concerti-greatest hits di molti gruppi storici. É questa una scelta coraggiosa ma produttiva, che regala un’esibizione di livello, conseguenza forse anche dell’ottimo umore di un Carlson che trova anche il tempo, tra un pezzo e l’altro, di scambiare qualche battuta col pubblico, sfoggiando una voce da Paperino che ci fa capire come mai gli Earth siano un gruppo strumentale. Qualche volta, in particolar modo nei pezzi più cadenzati, si vorrebbe quasi essere in piedi per poter ondeggiare a ritmo, ma nel complesso la situazione è ottimale, col gruppo a pochissimi metri dal pubblico e un suono nitido che valorizza le partiture; fa piacere che uno spazio così suggestivo sia resto disponibili per manifestazioni musicali diverse da quelle solitamente ospitate. Il tutto si chiude, come avccenavamo, dopo una poco calcolabile ora, con un bis suonato di seguito a una delle uscite di scena meno convinte mai viste (cinque secondi d’applausi prima che il gruppo ritorni in scena). All’uscita, per tornare a casa, ci toccherà affrontare in apnea la folla rumoreggiante dei borghi; ma mai come in sere come questa il sacrifico vale la pena.