Simon Balestrazzi: dagli albori industriali alla musica contemporanea

Per quanto introdurre uno come Simon Balestrazzi risulti superfluo, vi basti sapere che oltre ad essere una delle colonne portanti dei T.A.C. (Tomografia Assiale Computerizzata) ha suonato in Kirlian Camera, Kino Glaz Deep Engine, Dream Weapon Ritual, ha fatto uscite a nome Candor Chasma, collaborato con Z’EV, Ikue Mori, Alessandro Olla e ha pubblicato su etichette che vanno dalla Silentes alla Boring Machines, dalla Old Europa Cafè alla Small Voices. Balestrazzi è stato uno di quelli che hanno dato il via a quella “gloriosa” ondata industriale e avant che negli anni ’80 ha dato lustro all’Italia come solo il primo circuito hardcore punk aveva saputo fare. Resta che questo parmigiano, come molti degli eroi “estremi” della prima ora, si pensi solo a Teardo e Bernocchi fra gli italiani e a gente come Asmus Teitchens, Z’EV, Throbbing Gristle stessi per gli stranieri, non si è mai fermato troppo all’interno del circuito industriale che anzi sembrava (e sembra stargli) piuttosto stretto, tanto che negli ultimi anni della sua produzione sembra essersi concentrato maggiormente sulla musica contemporanea e questo senza perdere di vista i suoi vecchi amori tanto che Candor Chasma (progetto condiviso con Corrado Altieri dei Monosonik, Uncodified e quel TH26 che aveva collaborato con Maurizio Bianchi), appena uscito su Old Europa Cafè, lo conferma platealmente. Un bel giretto sulla sua discografia riportata da discogs potrebbe fugare ogni dubbio sul fatto che si tratti di un vero e proprio cavallo di razza.

SODAPOP: Hai fondato i T.A.C., hai suonato nei primi Kirlian Camera e sei in giro dai primi anni ’80. Ci racconti come hai iniziato? Com’è accaduto che ti sei spostato sempre di più sull’elettronica e la sperimentazione?
SIMON: L’ avventura T.A.C. ha avuto inizio in modo assai classico. Io e Andrea Azzali frequentavamo lo stesso negozio di dischi e ci disputavamo le poche cose di wave sperimentale e industrial che arrivavano, spesso in copia unica, nella sonnacchiosa Parma, finché non ci siamo incontrati. Era la primavera del 1981. In settembre la band era nata.
Andrea, di quattro anni più vecchio di me, aveva già alle spalle una manciata di progetti sperimentali ad alto tasso di improbabilità, con musicisti spesso di estrazione jazzistica. Io avevo 19 anni e già da tre o quattro cercavo, senza successo, di mettere in piedi una band (nella mia testa qualcosa a cavallo tra gli Amon Düül di Phallus Dei, Velvet Underground periodo Cale e TG) e sperimentavo in solitudine con vecchi registratori geloso, molle metalliche e altri oggetti sonori… la mia chitarra classica era stata già abbandonata e cannibalizzata da tempo.
L’intesa fu istantanea anche se io ero attratto dalla parte più sperimentale dei suoi progetti (Andrea possedeva già un paio di registratori a bobine ed era una accanito sperimentatore) mentre lui mi voleva chitarrista per farla finita con il taglio jazz delle precedenti formazioni. Mi costò non poca fatica riadattarmi alla chitarra, per giunta elettrica. Per fortuna avevo come punto di riferimento il noise chitarristico di Burg e Crane dei Mars e di Lydia Lunch con TJ&TJ e pure Tom Herman (Pere Ubu).
Quel settembre comunque Andrea si portò dietro Giorgio Barbuti (voce) e Giampaolo Terenziani (percussioni) che erano tra i suoi collaboratori abituali quelli “non allineati” e aveva ordinato un synth semimodulare artigianale ad un ingegnere elettronico, destinato ad essere suonato di li a poco da Fabio Cortesi. Gli inizi furono equamente no wave e (post)-industrial per poi seguire una deriva più tribale quando ci trovammo ad abbandonare la strumentazione più ordinaria in favore di metalli, percussioni e strumenti acustici. Poi la storia si fece più complicata quando mi ritrovai di fatto da solo a portare avanti il progetto: è una storia lunga e che non ha ancora visto apparire la scritta “fine”.
Per quanto riguarda Kirlian Camera in realtà ho suonato nella terza o quarta formazione della band: intorno al ’91 ho conosciuto Angelo e ci siamo trovati in sintonia. E’ stato un periodo divertente e caotico. In pratica tra ’92 e ’96 ‘T.A.C. e Kirlian avevano la stessa formazione di base. La mia collaborazione con KC è durata fino al ’97 quando mi sono trasferito negli States.
simonbalestrazzi_int2Il percorso che mi ha portato negli ultimi anni a suonare con musicisti come Ikue Mori, Z’EV, Max Eastley, Tim Hodgkinson, Damo Suzuki o Maja Ratkje è stato abbastanza naturale. Anche se probabilmente era molto più “sperimentale” quello che ho fatto in passato, nel senso che molte delle cose che oggi suonano ordinarie o comunque acquisite, ai tempi erano semplicemente considerate fuori di testa ed estreme. E in molta della mia musica, dagli ’80 ad oggi, è sempre stata presente una forte componente elettronica, o, forse più precisamente, concreta.

SODAPOP: Negli States ci andasti per lavoro (se non erro sei un architetto)? Là hai collaborato con qualcuno? Perché non hai mai pensato di fermati a vivere in Usa?
SIMON: Mi trasferii a New York per il motivo opposto: volevo abbandonare l’architettura e dedicarmi alla musica a tempo pieno. Un bell’azzardo insomma. Là mi sono iscritto all’Institute of Audio Research che mi permetteva di approfondire le mie conoscenze di sound engineering e di avere un visto sufficientemente lungo.
Come musicista ho lavorato ad alcuni progetti, sia da solo che in collaborazione con altri, che però si sono arenati o sono rimasti inediti, anche perché ero molto più concentrato sul lavoro in sala di registrazione e post produzione audio. Sul fermarmi a NY ci ho pensato molto. Non starò a spiegarti cosa mi ha trascinato indietro ma, visto a posteriori, è stato un grosso errore.
La vitalità e le possibilità di lavoro in campo musicale non avevano paragoni con quello che accadeva qui. Ti basti sapere che nel momento in cui decisi di andarmene mi era stata offerta, così, “out of the blue”, un internship con una successiva posizione entry level assicurata agli studi B della Sony.
Non rimpiango nulla a dire il vero ma sicuramente, facendo un freddo calcolo costi-beneficii, andarsene è stata una cazzata bestiale. Se a questo aggiungi che ormai l’Italia è diventato un paese sottosviluppato con uno dei livelli culturali più bassi d’Europa… Tornando alla musica, probabilmente nel 2012 uscirà per Silentes Chaosphere, un lost album a nome T.A.C. registrato e mixato a NY a inizio ’98. E’ un lavoro realizzato principalmente con un VCS3 e un campionatore ASR-10 che ciclicamente penso di far uscire dagli archivi, ma questa volta ho ricuperato i master originali e mi sono messo seriamente al lavoro su restauro e mastering.

SODAPOP: Quindi sei ritornato in Italia e poi hai iniziato a lavorare con compagnie teatrali e di danza, esatto? Con chi hai lavorato e cosa significa vivere di sonorizzazioni in questo paese? Per di più ora che ci penso, tu, Teardo, Lustmord, il tipo degli SPK siete passati tutti dalla musica industriale alle sonorizzazioni o alle colonne sonore, dici che è un caso?
SIMON: Quando ho iniziato a muovermi in questo campo mi sono trovato subito a mio agio. Ho goduto di quel momento magico iniziato a metà/fine ’90 e durato sino a tre o quattro anni fa in cui la commistione tra performance ed elettronica, o comunque musica “difficile”, era finalmente d’interesse anche per le compagnie più piccole e decentrate. Purtroppo recentemente c’è stata una ventata reazionaria, aggravata dalle restrizioni economiche in cui la cultura sta affondando, e stanno venendo fuori principalmente produzioni molto tradizionaliste e passatiste (non solo per l’aspetto sonoro) e io non sono molto incline a compromessi pur di lavorare.
In effetti penso possa esistere un’affinità di fondo tra certo post-industrial e commento sonoro. Quell’attenzione puntata principalmente all’atmosfera e al colore del suono più che ai rapporti armonici o melodici, una certa teatralità congenita nelle strutture…
Senz’altro mi piacerebbe avere l’occasione di cimentarmi con il cinema, anche se in Italia non vedo più così tanta attenzione né al sound design né alla scelta di colonne sonore particolari. E per quel che riguarda il lavorare su commissione temo molto anche il rischio dell’appiattimento sulle richieste del mercato: penso sempre agli esordi di Graeme Revell (SPK) e all’efficacia del materiale scelto dal suo album Zemla Lehmanni utilizzato per Ore 10: Calma Piatta rispetto alla standardizzazione della sua colonna sonora ad hoc per La Mano Sulla Culla, di solo tre anni dopo.

simonbalestrazzi_int3SODAPOP: Sei fra gli organizzatori di un festival di musica elettronica e sperimentale a Cagliari, posto che mi fa pensare all’anomalia di posti come Sardegna e Sicilia. Come si riesce a portare la gente in un teatro per vedere Fennesz o Z’EV?
SIMON: Signal è una delle scommesse del’ associazione culturale TiConZero, diretta da Alessandro Olla, con cui collaboro da qualche anno. Potrà sembrare strano eppure molti artisti che hanno suonato nel festival sono rimasti sorpresi e meravigliati nel trovarsi di fronte ad un pubblico numeroso e attento. Il punto è, se ci riferiamo all’Italia, che sono proprio i luoghi più decentrati e improbabili a mantenere un buon livello di curiosità ed interesse per linguaggi artistici di ricerca o comunque lontani dal mainstream. Ogni serata di Signal è seguita da un audience tra gli 50 e i 150 spettatori; ovviamente non parliamo di grandi numeri ma, visto il tipo di proposte, quasi meglio di New York… E abbiamo avuto ottimi riscontri anche con la prima edizione di Signal-Cantieri che si è tenuta in agosto a Sadali, un paesino di neppure 1000 abitanti, perso nel nulla, nel cuore dell’isola e che di certo non offriva un cartellone compiacente: pensa che in quell’occasione ho presentato con Dream Weapon Ritual (il mio duo con Monica Serra, attrice nonché cantante di T.A.C.) la nuova versione di Singer, una performance per macchina da cucire amplificata ed elaborata elettronicamente e voce: 25 minuti di suoni metallici, meccanici e dronati, che continuano a crescere di intensità e volume; il pubblico, non certo di addetti ai lavori e con un età tra i 15 e gli 85, è rimasto fino alla fine. Apprezzando.

SODAPOP: Visto che hai avuto parecchie collaborazioni in ambito teatrale, secondo te a che cosa è dovuto il fatto che in contesto teatrale comunque persino fonico e tecnico luci compaiano in cartellone mentre in ambito musicale la abbia un rilievo solo per la produzione di un disco. Per di più perché il teatro è “Cultura” mentre la musica è roba “da ragazzini e segaioli”?
SIMON: Tutta colpa del rock ‘n’ roll! A parte gli scherzi, un po’ è proprio così: l’esplosione dell’industria discografica nei 50s rispondeva alle esigenze di un pubblico di adolescenti ribelli ma non troppo e quella musica tale veniva considerata: da ragazzini appunto. Certo in sessanta anni ne cambiano di cose. Ma c’è sempre qualcuno che si distrae. Quanto tempo e spazio vuoi dedicare a questa domanda? Perché il discorso sarebbe lungo e tortuoso. Bisognerebbe affrontare l’inversione di gerarchia, per quello che riguarda l’innovazione e la ricerca, tra musica colta e non. E bisognerebbe cominciare a vivisezionare, smantellare e massacrare le costruzioni pseudo-intellettuali, fasulle e fondamentalmente fasciste, di molta critica musicale dai tardi 60s ad oggi, Italiana e non, e pure principalmente militante…

SODAPOP: Ho appena letto un’intervista a Ivan Iusco della Minus Habens in cui diceva che Wolf Eyes e Fuck Buttons gli ricordano cose vecchie del suo catalogo. Ma è così anche per te? Nel senso, succede che tu senta qualcosa che musicalmente ti entusiasmi ancora? Possibile che tutto sia già detto e sentito? Oppure più semplicemente invecchiando è difficile percepire le variazioni di stile e di gusto?
SIMON: A dire la verità non sono molto d’accordo con Ivan. Esiste ancora tantissima musica che mi entusiasma e che trovo innovativa. Certamente è vero che da tempo si sono esauriti i fenomeni di fughe in avanti generazionali o su vasta scala o “movimenti” artistici innovativi. Ormai tutto ciò che è veramente nuovo galleggia frammentato e celato nelle pieghe del web 2.0 (o se ne tiene consapevolmente alla larga). La vera crisi mi sembra quella del mondo dell’industria e della critica musicale che tra questa frammentazione e questa palude dell’eterno presente non sa più come muoversi o quale trend lanciare (o meglio, su quale lanciarsi). Il che ha lati positivi e negativi: forse per parecchi anni non avremo più un altro fenomeno dirompente come la psychedelia o il punk (che per me non fu nulla di nuovo – anzi piuttosto reazionario – ma indispensabile) o l’industrial (che piaccia o no, pur senza grandi boom commerciali ha fatto da ponte tra avanguardie colte e rock sperimentale/progressivo, inseminando tutta la musica a venire) o il post-punk o la nuova rivoluzione elettronica/laptop dei primi ’90. Ma almeno non rischieremo più di farci rifilare una nuova buttata di grunge su scala globale: il giorno dell’esplosione planetaria dei Nirvana è stato uno dei momenti più tristi e deprimenti di tutta la mia vita! Per la prima volta nella storia la musica faceva un salto a piè pari nel passato tout court (molto peggio di Stravinskij che si reinventa neoclassico, del punk inglese finto arrabbiato che entra a gamba tesa sui 50s, persino del pasley e della neo-psychedelia degli 80s), e con l’aggravante delle camice a quadri da boscaiolo.
E poi, guarda, il problema è semplicemente che invecchiando, se sei un appassionato di musica ossessivo compulsivo con un numero spropositato di dischi e cd è difficile sentire un solo suono che non ti faccia scattare collegamenti mnemonici a qualcosa che hai già ascoltato: però succede anche se sei un conoscitore di pre-war ed ascolti rock dei 60s.

simonbalestrazzi_int4SODAPOP: Sei stato per un po’ a New York, per lunghi periodi vivi a Parma e per altri in Sardegna. Il fatto di venire da un’isola in che modo ha influenzato il tuo approccio a questa specie di “nomadismo”, d’altra parte per le conoscenze che ho avuto i sardi sono profondamente attaccati al loro territorio ma spesso crescono con la prospettiva di doverlo lasciare.
SIMON: a dire il vero io sono parmigiano e mi sono trasferito a Cagliari dal 1999. Ma già dal 1981 ho cominciato ad allontanarmi dalla mia città (già al momento della formazione di T.A.C. facevo il pendolare tra Parma e Firenze dove studiavo). E non sono per niente attaccato alle mie origini e neppure più di tanto alla Sardegna nonostante sia un territorio molto affascinante.
Forse è semplicemente nella mia natura adattarmi a luoghi diversi anche se non amo particolarmente neppure questa vita da nomade forzato. E i collegamenti tra Sardegna e penisola fanno schifo.

SODAPOP: Stai attraversando una fase ultra prolifica: hai colaborato con Ikue Mori, z’ev tanto per citare due dei più conosciuti. Sei arrivato dove desideravi arrivare? Ed ora dove intendi andare?
SIMON: intendi “arrivato” in termini professionali? Guarda che ormai “arriva” solo qualche popstar fortunata o i ragazzini che si gonfiano dopo il primo album DL o qualche centinaio di “mi piace” di fianco al loro nome. Comunque no, non sono ancora arrivato da nessuna parte! Sono appena all’inizio. Nel momento in cui mi sentissi arrivato, qualunque significato tu voglia attribuire al termine, per me vorrebbe dire che non ci sono altri luoghi da esplorare. O la condanna a ripetere se stessi e i propri cliché. Cose molto tristi entrambe. Progetti ce ne sono molti. Qualcuno spero di riuscire a realizzarlo. Sicuramente mi piacerebbe tornare a suonare dal vivo sia da solo che con Dream Weapon Ritual e Candor Chasma. C’è in via di rifinitura un nuovo lavoro con Z’EV ed uno, dedicato a Ballard, con Gianluca Becuzzi e Corrado Altieri. Sto cercando una label per l’album di esordio e fresco di mastering di Sarang, un duo con l’ex T.A.C. (e tante altre cose) Enrico Marani. Altre collaborazioni che stanno prendendo forma. E infine mi piacerebbe entro l’anno rendere di nuovo operativi i T.A.C. Tante cose, vediamo. Nella musica come nella vita mi piace viaggiare senza mappe e non possiedo un tomtom…