Dura la vita per il Canvas Festival di Parma: da subito il Comune si dimostra restio a concedere le autorizzazioni all’uso delle varie location in cui le performance avrebbero dovuto tenersi, segno di una provincia italiana che, a livello istituzionale, sa essere grande solo negli scandali ma è del tutto incapace di valorizzare gli slanci provenienti da realtà che agiscono sul territorio. La cosa è tanto più grave se si pensa che i nomi in cartellone sono di livello internazionale (tra gli altri Fennesz, gli Earth, Ricardo Villalobos e Max Loderbauer). Si aggiunge poi la scossa di terremoto del 27 gennaio che costringe a un repentino cambio di sede il concerto di Ben Frost. Infine arriva il maltempo, che fa temere per l’annullamento della data di stasera.
Noi facciamo un atto di fede: temendo un viaggio di ritorno in condizioni proibitive prenotiamo il pernottamento a Parma e, speranzosi nello svolgimento del concerto, scendiamo nel pomeriggio, trovando il capoluogo ducale sotto una fitta nevicata; l’artista è però già arrivato in città, rompendo l’accerchiamento del maltempo, e l’esibizione ci sarà. Era già stato annunciato che, a causa della permanente inagibilità dell’Auditorium del Carmine, Tim Hecker avrebbe suonato nella chiesa di Santa Cristina, sull’antica via Emilia, gentilmente messa a disposizione dal parroco. Trattandosi di un concerto in cui l’organo sarà protagonista, la scelta, pur forzata, di una chiesa barocca si rivelerà, in fin dei conti, ancor più felice della sede originariamente prevista: l’ambiente si adatta particolarmente alla proposta musicale di stasera, maestoso e al contempo raccolto, riccamente decorato ma senza eccessi che a volte caratterizzano l’arte del Seicento. L’organo è posto sopra il portale d’ingresso, il pubblico è quindi fatto accomodare sui banchi della chiesa orientati con le spalla all’altare. Noi entriamo poco prima dell’inizio e abbiamo modo di apprezzare fugacemente gli affreschi che decorano le volte e le pareti, prima che il musicista accede alla cantoria, sistemi il laptop e si posizioni alla tastiera, spalle al pubblico. Le luci vengono abbassate e restano solo due ceri sulla balaustra a incorniciare la figura del musicista, posta al centro di una croce ideale le cui braccia sono delimitate orizzontalmente dalle due finestre che illuminano le cappelle laterali e verticalmente dall’asse che va dalla porta alla vetrata della navata centrale, da cui filtra la flebile luce gialla proveniente dalla via prospiciente: si può cominciare. La scaletta, se così si può chiamare, dato che la musica fluirà ininterrotta per tutto il concerto, si basa quasi interamente sul recente Ravedeath, 1972, ma mai come in occasioni come questa l’ascolto dal vivo rappresenta un’esperienza che le registrazioni non possono ricreare: il suono dell’organo, filtrato e mesmerizzato dal computer, ci viene rimandato dall’amplificazione e dal riverbero naturale del luogo, facendo sì che tutta la chiesa pulsi e faccia da cassa di risonanza; le onde sonore sembrano provenire da ogni direzione, diventando quasi tangibili. Abbiamo così modo di riscoprire la musica nella sua essenza, dato che a livello spettacolare il musicista non concede asolutamente nulla e dalla nostra posizione appare completametne fermo e concentrato sugli strumenti. A parte un piccolo problema tecnico all’inizio, con un improvviso calo del volume, il concerto prosegue senza intoppi, col suono che, in lente spire, si rarefà e si addensa, riuscendo a dare, nonostante i toni scuri e l’austerità del luogo, una sensazione d’estasi, di tempo sospeso. Invece i minuti passano e dopo poco meno di un’ora, con la lentezza che ha contraddistinto tutta la performance, il suono si abbassa fino a spegnersi, le luci si accendono, Tim Hecker estingue la fiammella dei due ceri con un soffio e tutto è finito. È dura riacquistare peso e tornare sulla terra, sebbene l’ambiente della chiesa prima, l’atmosfera ovattata della città poi, attutiscono il trauma. Chissà che chi di dovere si muova e ci dia la possibilità di avere altre serate come questa, capaci di fare incontrare alcuni artisti internazionali e la provincia più vitale, la musica contemporanea e i luoghi d’arte. Sarebbero queste, occasioni da non sprecare.
Foto di Elena Prati