Sons of Viljems: Grigio di Londra

Sons

Quella dei Sons of Viljems è una storia nata per caso, in una città che offre molteplici possibilità di collaborazione e, ovviamente, anche molti stimoli per metterle in campo. Andrea Giommi, chitarrista italiano già conosciuto per aver militato in importanti band post punk/wave come Edible Woman e Leg Leg, proprio in quel della City viene in contatto casualmente nel 2013 con un altro musicista, ovvero il bassista sloveno Nejc Haberman dell’ensemble etno-jazz Jazoo. Da qui partono i primi ragionamenti su un suono da gestire assieme che però prende una reale forma solo a partire dal 2018, quando i due cominciano a lavorare su singole tracce e a suonare regolarmente dal vivo (condividendo anche il palco con gente del calibro di Charles Hayward dei This Heat).
Il primo biglietto da visita del duo è il brano Touch me not, pubblicato per l’etichetta elettronica londinese Sound and Sons e accompagnato dal video di Bojan Brbora; pezzo indicativo della loro ricerca che si muove nel coacervo di una strumentalità ibrida, fatta di tensioni avant rock e rarefazioni ambientali. La band comincia quindi a performare dal vivo anche con il sound artist e compositore di colonne sonore Filip Sijanec ai synthcollaborazione che ha anche fruttato due nuove tracce, la liquida strumentalità avant di Jelena e la canzone dal sentore post-blues di Unthinking, e nello stesso periodo allaccia i rapporti con la svizzera EEEE di Vasco Viviani. Il 24 aprile 2020 è la volta quindi del brano 40 in E, registrato durante il lockdown assieme a Sijanec, che continua a veicolare un suono magmatico ma con più leggerezza e maggiore ricerca melodica; una jam che lambisce evanescenze alla Hood virandole in una chiave kraut sporcata di cosmicità.
Nel 2021 il duo/trio torna a farsi sotto con due nuove uscite che mettono ordine nella loro visione, per certi versi anche ampliandola: da un lato un omonimo EP digitale per Sas Recordings, tre tracce in cui si fanno strada visioni dal sapore future jazz; mentre i brani Jelena e Steaming Black Sea, con la loro magmatica tensione cupa, riempiono i lati di un 7” uscito per l’inglese Fang Bomb.
Abbiamo colto l’occasione di queste nuove release per parlare con la band del loro approccio sonoro e delle visioni che animano un linguaggio così particolare e interessante.

La foto dei Sons of Viljems sono di Giulia Delprato: instagram / twitter

 

L’ibrido magma sonoro di Andrea Giommi e Nejc Haberman

SODAPOP: Stranieri che si incontrano a Londra. Sembra un buon inizio per parlare della nascita del progetto. Come nasce il nome che avete scelto?
ANDREA: Ci siamo incontrati per caso. Quando sono arrivato a Londra nel 2013 non conoscevo nessuno. Una sera sono andato insieme alla mia ragazza a vedere un concerto piuttosto orrendo al Cafè Oto (roba di droni senza senso, quelle cose indifendibili che scimmiottano l’avanguardia seria e che per qualche motivo finiscono negli stessi ambienti dove si fa avanguardia seria, ma sto divagando). Tutti erano intenti a fingere di godersi il concerto tranne una ragazza ubriaca che ballava e cadeva sulla gente seduta ai tavoli. Abbiamo fatto amicizia, e la settimana successiva ci ha invitato a una cena, lì c’era Nejc. Ci siamo stati simpatici e abbiamo capito che entrambi venivamo da mondi musicali inconciliabili, ho pensato che fosse una buona premessa per mettersi a jammare, mi piacciono le sfide e l’incongruenza. Abbiamo passato due anni a suonare sporadicamente solo per adattare i nostri stili e trovare un suono “nostro”. È stato un processo molto lento e solo nel 2018 abbiamo cominciato a fare concerti con continuità.
Il nome è figlio di questo processo. Non avendo nulla in comune abbiamo dovuto trovare l’unica cosa che ci accomunasse in quel momento: mio padre si chiama Viliam (sì con la V), il suo si chiama Viljem, praticamente l’equivalente sloveno. In più quella J mi ricordava i Wooden Shjips con cui ho suonato spesso con Edible Woman…

SODAPOP: Provenite da diverse esperienze pregresse, Andrea dal math e post-rock di Edible Woman e Leg Leg, nonché dal kraut degli Emerald Leaves, mentre Nejc dal nu-jazz etnico degli Jazoo. Potete raccontarle brevemente cosa vi siete portati dietro nei Sons of Viljems?
ANDREA: Io credo che una delle cose più tenere e interessanti riguardo ai musicisti sia che sono sempre uguali a se stessi. Persino quelli più eclettici: si sente sempre il loro stile, o più precisamente il loro limite. Io mi sento di avere sempre più o meno lo stesso songwriting. E penso di cercare sempre lo stesso equilibrio tra songwriting e “fughe” strumentali. L’arrangiamento della musica e il suo propendere più verso un genere o un altro dipende dai musicisti con cui suono. Una cosa che è diversa in questa band rispetto alla musica che facevo prima è la dinamica: con Sons of Viljems esploriamo il silenzio e il minimalismo. E partiamo sempre da improvvisazioni basso – chitarra. Credere in ogni singola nota e cercare il vuoto così come il fragore sono lezioni che ho imparato da Nejc.
NEJC: È difficile trovare un senso di continuità tra Jazoo e Sons of Viljems, ma credo che la ricerca di ritmiche spezzate e le note “bassissime” col basso siano gli elementi che più sono passati da un progetto all’altro.

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SODAPOP: Dal vivo vi accompagna spesso il compositore e percussionista Filip Sijanec, presente anche in diverse vostre registrazioni. Com’è nata la collaborazione? Diventerete mai un vero e proprio trio in questo senso?
ANDREA: Se diventeremo un trio ancora non lo sappiamo. Filip è incredibile. Uno di quei personaggi che si incontrano in grandi città piene di gente di talento come Londra. È un chitarrista jazz con formazione di conservatorio, un compositore di musica per media e con noi suona synth e batteria elettronica, oltre ad aver curato il sound design di molte delle tracce che abbiamo registrato finora. In studio è un vulcano e dal vivo ha la giusta attitudine: è lì per divertirsi. Abbiamo anche suonato live con Moormur alla batteria, e precedentemente abbiamo fatto un paio di concerti con la percussionista Marie Roux.

SODAPOP: Venendo più espressamente alla musica, il vostro suono è intercettabile in una sorta di post-rock venato di avant e di jazz, e che procede in modo magmatico. Si tratta di qualcosa di molto cinematico ed evocativo, quasi come delle piccole ost. È così?
ANDREA: Sì lo è. Il procedere magmatico è una caratteristica a cui teniamo molto. Una delle due labels con cui lavoriamo, Sas Recordings, fa musica per media visivi, e noi abbiamo esordito con Touch me not, una suite di 8 minuti accompagnata da un bellissimo video girato da Bojan Brbora. Anche Filip si occupa di musica per film, come vedi la connessione tra suono e immagine è sempre stata parte del progetto.
La definizione di post rock un po’ mi spiace, ma torna sempre, deve essere un po’ vera, legata sicuramente al suono “americano” della chitarra. Io penso che ci sia anche una connessione con certe cose di Morricone e David Axelrod, e un richiamo al nordic jazz.

SODAPOP: Siete partiti con due brani dai titoli molto particolari, Unthinking e Touch Me Not. Come sono nate queste due tracce e cosa raccontano di voi?
ANDREA: Touch Me Not è la prima cosa che abbiamo registrato e pubblicato, è una canzone che ha veramente pochissimi elementi, dove si affaccia la ricerca di una dinamica sonora ampia ottenuta con pochissimi strumenti (contrabbasso elettrico, archetto, basso e chitarra elettrici e fuzz distortissimi), una melodia quasi folk che si perde in un incubo di pulsazioni di basso e chitarre alla David Lynch.
Unthinking è ispirata dai film del regista Albert Serra, dal libro Unthinking the Greek Polis: Ancient Greek History beyond Eurocentrism di Kostas Vlassopoulos e da un vecchio disco hardcore come Progression through Unlearning degli Snapcase. È una canzone sul concetto di identità e come questa possa indicare una forma di resistenza, o altrove una orribile e retriva forma di auto consolazione e di chiusura mentale. Io sono un nemico giurato della facile identificazione, soprattutto quando questa si manifesta nell’identità nazionale o familiare.
Anche nell’ambito artistico, quando le coordinate di un progetto sono troppo chiare e telefonate sento puzza di bruciato. La sfida di Sons of Viljems è creare una musica che contenga elementi riconoscibili, ma che siano tutti “affogati” da una pece scura che rende tutto meno intelligibile.
NEJC: Riguardo alla genesi di Touch Me Not... un’amica mi disse che il suo compagno stava per gettare un contrabbasso elettrico nella spazzatura, sono riuscito a salvarlo prima che ciò accadesse. La linea di basso principale del pezzo è la prima cosa che sono riuscito a suonare su quel basso, le altre parti della canzone sono venute fuori in maniera molto spontanea, quasi senza pensarci, e una settimana dopo eravamo in studio a registrare il brano.
Il titolo è stato scelto da me: ero ai Kew Gardens, il più grande giardino botanico di Londra, e vidi questa pianta chiamata Mimosa, detta appunto “Touch me not”; quando la sfiori le foglie si ritraggono e l’effetto è visivamente eccezionale. Ci sembrò un bel titolo per il pezzo, e l’idea del ritrarsi, di qualcosa di sfuggente, è anche alla base del video che accompagna il brano.

SODAPOP: Ascoltandovi, pare che il vostro metodo compositivo parta dall’improvvisazione per poi far quadrare il tutto alla fine. È così?
SONS OF VILJEMS: Verissimo. Ci si siede e si suona, quasi senza parlare e sicuramente senza pensare.

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SODAPOP: Nel vostro EP omonimo uscito quest’anno almeno in due brani sono forti alcune componenti future jazz ed elettroniche, per certi versi anche solari in alcuni frangenti o comunque maggiormente melodiche, mentre nel 7’’ uscito a stretto giro avete rimarcato il vostro lato più noir e fumoso. È una precisa dichiarazione di intenti per il futuro oppure ancora non sapete dove vi porterà la vostra ricerca?
ANDREA: Questa doppia pubblicazione è il risultato di una session in studio con Simon Small, un eccellente tecnico del suono che ha lavorato in passato coi Mono, tra gli altri. Quella session è stata il compimento di due anni di lavoro insieme a Filip, un mettere un punto su di un periodo in cui il nostro sound si è evoluto moltissimo. Volevamo pubblicare sia con Sas Recordings che con Fang Bomb e abbiamo trovato un modo per suddividere un materiale molto eterogeneo in due releases distinte ma gemellate. Non siamo entrati in studio con l’idea di fare un album, ma solo con l’idea di vedere a che punto eravamo nell’evoluzione del nostro suono. A causa della pandemia la pubblicazione è slittata di un anno, ma siamo già tornati a suonare live e l’interesse per il materiale pubblicato ci ha favorevolmente sorpreso. Ora faremo qualche concerto in più: questa band lavora molto lentamente, e il nostro metodo è frutto di esperienze ed errori passati. Ora ci assicuriamo che la musica abbia il suo “posto” prima di pubblicare materiale; il risultato è che siamo riusciti a fare una quarantina di concerti e a suonare fuori dal Regno Unito con solo 6 tracce pubblicate, e qui a Londra suoniamo sempre in locali pieni, il che è francamente eccezionale considerando quanto ostico sia il materiale.
Plain Sight e Hackneytronics hanno entrambi elementi elettronici e un gran lavoro su groove di batteria elettro acustica e basso. Si alternano elementi wave, jazzy, afro… Con Filip e Nejc c’è molta attenzione al groove, e in futuro questo elemento rimarrà presente nella nostra musica, non a caso Sas Recordings pubblica prevalentemente ottima musica elettronica.
Anche il lato più industriale, drone e ambient che caratterizza il 7” su Fang Bomb rimarrà con noi, così come il lato più legato al songwriting.

SDAPOP: I due brani del sopracitato 7’’, ovvero Jelena e Steaming Black Sea, muovono da astrazioni cupe in cui si possono leggere in controluce riflessi di Black Heart Procession nel primo e dei Calexico nel secondo. Il tutto rivisto con una vostra specificità “fluttuante”, eppure mi sembra di poter dire che si tratti di band che hanno avuto una qualche influenza su di voi.
ANDREA: Confesso. Non ho mai ascoltato i Calexico in vita mia. I Black Heart Procession sì invece, e benché non siano un’influenza conscia, è molto possibile che risuonino nella nostra musica, perché c’è un approccio simile ad un folk scarno e disperato. Inoltre scrivere melodie in tonalità minore è tipico di certo folk americano e si ritrova nel modo “balcanico” in cui Nejc scrive le melodie, perché in Sons of Viljems spesso la melodia parte dal basso!

SODAPOP: Nel vostro suono sbuca spesso una componente astratta che tira in ballo frammenti avant noise o comunque dilatazioni che spezzano con la forma canzone, da dove deriva?
ANDREA: È in parte già presente in fase di scrittura, e si accentua in studio. Questo è un terreno in cui il mio background rumorista e il comune background jazzistico di Nejc e Filip si incontrano alla grande. Su Steaming Black Sea ci sono percussioni iper riverberate, droni di basso distorto, su Unthinking una delle percussioni è in realtà un secchio pieno di chiodi, su Jelena ci sono tape recordings filtrati con il moog e strisciate di corde di pianoforte. Il silenzio, il rumore sono gli elementi da cui le canzoni emergono come statue ancora imprigionate nella materia.

SODAPOP: Se dovesse citarmi qualche disco in particolare che sia propedeutico al vostro suono, cosa mi direste?
ANDREA: Labradford s/t, Popolous Night Safari, Coil Musick to Play in the Dark Vol. 1, David Axelrod Song of Innocence, Becker and Mukai Time very near, Andrea Belfi Natura Morta, Massive Attack Mezzanine, Dawn of Midi Dysnomia.
NEJC: 75 Dollar Bill I Was Real, Daniel Norgren Buck, Alabaster De Plume To Cy and Lee: Instrumentals Vol.1.

SODAPOP: Bhe, il 7’’ immagino sia l’antipasto di qualcosa di più sostanzioso che arriverà in futuro. Potete anticipare qualcosa?
ANDREA: Abbiamo un piano: faremo qualche concerto per sostenere queste releases, poi penseremo a registrare il nostro primo disco. È già scritto, dobbiamo solo arrangiarlo e suonarlo. Abbiamo già individuato lo studio dove registrarlo, stiamo parlando con 3 etichette per pubblicarlo e vorremmo che avesse il contributo di tanti musicisti che lavorano in questa meravigliosa scena londinese.
Abbiamo lavorato molto bene finora pubblicando singoli ed EP, è ora di confrontarsi con un full lenght e di andare in tour.