Piergiorgio Pardo: Un Gusto Superiore

Conosco Piergiorgio Pardo da diversi lati, come scrittore e come musicista. Nel primo caso per le sue parole su Blow Up che ho seguito per diversi anni (mentre ora potete trovarlo su Billboard Italia), per il secondo come componente degli Egokid, scoperti qualche anno dopo. Visto l’annuncio della pubblicazione di questo libro, edito da Crac Edizioni, ho subito pensato a cosa avrei potuto trovarci dentro. Già dalla copertina infatti, un incrocio tra Volo Magico N.1 ed IRA, supponevo uno zibaldone in cui sarebbero confluiti anni di storia, di parole e di canzoni. Canzoni che, in qualche modo, immaginavo di avere mie, come quei 45 giri che ai tempi si alternavano nel Juke-box che stanziava a casa nostra. Poi ho aperto le prime pagine, letto l’Introduzione di Guido Bellachioma e tirato dritto fino alla postfazione di Giulia Cavaliere. In mezzo un mondo nel quale mi ci sono ritrovato, libero di saltare i generi in nome di una libertà artistica ed umana impagabile.

Tracimare.
Di massa d’acqua, superare per aumentato livello gli argini o gli sbarramenti, straripare, traboccare
Così si intende leggendo Un Gusto Superiore di Piergiorgio Pardo l’andare oltre, il superare le barriere stilistiche della musica pop da parte degli artisti da lui citati ed intervistati. Si percepisce infatti la curiosità e la passione nel provare a non frenarsi di fronte a regole e steccati predefiniti. Non una combriccola del famolo strano a tutti i costi però, ma pionieri in qualche modo di un abbattimento degli steccati artistici di riferimento. Che tutto questo poi sia successo nel mondo della musica pop degli ultimi 60 anni ci dimostra quanto velocemente il mondo musicale si muova, tra un’ondata ed un’altra. Un libro che è un atto di amore nei confronti dell’arte, una maniera di passare informazioni utili ad aprire nuovi mondi (Chetro & Co e Leone Tieri per conto mio, sui quali mi sono ovviamente fiondato nella ricerca senza purtroppo trovare qualcosa al di fuori dei folli prezzi da collezionisti) ed a rileggere ed analizzare personaggi e vere e proprie icone.

Ma non di sole stelle cadenti infatti si compone la galassia descritta da Piergiorgio, anzi.
Sono invece i nomi più noti ad essere spesso più audaci, probabilmente perché la loro popolarità e la fiducia che ne conseguiva gli permettevano artistici voli pindarici, come questa Suite per un’anima di Mia Martini, creata con la collaborazione dei fratelli La Bionda. Infatti questi sentori e questi sentimento sono baloccati nelle mani e sulla voce di molti, da Lucio Battisti a De André, da Morgan a Fabio Cinti, da Franco Battiato a Ivan Cattaneo.

Raccontarvi di più del libro sarebbe superfluo ed inutile. è uno di quei testi da tenere in pole position ed abbruttire di appunti a matita, ricerche e pensieri, perdendosi nelle testimonianze di chi c’era con il corpo, chi con la mente e chi, anni dopo, percorre altre strade che, come quelle del passato, ricercando una musica aperta, libera e vitale. Mi sembrava però interessante buttarci nelle pagine dello stesso libro con l’autore, che ci porta con sé sulla sua personale strada.

SODAPOP: Piergiorgio, credo di averti conosciuto anni fa sulle pagine di Blow Up per poi essermi innamorato follemente degli Egokid (dei quali però persi un bel po’ di storia, recuperandovi soltanto dal 2011 via, quindi da quello splendore che è Ecce Homo). Mi sono trovato a leggere Un Gusto Superiore praticamente di un fiato, spinto dalle storie, dalle evoluzioni e dai dischi che citi. Per quale motivo ti sei buttato in questo progetto? Avresti voglia di darci qualche punto nella tua crescita musicale e di interesse? Come ti sei avvicinato alla musica ed a “questo” tipo di musica, il cosiddetto cantautorato progressivo?

PIERGIORGIO PARDO: Ti ringrazio molto per questo ricordo degli Egokid e in particolare dell’album a cui sono più legato fra quelli che abbiamo inciso mentre la band era in attività. Diciamo che tanto gli Egokid, quanto questo libro sono frutto dell’amore di tutta una vita per quello che la parola può dire quando si realizza un punto di empatia, di coincidenza emotiva fra l’atto creativo riguardante la musica, quello riguardante il testo, quello riguardante l’interpretazione vocale e quello riguardante l’arrangiamento. Un poker d’assi, insomma, in cui però gli assi sono “…bada bene, di un colore solo…” , come dice Francesco De Gregori, e possono essere nascosti o giocati a piacimento di chi ascolta. In questa libertà consiste a mio avviso il significato della parola progressive, anzi “progressivo”. Progressivo è, nei miei ascolti, come nel libro, tutto ciò che, pur non potendo fare a meno del formato canzone e della coincidenza tra i quattro assi di cui ti parlavo, non si accontenta di usare il formato canzone così com’è. Lo forza, lo espande, oppure lo comprime, o disarticola. Progressivo è libertà, ambizione, scoperta, atto di presunzione che coglie nel segno. Quest’anno ad oggi non ci sono ancora dischi che mi abbiano folgorato, ma il disco più progressivo del 2022 è per me Mr. Morale & the Big Steppers di Kendrick Lamar. Kendrick ha scritto di avere, tramite questo disco, “…trovato l’imperfezione.”. Lo ha fatto contaminando il formato canzone, perché anche quelle di Lamar sono canzoni con una loro grammatica precisa, anche se viene dal rap, e ci ha messo dentro il recupero del blues, il teatro, i flirt con la trap, il rock, il free jazz. Un disco così ambizioso, sbilanciato, imperfetto, denso, coraggioso, con brani di minutaggi imprevedibili, che se ne frega delle radio e di Spotify, che si serve della tecnologia più attuale per poi suonare senza tempo, è un disco progressivo. Ed è progressivo anche perché il suo successo porta avanti la musica. Nel ’72 toccò a Supper’s Ready, ora a Mother I Sober, o ad un pezzo dei Tame Impala o di Bon Iver. Credo di essere stato coinvolto da questo modo di intendere la musica da quando respiro. E di averlo sempre studiato, anche inconsapevolmente. Non mi accade con un tormentone estivo, salvo che non siano cose come Il Vento caldo dell’estate, o Musica Leggerissima e non mi accade con una canzone sanremese, a meno che, di nuovo, non siano cose come Jesahel, Una Emozione da Poco, Vacanze Romane, Sette fili di canapa o La leggenda di Cristalda e Pizzomunno, giusto per fare degli esempi.

SODAPOP: Il cantautorato è un settore che è ormai entrato nella sua terza età, prendendo per buono l’utilizzo di tale termine alla fine degli anni ’50 in Italia. Questa fascia artistica si è dimostrata, fortunatamente, in grado di tracimare dal proprio seminato, caratterizzando la canzone italiana negli anni. Leggendo le tue pagine ci si scontra con lati oscuri di personaggi noti, veri e propri outsider e nuovi personaggi laterali. Mi chiedo, però, come sia la possibilità attuale di conoscenza e di riscontro rispetto ad un genere (comunque orecchiabile e diretto) da parte del pubblico, considerando i numeri che facevano gli artisti più grossi 60 anni fa. Se ragiono sui numeri di un Parco Lambro, confrontati all’oggi, forse solo un MI AMI paragonabile a livello di numeri. Che tipo di attenzione rilevi, dalla tua esperienza di musicista e di giornalista, rispetto a questo tipo di musica?

PIERGIORGIO PARDO: Il sottotitolo del libro è il cantautorato italiano progressivo dal beat al bit. Dunque il problema che poni è anche uno degli argomenti fondanti del tutto e una delle ragioni per cui mi sono avventurato in una “mission impossible” del genere. Se avessi pensato che era meglio prima o che è meglio adesso, non avrei impostato il libro così. La sfida che ho affrontato è stata quella di cercare una continuità fra vari mondi che sembrerebbero contrapposti.

SODAPOP: Interessante a mio parere rilevare quanto queste “progressioni” fossero appannaggio di nomi comunque inseriti nel mondo pop italiano, che sembravano avere la libertà ed il bisogno di provare a spingersi oltre. Ne Un gusto superiore citi IOSONOUNCANE (che presenzia anche in copertina) come uno dei personaggi attuali in grado di muoversi in questo ambito. Personalmente ho ascoltato ed approfondisco spesso volentieri le sue produzioni per Tanca, gli esordi di Vieri Cervelli Montel e Daniela Pes che apprezzo per la loro libertà. Pensando al suo esordio, La Macarena su Roma, ormai di 13 anni fa, penso si potesse già rilevare lo scalpitare in brani e modelli troppo stretti. Che altre figure attive ora, se potessi entrare nella loro testa o nel loro tessuto produttivo, vorresti far esplodere? Quali secondo te sono già tracimate?

PIERGIORGIO PARDO: Daniela Pes non è nel libro semplicemente perché il disco non era uscito, né aveva una data di pubblicazione mentre stavo ultimando la stesura. Stessa cosa per l’ultimo Lucio Corsi. BLUEM è un’altra cantautrice, anche lei sarda, che comincia a “scalpitare” verso stravolgimenti del formato canzone. Marco Giudici, un altro della scuderia 42 records, con il suo esperimento Io cerco per sempre un bivio sicuro ha proposto il work in progress come formato vendibile, riportandoci addirittura a quello che facevano i gruppi del Rock In Opposition. Rareš è anche lui un nome da tenere d’occhio, Sterbus, che non ha avuto la fortuna meritata fino ad ora, ha scritto dischi notevoli, così come Ze In The Clouds. Se fossi nella testa di questi ultimi tre, direi loro di sposare ancora di più una estetica dell’ibrido, in loro cantautorato e musica progressiva coesistono ancora in maniera giustapposta.

SODAPOP: Che tipo di percezione hai avuto con i musicisti da te intervistati? Artisti fuori dal mondo odierno o in qualche modo connessi rispetto a quello che succede artisticamente in Italia o nel mondo? Citi Colombre, recentemente ho letto di un incrocio fra Flavio Giurato e Lucio Corsi a Roma e Colapesce ed Emiliano Colasanti insieme ad Enzo Carella, Andrea Tich con Snowdonia (oltre ovviamente a Fausto Rossi con gli Egokid). Che tipo di passaggio di consegne c’è stato fra le generazioni promotrici?

PIERGIORGIO PARDO: Non c’è stato. Aver lasciato morire un talento come quello di Enzo Carella, o aver relegato ai margini figure come Tich, Giurato, Faust’O, Mauro Pelosi, lo stesso Ivan Cattaneo e l’elenco potrebbe continuare all’infinito è una colpa. Se alcuni questi autori sono stati interpellati, ed in qualche caso fanno ancora dischi, non è per un avvenuto passaggio di consegne, ma perché a dispetto della indifferenza generale, dei musicisti hanno compiuto atti d’amore nei loro confronti. Il merito è della musica, che in qualche modo vince sempre, come tutte le forme d’amore, non della industria.

SODAPOP: Ho scoperto solo andando a ripassare alcuni nomi che citi nel tuo lavoro una cosa molto interessante, ovvero la collaborazione fra Alessandro Fiori e Misto Mame, collettivo di Roma. Trovo che i dischi solisti di Alessandro siano una freccia colorata al cuore e questa apertura a mondi assolutamente distanti ma in qualche modo uniti da creatività impazzite e bizzarre possano essere potenzialmente esplosive. Da ascoltatore credi ci siano dei matrimoni fra più artisti che ancora non si sono consumati e che ti piacerebbe sentire?

PIERGIORGIO PARDO: Ce ne sono di infiniti e come tali inimmaginabili. Mi piacerebbe sentire un disco in coppia di IOSONOUNCANE e Caterina Barbieri. Se ci leggete ragazzi, pensateci.

SODAPOP: A chi non sei riuscito ad arrivare con questo lavoro? Se potessi avere altre pagine da dedicare al Pop progressivo da chi torneresti a bussare?

PIERGIORGIO PARDO: Alla porta di Max Gazzé. Nel libro sono intervistati diversi personaggi importanti, ma i contatti con lui non sono andati a segno. Per questo Max Gazzè non è nel libro. Non ho avuto modo di verificare con lui alcune mie interpretazioni della sua concezione di songwriting e arrangiamento e dunque ho tenuto da parte la sua scheda. Chissà che un giorno non scriva una monografia che lo riguarda. Con Enzo Carella i contatti erano già avviati, ma è morto prima che potessimo avere un confronto sui temi del libro. E credo che ormai siano diventati “di gusto superiore” anche Venerus e Giovanni Truppi. Con loro ho parlato più volte, ma no di questo. Una seconda edizione partirebbe dai loro usci di casa, sperando non mi caccino.