In una serata tutto sommato fresca di fine estate, l’installazione Ablazione Sonora, ideata da Neunau nell’ambito del progetto artistico-scientifico Un Suono In Estinzione, prende forma più strettamente musicale al parco dell’Acqua di Brescia con il nome Zona Di Ablazione, all’interno delle iniziative del RAAA Festival: sarà una composizione per ghiaccio, acqua e aria quella che risuonerà sotto le rinascimentali mura venete che fanno da quinta al prato antistante la Casetta Dell’Acqua, all’interno della quale è allestita la versione “breve” e in formato installazione del progetto di stasera.
L’idea alla base di questa performance è proprio quella di dilatare il tempo dell’ascolto, orchestrando cronologicamente un maggior numero di campionamenti raccolti nello spazio di un’estate nel ghiacciaio dell’Adamello, dando vita a una suite di una ventina di minuti dove, annunciati e congedati dalle voci dei ricercatori registrate in loco, i suoni del ventre del ghiacciaio si prendono la scena, spartendola con le luci che seguono l’intensità dell’insolazione di una giornata e con la performance di Elisabetta Consonni che, percorrendo una linea del tempo di 24 ore che si allunga nel prato fino all’edificio, scandisce il trascorrere della giornata, a mo’ di meridiana umana.
“Se un albero cade in una foresta e nessuno lo sente, non fa rumore”, diceva il teologo irlandese George Berkeley. Varrebbe la stessa cosa per un ghiacciaio che si scoglie, non fosse per quei registratori bioacustici calati nei crepacci che ne hanno intercettato le frequenze sonore e per il musicista che ce le restituisce in forma strutturata: anche solo per questo, quello che stiamo per ascoltare ha il carattere dell’eccezionalità; l’interesse della performance non si ferma tuttavia a questo. Infatti, nel succedersi di drone profondi, sfiati, tonfi, crack improvvisi, che talvolta danno addirittura l’impressione di toccare l’ascoltatore (non oso immaginare l’effetto in uno spazio chiuso), ci appare progressivamente chiaro come la differenza con quanto si può ascoltare nell’installazione – della quale questa versione è un’ovvia emanazione – non sia tanto quantitativo, quanto qualitativo: la maggior durata permette di percepire con esattezza i vari cambi di stato – in particolar modo il fenomeno della fusione – e se va persa la vertigine che l’ascolto della più concisa di Ablazione Sonora provocava, si guadagna un’inedita percezione dello spazio, arrivando quasi a visualizzare l’antro di ghiaccio e le misure sovrumane entro cui l’entità-ghiacciaio agisce, un mondo “altro” ma quanto mai concreto.
In occasione della presentazione di Ablazione Sonora parlammo di dark-ambient: il termine è calzante anche in questo frangente, una composizione dal suono dilatato e oscuro, e diventa anzi più pregante pensando come le fonti sonore utilizzate riportino il secondo termine, “ambient”, all’originaria accezione, conferendo al tutto un significato ancora più pieno. “Dark”, se volete, può essere invece associato alla prospettiva che ci si apre davanti, quella di un mondo dove i ghiacciai si avviano a sparire nel giro di un secolo. Non è certo un caso che, giunti alla fine, dopo crescendo che toccano frequenze da rumor bianco, echi di sgretolamento che si fanno ritmo e improvvise irruzioni del silenzio, il percorso della performer termini in un vicolo cieco, faccia al muro della casetta.
A pochi giorni da questa esibizione il progetto scientifico Un Suono In Estinzione ha trovato spazio, a livello nazionale, sulle pagine di Repubblica con un articolo e un’intervista, parallelamente all’annuncio di nuove installazioni di Ablazione Sonora ed esibizioni di Zona d’Ablazione: se l’idea di musica di ricerca, nel senso più ampio del termine, ha senso oggi, è certamente per operazioni come questa, dove è impossibile stabilire il confine che separa scienza ed arte, e dove anzi i due aspetti si valorizzano e completano a vicenda.