Brutti, sporchi, fastidiosi, non inventano nulla i NETN ma lo fanno benissimo. Potrebbe essere di Winnipeg o di Cincinnati ma sono italiani come il vino buono, incazzosi come la rogna ed in your face come gli insulti fra gli automobilisti. Sei pezzi intorno ai tre minuti, ed è continuar a sentire che lo stivale vomita, vent’anni dopo Putiferio ed ODM (un brano si chiama proprio così tra l’altro, ed un secondo Gerda, che sia una sorta di tributo ai padri?) ancora reietti come questi. Nulla di nuovo sotto il sole, schiaffi del soldato, tiro fortissimo, pezzi orecchiabili e voce credibilissima. Oliati, a fuoco e deraglianti, come macchine impazzite. Lunghezza precisa, non annoiano e fanno muovere sia rotelle che rotule, non saprei che altro aggiungere, se non che è bello ritrovarsi così, fra vecchi amici che non si conoscono!
Capita a tutti di cadere vittima di un duo techno pop ceco, vero? Perché resistere ai Berlin Mansion, sappiatelo, è praticamene impossibile. Korobushka Records, conosciuta seguendo un pazzo noisemaker ed inventore che risponde al nome di Petr Valek e…boom, fall in love di un duo che unisce attitudine street, Jimmy Sommerville, scenari gangsta in rosa è grigio e sax. Il ceco è una lingua a me oscura, tossica più del tedesco, impasta e rimbalza male, ferendoci al cuore. Ci sono? Ci fanno? Impossibile per me dirlo, ma l’ipnosi è immediata, le tastiere suonano da dio e tutto quel che vorremmo sarebbe soltanto consolare cuori Marco in un l’altra pivo. Rapping duro e tosto, produzioni arcade, immaginario fortissimo, Moroder è molto più che una semplice influenza, è un mondo in cui i robot hanno vinto ma due di loro hanno un fottuto cuore. Inutile girarci intorno, non so nulla di loro, questo ep è il loro debutto dopo qualche singolo sparso, sono la cosa più eccitante da ballare e da urlare che mi sia capitata sotto tiro di recente. Come Pufuleti tirato dritto sotto botta chimica, 15 minuti e trenta di follia e di libertà, grazie ragazzacci!
Quante volte questo adagio ha messo in scacco movimenti ed idee? Innumerevoli nel corso dei millenni, da questo concetto parte Dino Tagliaferri a meditare in quattro atti sul concetto di divisione e separazione. Il suono iniziale è sparso e circospetto, di una tribalità nomade e cittadina, che mi rimanda istintivamente ad esperienze passate come Tasaday. A tratti pare il suono di una città dormiente, si una civiltà spenta, inconsapevole dell’operosità della minuzia sonora intorno a sé. Foschia, foschia ovunque, tam tam che non salgono ma ci avvertono circolari che qualcosa, sotto batte e spinge, nonostante tutto. Secondo le tags di Bandcamp l’operato dovrebbe essere frutto di improvvisazioni in solitaria, il che ben rappresenterebbe il sentore ramingo e fluido dell’opera. Conosco molto poco di Maschere Personæ, progetto alla sua seconda uscita per RSTNX dopo Sonno Blu del 2021. So però che c’è intensità e sostanza qui dentro, il viatico di Giona Vinti aka Fekete, un’idea di riflessione proattiva, musica e suoni che avvolgono, stupiscono e stimolano.
Rock in pompa con inserti elettronici per i The Somnambulist, mix glassato da una voce che sembra essere quello di un imbonitore televisivo. Poi piccole stortezze, toni più gravi e cupi, come partire dal grunge per andarsene proprio, in Belgio passando da Cleveland attraverso LA. Personalità originale, lambiscono ipotesi che danno idea del percorso fatto in questi ultimi cinque anni e delle esperienze maturate prima in Elton Junk, Caboto ed Hotel Ambiente. Non so che dire, rimbalzano nel mio cervello è non riesco a venirne a capo, di sicuro è un non allinearsi che vedrei bene al rock, ora cerco una camicia di flanella e riattacco con le siga.
Cinque pezzi per questo progetto bolognese, Bromance, che vede dentro di se nomi più o meno noti relativi a progetti come Ofeliadorme, Melampus, The Boozers e Buzz Aldrin. Rock’n’roll scuro e disperato, come se suonando credessero di salvarsi dalla pece che suppurano. Echi degli anni ‘80 più marci, livore, atmosfere tetre, citazioni stoogesiane in Four Seasons Souvenir, voci e strumenti al posto giusto. Il fatto che non siano di primo pelo li rende ancor più schietti e sinceri. Batteria tribale, voce sguaiata, sudore, linee dritte e sporche. Fanno questa roba qui, siano avvisati gli astanti, lasciate l’allegria fuori e sgasate le birre.
Torna a farsi sentire Manuel Lieta, dopo l’esperienza Stardog (un album ed un EP nel 2009), ormai da tempo trasferitosi a Berlino. Se ne vanno le stelle ed arrivano i fantasmi, il progetto è in solo e si muta in Ghostdog per un EP di cinque brani con la collaborazione di diversi amici alle strumentazioni e di Alexander Hacke per la registrazione delle voci. Suggestioni caracollanti e sofferte, pathos, voce romantica e sofferta, la giusta attenzione agli arrangiamenti, il tutto sembra sempre sul perenne punto di sfascio ma Manuel riesce a tenere il tutto con personalità e melodia. Meglio le trame oscure di quelle solari, cuirosi di capire quel che di nuovo arriverà…
Anche per questo mese è tutto, buona giornata a tutti…