The Man From Atlantis – Tales Of Ordinary Sadness (Ramble, 2022)

Casco sull’uomo di Atlantide dopo aver percorso su e giù il catalogo dell’etichetta che gestisce, Ramble Records a Melbourne. L’uomo in questione è Michael Sill, braccia, voce e mente. Il disco è stato composto e registrato in un periodo di merda per l’autore, usando come ispirazione per le composizioni le gesta di Henry Chinaski. Quel che salta all’orecchio è la delicatezza della voce di Michael, esile ed a tratti sfasata, come se ammaestrarla fosse troppo per il proprio possessore. Indisciplinata ma carica di vibrazione, che avvolge e scende da un immaginario pendio. A tratti segue la musica, a volte no, creando stridori estremamente affacinanti come quelli contenuti in Standing on the verge of here and there. Ci trovo le scorribande della premiata ditta Grubbs & O’Rourke, così come dei Supreme Dicks sedati e quintalate di folk e vecchio blues. Musica aperta ed agreste, adatta a scorticarsi la pelle sotto al sole, in compagnia di qualche alcool distillato nella baracca. In Boo Hoo spinge pesante ed acido e, continuando così anche nella seguente We Really Need To Walk non si fatica a vedere il baratro o il vicolo cieco di tanti momenti difficili nella vita di una persona. The Man From Atlantis non ê musicista che lascia a metà le cose, calca con la mano pochi ed esplicativi concetti. Rotta di collo, stortura, distorsione, suono flebile e secco, una doppia voce profonda ed ubriacante in What Excuse?. Il disco e Michael alla fine si dimostrano forti e coriacei, magari proprio utilizzando questa musica come unguente lenitivo per il periodo oscuro e mostrando il loro lato più umano e fragile sono riusciti, giro dopo giro, accordo dopo accordo, a ricostruirsi ed a ripartire.