In modalità padre e figlia mi reco (colpevolmente) per la prima volta al Teatro Sociale di Bellinzona, piccola struttura cittadina, raccolta ed accogliente, che si riempie man mano di un pubblico eterogeneo. Parte casual, parte elegante, sembra soddisfare la peculiarità richiesta da Kety Fusco, da sempre alla ricerca dell’unione fra le diverse popolazioni culturali nella qualità che può avvicinarle, la curiosità. Il palco è ancora libero, al centro le due arpe, una classica ed una elettrificata, due piccoli monitor su di un bel tappeto e luci viola di contorno.
La serata ha un ospite a presentare, un Nick Antik bello lucido, ad introdurre l’artista della serata. Kety appare in scena dopo uno sketch comico, promettendo di farci entrare in un sogno (od in un incubo) dal quale ci risveglieremo a fine serata.
Il suono è sinuoso e cristallino, fin dalle note iniziali gioca con i livelli, le sporcizie, gli oggetti, il movimento che si fa gesto artistico, l’epica. Il suono delle due arpe a sovrapporsi fino a creare una sensazione ipnotica e toccante, con un senso del ritmo e della musicalità spiccatamente pop pur muovendosi in mondi piuttosto aperti, tra psichedelia, neoclassicismo ed elettronica. Nel medesimo brano si può velocemente passare da una colonna sonora immaginaria con tocchi folclorici est-europei a ganci melodici quasi dance senza che questo provochi sgomento o sensazioni bizzarre. All’entrata di Clelia Jennifer Mosca, ballerina e già compagna di conservatorio di Kety, il tutto acquista ancor più fisicità e dinamismo, per un quadro semovente di ritmo, manualità, movimento e coordinazione. Lo show è accompagnato dai visuals creati e gestiti da Sharon Ritossa e Gabriele Ottino che riescono a trasmettere la passione e gli ideali della musicista, creando un collegamento continuo tra racconto visivo e sonoro.
Quando gioca con i toni più bassi apre letteralmente lo spettro sonoro, riuscendo a riempire più livelli in maniera organica e costruendo suoni e canzoni strumentali perfettamente quadrate dal nulla. I terzi dello spettacolo vengono reintrodotti da Nick Antik visibilmente emozionato: sinceramente non sono un ammiratore degli spiegoni durante i concerti, soprattutto da chi introduce la serata, poiché credo porti lo spettacolo più in area showcase e venga meno la magia del concerto e dell’artista ma tant’è…
Kety in ogni caso non perde né ritmo di magia e ci trasporta in una sorta di dub vocale caldo ed aereo, con fraseggi ritmici, picchi melodici e passaggi che ricordano alla mia giovane accompagnatrice il suono magico del suo carillon. Poi ancora danza, brevi rintocchi che riescono a segnare il tempo sempre e comunque, con dita ed idee che centrano spesso il bersaglio. Ad un ascolto superficiale questa universalità di suono potrebbe sembrare cerchiobottista ma credo piuttosto siano voli divertiti, onesti e sinceri, dai ritratti paesaggistici ai salti in discoteca. Quando poi urla e picchia sulla console è impossibile non volerle bene, guidata da filmati che invocano la furia della natura riesce ad uscirne con un suono lacerato ma che mantiene una filigrana melodica spettrale (anche se, ovviamente, ci piacerebbe si incattivisse ancora di più). La conclusione è lasciata ad un brano eurodance con il cantato tenebroso del presentatore che si trasforma in hype-man per il gran finale. Poi scheggia libere, mani che corrono veloci come raggi laser, echi di Jean-Michel Jarre e Freddy Naggiar, prima dell’applauso liberatorio.
Kety Fusco e Clelia Jennifer Mosca
Ora non resta che attendere i prossimi passi dell’artista toscana: per il momento le priorità sembrano essere la costruzione del suo strumento ed il secondo capitolo del suo The Harp. A tale proposito, nel caso voleste rinfrescare quel che ci raccontò nello scorso anno, tornate qui: