Kety Fusco – THE HARP, Chapter I (Floating Notes, 2023)

Ricordo ancora quando vidi per la prima volta dal vivo Kety Fusco. Era il mese di maggio di 4 anni fa e la scritturammo per un concerto al Centro Diurno Socio Assistenziale che allora coordinavo (non ero nuovo a boutades del genere, ci passarono anche Aldo Becca, Paolo Monti, Valerio Marras, Forse). Quel che mi rimase impresso era la prospettiva che Kety sembrava avere. Avrei potuto scommetterci dei soldi quel giorno, ed oggi passerei all’incasso. Dopo Dazed, dopo la sua My Gnossiene in compagnia di Zeno Gabaglio e prodotta da Aris Basseti. Dopo le collaborazioni con Clap Clap, Lubomyr Melnik, le prime edizioni del suo Floating Notes Festival è tornata.
Presentazione del disco nella Elgar Room della londinese Royal Albert Hall, concerti in tutto il mondo, che gli si vuol dire?
Che tutto questo scompare ascoltando i diciannove minuti del primo capitolo della trilogia THE HARP. Un’arpa elettrica, un’arpa classica, elaborazioni elettroniche. Non che io sia un intenditore di arpa, del resto Kety è forse l’unica arpista che conosca, ma mi diletto di musica da qualche anno ed il lavoro che si sente in questo disco è certosino, sognante, visionario, curato. Rimanendo al territorio mi rammenta le prime cose che ascoltai di quello che poi diventò l’esordio di Zeno Gabaglio. Musica sperimentale suonata con una cura ed un tocco classico, mescolando con sapienza vuoti e pieni. Il lavoro è stato composto a 1700 metri di altezza insieme ad Alessio Sabella, prodotto dai due insieme ad Aris Bassetti, con il contributo di IOSONOUNCANE per confronto creativo ed ispirazione. È un disco in cui si sente il divertimento di Kety nell’andare verso ed oltre i propri limiti, nell’aprire porte sicura di poter trovare oltre le soglie materiale con cui giocare. Un disco di tensioni e di rilasci, di semina e di tracce, che verranno sicuramente disvelate con i prossimi capitoli. Un disco ombroso, oscuro e misterioso, che svela il fascino dell’autrice per i non detti, le tensioni ed i misteri. Si dice che chi ben comincia è a metà dell’opera: qui siamo solo ad un terzo, il livello è parecchio alto ed il fascino musicale pure.

Con così tante domande aperte raggiungiamo telefonicamente Kety Fusco, reduce da un Sold Out il 3 marzo alla presentazione ufficiale di The Harp: Chapter 1 alla Royal Albert Hall di Londra. Tra linee ballerine e comunicazioni instabili la prassi di domanda e risposta si trasforma ben presto in un dialogo che spero risulti interessante quanto la sua musica.

SODAPOP: Ciao Kety, Londra? Cos’è successo? Com’è andata?
KETY: Sto realizzando ora pian piano, sono ancora sotto shock, il concerto in realtà è andato molto bene! Il concerto a Londra è stato un lavoro che ha preso diverso tempo. Con la mia manager abbiamo iniziato tempo a spedire ai nostri contatti il dossier dei tre album che avrebbero composto The Harp e tra questi c’era anche la programmatrice della Royal Albert Hall, che ci ha risposto dopo un giorno dall’invio dicendoci che avrebbe voluto organizzare la presentazione del disco sul loro palcoscenico. Una risposta sorprendente anche perché in Inghilterra ero una signora nessuno non avendoci mai suonato e, partendo da zero ho sentito una grande pressione.

SODAPOP: Immagino la pressione ma presumo anche una certa libertà, dettata dall’adesione così spontanea di una venue così storica. Si percepisce di come sia stato il culmine di un lavoro di promozione capillare che ha preso diverso tempo ed un investimento importante…
KETY: È stato un lavoro enorme, certo, soprattutto visto il periodo storico. Calcoliamo che il mio precedente album, Dazed, uscì nella primavera del 2020, appena un attimo prima che tutto il mondo si bloccasse. Proprio per questo il nostro intento è stato quello di dare tutto per far arrivare i suoni dell’arpa al maggior raggio di pubblico.

SODAPOP: Questa apertura si percepisce, anche in una semplicità d’accesso alla tua musica. Non sembra mai elitaria, non conosco nessun’altra arpista ma ascoltando il tuo lavoro non ho nessun percepisco nessun tipo di difficoltà ad entrarci, pur essendo lavori che viaggiano su binari non propriamente ortodossi. Informandomi online ho letto che hai iniziato a suonare l’arpa a 6 anni, compi quindi in quest’anno i 25 anni di onorata carriera. Cosa pensavi allora? Quali erano i sogni di Kety Fusco bambina? “Diventerò una musicista”?
KETY: Proprio così! Anzi, diventerò una concertista più che una muscisita, volevo suonare dal vivo e volevo farlo da sola! Ho iniziato a suonare l’arpa essendo una bimba iperattiva ed il dedicarmi ad uno strumento poteva essere una buona via per canalizzare le mie energie. Il primo grande passo in questo percorso è stato il termine dei miei studi al Conservatorio della Svizzera Italiana, nel 2018. Poi Dazed. Oggi, nel 2023, l’essermi esibita alla Royal Albert Hall a Londra è un altro passo importante. Mi fa capire che posso crescere ancora. Siamo riusciti ad organizzare dei concerti in Brasile, in Messico, uscendo dai miei confini, ampliando sempre di più la mia rete di esperienze.

SODAPOP: A livello discografico hai proprio cambiato pianeta, passando da una realtà consolidata come Sugar Records a Floating Notes, realtà nuova (prima in forma di festival musicale a San Bernardino e poi etichetta discografica) e della quale sei una delle principali artefici. Raccontaci…
KETY: Con Sugar siamo arrivati naturalmente alla fine di un rapporto dopo la pubblicazione del primo album. Capimmo entrambi che non era quella la strada giusta, per quel tipo di mercato non ero adatta. Nel contempo, in anno di COVID, mi sono voluta mettere in gioco in prima persona. Volevo suonare, volevo far arrivare i miei suoni ed i suoni che nel frattempo avevo iniziato a sentire miei a San Bernardino, dove risiedo. Calcola che per me dopo la fine del Conservatorio si è aperto un vero e proprio mondo musicale, con l’inizio della collaborazione con i Peter Kernel, la scoperta di musica che non fosse classica ed accademica, di un vero e proprio mondo “altro” rispetto alla norma. In un contesto che sentivo mio come quella montagna ho voluto restituire qualcosa (nelle edizioni del 2021 e del 2022 si sono esibiti al festival artisti come Camilla Sparksss, Adriano Koch, Simon Berz, Chiara Dubey, Leoni Leoni, Peter Kernel, Noemi Büchli, Beatrice Graf, Niton, Viz, Mario Batkovic e Marta Del Grandi. Avrei qualche succosa anticipazione sull’edizione del 2023 ma ancora non ê tempo, pazientate amici pazientate…) ed il passo verso un’etichetta discografica è stato comunque una sorta di coronamento.

SODAPOP: In quante persone lavorate a Floating Notes?
KETY: Attualmente siamo impiegati in due persone e mezzo per l’etichetta, mentre per il festival c’è un movimento molto più ampio di persone.

SODAPOP: Come funzioni a livello compositivo e produttivo? Spesso lavorando in casa, con un’etichetta propria, presagisco il “pericolo” di non avere un orecchio critico rispetto alle proprie produioni e composizioni. Tu ti affidi ad orecchi esterne?
KETY: Lo faccio soltanto quando ho chiuso una parte od un disco, che non potrò più modificare, per avere un riscontro reale. Sono tendenzialmente insicura e quindi preferisco seguire il mio istinto e le mie sensazioni: facendo entrare troppe persone nel mio processo compositivo rischierei di lambiccarmi troppo. Se sento di aver espresso quello che avevo in mente, se percepisco la collaborazione in atto come funzionale, per me è finita e posso farvi entrare un orecchio esterno.

SODAPOP: In che maniera è entrato Jacopo Incani in questo processo? Nel comunicato stampa si evidenzia come IOSONOUNCANE ha contribuito nel fornire ispirazione e confronto creativo…
KETY: Gli avevo mandato delle parti, interessata a quello che avrebbe fatto lui con il suo mondo non utilizzando l’arpa. Ho preso poi spunto dai suoi rimandi sonori e li ho fatti miei, elaborandoli con la mia strumentazione.
SODAPOP: Cosa ti muove e cosa ti smuove artisticamente?
Fino alla mia partenza come compositrice e quindi alla genesi di Dazed i miei ascolti erano limitati alla musica classica, quindi è stata la mia entrata in un mondo più aperto. Per questo disco mi sono ispirata a situazioni, ad un altro tipo di attitudine che poi trasferisco al mio strumento. Vivendo a San Bernardino (una località montana al 1600 metri di altezza circa) trovo una connessione ad una parte più intima di me inserita nella natura e di conseguenza cerco anche un contatto più viscerale allo strumento, cercandone il centro, il cuore. Mi piace ispirarmi a momenti di vita che di base non andrei a cercare. Sto cercando di vivere cose che mi portino a suscitare movimenti che vadano a smuovere sensazioni, dolorose o no, che mi facciano creare.
Il 13 gennaio 2072 morirò: questo video ricorda ciò che è stato. La mia melodia mi accompagnerà nel trapasso, ricordandomi che il mondo era bello prima del mio arrivo. Non amavo il mondo in cui vivevo e per questo esso non mi ha permesso di restare più a lungo“. 2072 è uno dei singoli estratti da the Harp. Come ti proietti ad 80 anni? Sarai ancora una musicista? Un’artista? Altro?
Ahi…è una bellissima domanda, di sicuro posso dire che mi vedo come artista, ho bisogno di toccare l’arpa, di suonarla. Di sfogarmi lì e con lei, anche se non so se riuscirò a tenermi fino ad arrivare a lì. Essendo iperattiva non mi stanco mai fino a quando non crollo. Prima mi dedicavo completamente a questo e suonavo fino ad 8, 9 ore al giorno, ora mi limito a 2 o 3 ore. Sono nata con un arpa in mano…morirò con un arpa in mano?

SODAPOP: Come gestirete l’opera The Harp? Una trilogia di cui è appena uscito il primo capitolo…
KETY: Uscito questo volume si inizierà con il centellinamento dei singoli, a partire dai prossimi mesi, poi il prossimo anno arriverà la stampa in vinile. Un altro progetto che si accompagnerà alla trilogia sarà la costruzione di un’arpa, progettata come se l’arpa non fosse mai esistita, partendo da zero.

SODAPOP: Progetto ambizioso! Come ti poni rispetto alle uscite discografiche? Supporto fisico o supporto digitale? Il tuo pubblico ti chiede ancora i dischi a fine concerto?
KETY: Sinceramente, nel mio ambito stilistico ritengo i canali digitali con questo genere un po’ poveri..questo poi è un disco che va ascoltato anche e soprattutto in situazioni e con delle prospettive differenti, non con delle Airpods! Ho una buona richiesta di supporto fisico da parte degli ascoltatori, che sono abbastanza variegati, sia a livello anagrafico che di estrazione musicale. Non essendo riuscita a stampare Dazed su un supporto fisico ci tenevo che questi prossimi passi fossero tangibili.

SODAPOP: Ho sempre trovato la tua musica libera e sperimentale ma con una soglia di accesso molto bassa, per nulla elitaria, non mi stupisce quindi di rilevare questa risposta a livello di ascoltatori.
Grazie mille per tutto Kety, ci aggiorneremo al prossimo capitolo.