Cari ragazzuoli (pronunciato possibilmente con un marcato accento emiliano), appena dopo aver ascoltato Orange Canyon di Skullflower (a cui va reso merito di esser sempre un gran signore), passo al disco su Stunned di questo ragazzo pugliese e pur trattandosi di modi diversi di fare musica freak, la qualità non si abbassa, si rimane sempre a livelli non comuni, tant’è che quest’anno il nostro “paisà” era fra gli ospiti del Kraak festival, visto che altrove spesso apprezzano certe cose molto più che non in casa, ma fin qui nulla di nuovo.
Donato Epiro a molti di voi sarà sconosciuto, ma se aveste la pazienza di andarvi a fare un giro in rete scoprireste che invece questo ragazzo di quasi trent’anni ha suonato il basso con i post-rockers tortoisiani Comfrort, ha fatto parte di ensemble contemporanei in cui suonava il flauto traverso (che ha studiato in conservatorio) e oltre a spararsi una serie di CDr e di vinili su etichette varie si è anche dedicato con successo (visti gli splendidi risultati) al frea(k)-folk. Strumenti acustici, percussioni, richiami psichedelici, kraut e melodie acide che fanno risalire alla memoria capelloni vintage, anche se il pugliese è chiaramente figlio del suo tempo e sia che usi strumentazione acustica sia che si butti a pesce in inserti elettronici, lo fa sempre con un gusto modernissimo. Il nostro grande capo di Sodapop mi faceva notare come ogni risposta sia calibrata con la maturità di un adulto che di strada ne ha macinata parecchia e credo che avrete modo di constatarlo da voi, oltre che rimanere stupiti di fronte alla qualità impressionante dei suoi lavori. Last but not least il pugliese da qualche tempo ha dato vita ad una splendida etichetta di CDr (confezionati come piccole opere d’arte) con cui ha fatto uscire alcuni lavori davvero interessanti, per cui vi suggerisco di dare un assaggio pure a questi: accattatevillo!
SODAPOP: Donato, ti ho scovato da poco e quasi per caso, solo dopo aver visto una serie di vinili, in realtà poi è saltata fuori una discografia piuttosto corposa e molto variegata. Per quanto la maggioranza del tuo materiale abbia una forte impronta melodica, ho visto che hai suonato dal free/freak-folk alla musica contemporanea. Come hai iniziato a suonare, registrare, interessarti di produzioni indipendenti? Autodidatta o conservatorio? Raccontaci…
DONATO: Ciao Andrea, innanzitutto grazie per esserti interessato al mio lavoro. La mia formazione musicale è di tipo accademico (per la precisione sono un flautista); ho cominciato gli studi classici da bambino per poi abbandonarli ad un passo dal diploma, paradossalmente proprio nel momento in cui la musica cominciava ad interessarmi sul serio; la scoperta di mondi musicali di cui ignoravo l’esistenza mi conquistò totalmente e finii per allontanarmi dall’ambiente musicale in cui ero fino ad allora cresciuto e che cominciava a sembrarmi sempre più noioso e poco stimolante. Da allora ascolti sempre più vasti ed approfonditi, insieme ad alcuni fortunati incontri, hanno progressivamente formato quella che è oggi la mia personalità ed il mio gusto musicale. Come avrai potuto ascoltare, nelle mie composizioni il flauto è quasi completamente assente o poco predominante, è però uno strumento a cui mi sto gradualmente riavvicinando e non escludo che in futuro possa rivestire un ruolo più importante nella mia musica. Parallelamente agli studi ed ai concerti classici, ho cominciato a suonare con diverse band (di rock progressivo, psichedelia e garage) e nei primi anni universitari sono entrato in contatto con alcune realtà indipendenti italiane, iniziando a collaborare con gruppi della scena di Pisa e Livorno (era appena uscita la compilation 15id Fifteen Italian Dishes che ne raccoglieva le testimonianze). E’ stato in questi anni che mi sono fatto le ossa, approfondendo lo studio di altri strumenti, suonando in contesti e situazioni anche molto diverse (post rock, noise, contemporanea, impro ed elettronica) ed imparando le tecniche di registrazione e produzione. Nessuno dei progetti a cui ho preso parte mi ha però mai soddisfatto pienamente, ho sempre sofferto una certa frustrazione dovuta all’incapacità di riuscire a concretizzare le idee ed il suono che avevo in testa, a questo aggiungi poi i problemi nel relazionarsi a collaboratori che non riuscivano, probabilmente per pigrizia o scarso interesse, a rapportarsi alla musica con la mia stessa intensità e curiosità. Da qui la scelta, direi forzata, dal momento che nonostante tutto adoro suonare in gruppo, di lavorare in solo alle mie composizioni; condizione questa che, se da un lato permette di avere pieno controllo sulla propria musica, dall’altro pone davanti mille problemi pratici i quali però, almeno nel mio caso , si sono rivelati essere nient’altro che nuove possibilità creative.
SODAPOP: Ad ogni modo, pur avendo un buon numero di lavori solisti ho sentito parecchi cd in cui tu compari come ospite, nella scrittura o suonando qualche strumento, quindi questa cosa di suonare con gli altri forse l’hai mantenuta. Per di più ho visto che non sei neppure uno così ossessionato da usare un moniker solo di modo da essere sempre riconoscibile. Non pensi che a livello di notorietà sia controproducente? Perché c’è l’interesse a ricordarsi tutti i gruppi in cui suona gente come Kevin Shea e non quelli dove suona Donato Epiro?
DONATO: Quello delle collaborazioni è un caso a parte. Le trovo stimolanti e mi permettono di sconfinare ed esplorare territori musicali anche molto diversi dal mio; sono inoltre uno sfogo per la mia anima da strumentista, che raramente viene fuori nei miei dischi in solo, in cui l’approccio agli strumenti è quasi sempre molto istintivo e poco convenzionale. Si tratta però di progetti in cui il mio apporto è stato limitato o estemporaneo; gli album a cui ho partecipato restano dischi in cui ho creduto, anche molto, ma che, al contrario di quelli in cui può aver preso parte, cito il tuo esempio, un musicista come Kevin Shea, la cui impronta è sempre molto forte, non saranno mai ricordati per i miei interventi, studiati in modo tale da essere il più possibile discreti e funzionali alle caratteristiche sonore che il progetto di turno richiedeva; di alcuni di questi, per una ragione o per l’altra, non ho poi più seguito gli sviluppi. Al momento l’unica collaborazione che porto avanti è quella con i Maisie, gruppo in cui sono ormai entrato in pianta stabile, inizialmente come arrangiatore, adesso, per la composizione del nuovo album, anche come autore. Sono sempre stato un grande amante della canzone ed in particolare di alcuni autori italiani, e Cinzia ed Alberto (titolari anche della Snowdonia) lasciano sfogare il mio amore verso questa forma musicale in piena libertà, dandomi fiducia e spronandomi continuamente. E’ vero, molto probabilmente l’essermi lanciato in diverse direzioni può essere stato controproducente a livello di notorietà e di messa a fuoco del mio personale discorso musicale, ma penso sia stato fondamentale in termini di vita ed esperienza, artistica e non; da qualche tempo sto cercando di concentrarmi con più forza sulla mia musica, spinto anche dal discreto riscontro che il mio ultimo album (Sounding The Sun, uscito per l’americana Stunned Records) sta riscuotendo (per lo più all’estero); le idee ed i progetti in cantiere sono tanti; staremo a vedere…
SODAPOP: Sei pugliese come Fabio Orsi, come la In a Silent Place, come Ivan Iusco e la Minus Habens, a cosa pensi che sia dovuto l’emergere, anche in passato, di musicisti ed etichette provenienti dalla tua regione e che la differenzia da altre aree del meridione dove oltre ad esserci meno possibilità c’è anche meno movimento? La Sacra Corona Unita supporta la musica indipendente? O tutto merito di Nichi Vendola?
DONATO: Saranno le proprietà miracolose del nostro olio di oliva a renderci così attivi e produttivi. In realtà a me la situazione non sembra così rosea: la Puglia, in cui sono tornato da circa un anno, resta una regione in cui vivere è difficile, in cui ad una condizione sociale ed ambientale indignitosa, si accompagna una povertà culturale ed una mancanza di attenzione verso progetti e idee che sembrano già in partenza destinati/condannati a cercare spazio altrove, spesso all’estero. Ti assicuro che qui non c’è né movimento, né ci sono possibilità, resiste solo la perseveranza di alcuni (pochi, sempre gli stessi) che, per qualche misteriosa ragione, si ostinano nel tentativo di rendere più vivibile un territorio che sembra remare contro qualsiasi possibilità di cambiamento e rinnovamento. C’è molta rabbia che si alterna, delle volte, a momenti di rassegnazione. Nonostante tutto continuano a spuntare, isolati, fiori meravigliosi: ti segnalo un gruppo di Taranto, i Microwave With Marge, attivo da circa due anni, con alle spalle un’intensissima attività live, ed appena uscito con il suo primo album (coprodotto da una serie di etichette indipendenti, fra cui la mia Sturmundrugs).
SODAPOP: Ho visto che hai fatto uscire materiale in diversi formati e che hai un’etichetta (la Sturmundrugs, appunto), che problemi impone un mercato dove si vende sempre meno soprattutto su formati tipo cdr e cd mentre ad esempio per molti ultra appassionati rimangono ancora fondamentali vinili e cassette? C’è futuro per i “formati” musicali tradizionali o andiamo verso ad un mondo di mp3?
DONATO: Quello della condivisione dei file musicali è un processo inarrestabile ed irreversibile, penso sia ormai un dato di fatto, ma gli appassionati continueranno a comprare album, che siano in cd, cdr, cassetta o vinile; potranno godere della possibilità di un ascolto in anteprima per evitare acquisti sbagliati, e questo non è poco, ma in fin dei conti non rinunceranno al piacere di possedere e “toccare” la loro musica. Molti dei blog (spesso tematici, alcuni veramente splendidi!) che postano, insieme a recensioni ed informazioni sugli artisti, link da cui poter scaricare interi dischi, riportano la scritta: “download to know, purchase to support!”. E’ una filosofia questa che mi trova pienamente d’accordo; è questo quello che io faccio. Sono contento quando trovo un mio album scaricabile gratuitamente da un blog, significa che la mia musica sta girando, che interessa qualcuno. Spesso poi quel qualcuno mi contatta, comincia ad ascoltare altri miei lavori, ad acquistarli. Da un punto di vista strettamente economico la mia condizione non migliora ma nemmeno peggiora. Ne guadagna però la mia visibilità. Io, che non vivo di musica, non percepisco questa crisi del mercato musicale, anche perché almeno in quello che è il “nostro giro”, parlare di mercato musicale mi sembra anche abbastanza azzardato. Pretendere di mantenersi con gli incassi delle vendite di cinquecento, ma fossero anche mille o duemila copie, mi sembra cosa alquanto improbabile Per quel che riguarda la mia label, la neonata Sturmundrugs, posso dirti che il primo album prodotto (Michael Jantz & Kabyzdoh Obtruhamchi – Bouts-Rimйs; 120 copie) è già, ad appena un mese e mezzo dalla sua uscita, sold out. Non ho avuto alcuna difficoltà a trovare distribuzioni all’estero, sia in America che in Europa, e parecchie sono le copie che mi sono state ordinate direttamente dal sito dell’etichetta; in Italia ne ho vendute solo due… la cosa mi fa riflettere ma non mi demoralizza affatto. Dall’estero ci guardano con curiosità ed interesse e proprio da realtà indipendenti italiane (Centre Of Wood, Palustre, Troglosound)… continuano ad essere prodotti dischi che affiancano ad un contenuto musicale validissimo, un packaging sempre più curato, vero valore aggiunto, questo, del disco inteso come oggetto, a mio parere, requisito imprescindibile per un album prodotto in edizione limitata e, più in generale, ulteriore possibilità per un’etichetta o un artista di racchiudere la propria creatura in un immaginario che sia non solo udibile, ma visibile e tangibile.
SODAPOP: Da quello che dici si evince che non vivi di musica e quindi come concili musica e lavoro ed eventualmente relazioni? So che sembra una domanda stupida, ma per quanto da una parte gente come John Russell dica che ad esempio attorno all’improvvisazione non sono mai girati molti soldi, la maggioranza delle persone non trova molto senso nel fare una cosa “non remunerativa”. Per di più in una nazione ed in un momento con così poco interesse per “la cultura” la musica ha ancora molto dell’hobby adolescenziale… per caso lo è? E se anche fosse è negativo o positivo? Non ti capita mai di sentirti uno sfigato!?
DONATO: Riuscire a conciliare tutto è qualcosa di estremamente faticoso, ma non riesco a pensare la mia vita in altro modo; adesso poi che gli impegni quotidiani sono un ostacolo sempre più ingombrante, mi rendo conto di quanto esprimermi musicalmente sia la risposta ad un’esigenza istintiva, quasi primitiva (presa di coscienza, questa, che sta anche incidendo fortemente su quello che produco); soddisfare un bisogno così profondo ed intimo, sebbene non porti ad alcun guadagno significativo, contribuisce a che io non impazzisca in questo mondo arido e saturo di brutture, e mi tiene vivo, vivace, propositivo, mi dà quotidianamente opportunità di scoperta ed alimenta la mia curiosità. Non mi sembra poco. Capisco però che a qualcuno un discorso del genere possa sembrare assurdo o infantile. Vivere la musica diversamente, con ansie, ambizioni ed immaginifici traguardi di successo (è questo che è adolescenziale) o con il pensiero di dover fare un tot di uscite o concerti per poter sbarcare il lunario, significherebbe distruggere questo “incantesimo”. Tutta la mia stima a chi riesce a fare della musica il proprio lavoro, senza intaccare la purezza della propria arte, gestendosi in maniera indipendente e suonando ovunque sia possibile, in qualsiasi condizione: io proprio non ci riesco, non reggo certi ritmi, mentalmente ma, soprattutto, fisicamente. Forse parlo così perché, almeno per il momento, ho la fortuna di avere un lavoro abbastanza flessibile; dovessi lavorare costantemente per otto ore al giorno, probabilmente non reggerei lo stress e la stanchezza; sarei troppo esausto per suonare e dedicarmi alla composizione così come vorrei, non reggerei una situazione simile ed allora si che spinto da un’altra paura, quella di essere costretto a soffocare la mia indole, rimetterei tutto in discussione e cercherei ad ogni costo di dedicarmi ad una vita completamente votata alla musica. Non escludo, vista la precarietà in cui viviamo oggi, che ciò possa succedere. Questo non significa che il mio approccio alla musica, così come è adesso, comporti meno fatica, concentrazione, cura e tempo, o che un tale atteggiamento porti necessariamente a risultati qualitativamente mediocri o scadenti; non voglio però nemmeno far credere che questa sia in assoluto la condizione migliore per portare avanti una qualsiasi attività creativa: mi piacerebbe poter comporre ogni volta che ne sento il bisogno e con la dovuta tranquillità, registrare con gli strumenti ed i microfoni che non ho e che mai potrò permettermi, essere supportato economicamente ed incoraggiato artisticamente. Un’utopia, in cui non posso più permettermi di sperare (ho ventotto anni e devo anche essere realista). Eppure è di questo, almeno in sostanza, che necessita un progetto per poter esprimere a pieno le proprie potenzialità, per potersi concretizzare, per poter avere la visibilità che merita, per poter crescere. Io proprio non riesco a pensare alla musica come ad un hobby, ma molto probabilmente è così che il mio rapporto con essa viene percepito da molti (per fortuna non da tutti). E’ veramente limitata l’idea che associa al professionismo l’immagine di serietà e la sicurezza di una fantomatica superiorità qualitativa. Penso sia inutile dirti che la maggior parte dei dischi che ho in casa e che più ascolto sono lavori di musicisti non professionisti o di nomi, ormai entrati nella storia della musica, che hanno comunque sofferto, malgrado la loro indiscutibile grandezza, una vita di stenti. Agli occhi di qualcuno probabilmente sembrerò uno sfigato, ma io continuo semplicemente ad interessarmi ed a fare quello che amo e che mi riempie la testa e l’esistenza da ormai più di 15 anni.
SODAPOP: mi sembra un argomento molto interessante, mi dici alcuni nomi di musicisti “non professionisti” e o “sfigati” che ami? Ma soprattutto, non pensi che per alcuni quest’idea del “non-professionismo” faccia sì che alcuni musicisti/artisti come te rimangano ancorati al “basso”? Non parlo solo della musica, d’altra parte se Carmelo Bene non fosse stato come era anche quello che diceva non avrebbe avuto la forza e l’appeal che ha avuto. Non pensi che in questo a volte ci sia il timore di “scoprire” di non essere dotati come si desiderava/sognava? Raccontarsi di essere dei musicisti/artisti incompresi di questi tempi è sempre una soluzione comoda non trovi?
DONATO: Non c’è nessun vittimismo nelle mie parole. Ognuno fa le sue scelte di vita; io le ho fatte, tenendo conto di tanti e diversi fattori. Sono stato un ottimo strumentista in passato ed avrei potuto lavorarci con la musica: ho preferito intraprendere un percorso diverso, più libero e personale ma più incerto, che ha comportato e comporta delle rinunce ma che continua a darmi ancora molto. Non so quanto questo possa effettivamente incidere su quello che faccio e sulle sue possibilità di riuscita, non soltanto artistiche; fatto stà che progetti e musicisti che nel loro ambito hanno raggiunto quello che potremmo definire “successo”, mi sembra non riescano a svoltare ed assestare quel colpo di coda che dalla buona recensione, dall’articolo sulla rivista di riferimento, pemetta loro di passare ai fatti di una “carriera” vera e propria; sembra che ci sia davvero uno scarto fra il mondo musicale virtuale ed il mondo reale con cui bisognerà ad ogni modo confrontarsi. Ripeto, non è la situazione ideale ma neppure la peggiore quella in cui mi muovo, ma forse il compromesso dovrebbe essere estraneo tanto all’arte quanto alle scelte di vita di chi la pratica: esistono casi in cui il talento di un musicista è così cristallino, evidente, spontaneo, che una carriera musicale certa e brillante sembra dover nascere e svilupparsi in maniera quasi naturale, a prescindere da etichette, promozione, spinte della stampa specializzata. Qualsiasi generalizzazione è comunque sbagliata e riduttiva. Fra i progetti italiani che amo ed a cui mi sento più vicino per scelte musicali, ma non solo, ci sono senza dubbio quelli di Salvatore Borrelli che, sia come ( e t r e ) che come Harps Of Fuchsia Kalmia, ha prodotto dei dischi veramente meravigliosi, e poi Antonio Gallucci (throuRoof e Architeuthis Rex), We Wait For The Snow (moniker di Andrea Penso della Centre of Wood), Aldo Becca, Caligine, adoro gli Alberorovesciato (Marco Lampis e Francesco Cavaliere), ed alcuni gruppi, da poco scoperti, della scena napoletana: Weltraum, Strongly Imploded, SEC_. Ma la lista è ancora lunga: Lorenzo Senni, Enrico Malatesta, Andrea Belfi, Stefano Pilia, Claudio Rocchetti, Dominique Vaccaro, Fabio Orsi, Valerio Cosi, Francesco Giannico, i gruppi della Troglosound…
SODAPOP: Comunque resta un dato di fatto che sia i dischi che fai uscire con la Sturmundrugs che i tuoi come Donato Epiro girano all’estero. Com’è arrivato il tuo contatto con la Stunned e con Jantz e Obtruhamchi? E come ti sei trovato a fare dischi per etichette straniere?
DONATO: E’ stato tutto abbastanza naturale. Ho semplicemente proposto i miei lavori a quelle etichette che mi piacevano e con cui sentivo di condividere qualcosa; la Stunned è sicuramente una di queste: una label fresca ed originale nelle sue proposte, con un’ottima distribuzione, vicina poi ad un giro che amo molto, di etichette cult come la Not Not Fun e di gente come Sun Araw, Magic Lantern, Pocahaunted, Ajilvsga, Eternal Tapestry; aspettavo di avere per le mani il giusto album da proporre: Sounding The Sun non poteva trovare casa migliore. Ma i contatti, all’estero come in Italia, con etichette e musicisti, sono un qualcosa che si sviluppa ed arricchisce continuamente in maniera spontanea, ed è quindi facile che, da un rapporto di stima reciproca, possano svilupparsi idee di produzione o collaborazioni. Non sempre tutto fila liscio, ma penso sia anche abbastanza normale dal momento che è il caos stesso alla base dell’esplosione creativa di questa scena sotterranea. Con Michael Jantz e Kabyzdoh Obtruhamchi ero già in contatto prima che l’idea della Sturmundrugs prendesse forma. A mio parere sono due dei nomi più interessanti fra quelli della nuova scena psichedelica weird; due musicisti straordinari, in un certo senso “complementari”, i primi nomi quindi a cui ho pensato per la produzione di un disco. Contattati singolarmente, se ne sono usciti, con mia sorpresa, con questo album mastodontico (un’unica traccia di oltre un’ora) a cui avevano lavorato insieme e per il quale cercavano una produzione. Con entrambi ho in cantiere altri progetti: con Serg c’è un’idea di collaborazione per un disco insieme e con Michael è già da tempo pronto uno split che, molto probabilmente, uscirà per una label italiana. Il fatto che abbia stretto rapporti soprattutto con etichette straniere non implica, infatti, l’assenza in italia di realtà belle ed interessanti: Boring Machines, Die Schachtel, Three Legged Cat, Dokuro, Presto!?, oltre alle già citate Palustre, Troglosound e Centre of Wood, sono tutte ottime etichette con bellissimi dischi in catalogo. Tornando alla Sturmundrugs, ho da poco messo fuori tre nuovi album: un tre pollici del duo norvegese Bjerga/Iversen, un nuovo album in solo di Michael Jantz come Black Eagle Child, ed uno split che divido con gli Alberorovesciato, e nuove uscite sono già in lavorazione (Architeuthis Rex, Caligine e Deep Magic).
SODAPOP: Anche Maurizio Bianchi, Giuseppe Ielasi, Fabio Orsi, Andrea Marutti hanno più seguito all’estero invece che in Italia, oltre all’esterofilia a cosa pensi che sia dovuto? Solo ragioni culturali? Riviste? Cambierà?!…”sai dirmi cosa cambierà” (Peggio Punx – 1989)?
DONATO: E’ sicuramente un concorso di fattori a determinare questa situazione. Indubbiamente la stampa ha un ruolo fondamentale nell’indirizzare gli ascoltatori verso quelle che dovrebbero essere le proposte musicali più interessanti e penso che in realtà si stia ricominciando ad affidarsi anche parecchio alle riviste o ai portali musicali per la scelta dei propri ascolti proprio perché spesso si è disorientati da questa marea di uscite discografiche. Molte delle cose che più mi piacciono (sia italiane che estere) sono però per lo più trascurate o trattate con sufficienza; spesso poi quei pochi giornalisti che se ne interessano, essendo appunto una minoranza, finiscono (in buona fede, sia chiaro) con l’ “imporre” il loro gusto personale, lasciando così nell’ombra produzioni assolutamente meritevoli di più attenzione. L’essere prodotti da un’etichetta italiana aumenta di sicuro le possibilità di essere ascoltati non solo fuori dai confini e rende meno stressante tutta l’attività promozionale che, nella maggior parte dei casi, il musicista prodotto da un’etichetta straniera deve gestire, non senza difficoltà, in prima persona. Succede poi che molte cose si sviluppino di conseguenza ed è abbastanza logico che un certo consenso all’estero porti ad indirizzare lì le proprie attenzioni, tracurando quelli che sono i rapporti con audience e stampa del proprio paese. Tutto questo però non so quanto possa poi effettivamente incidere sulla diffusione e sul seguito di un progetto, dal momento che la base del problema è essenzialmente lo scarso interesse che c’è in Italia verso forme musicali “altre”: di fondo ci sono senza dubbio ragioni culturali, che hanno impiantato nel nostro paese un “gusto musicale” difficilmente sradicabile, ma anche un’assoluta mancanza di curiosità e sensibilità verso qualsiasi cosa possà suonare “diversa” (in qualsiasi campo, naturalmente).
SODAPOP: Parli di culture “regionali”… in merito a ciò visto che vieni dalla terra che è riuscita ad esportare (almeno a livello nazionale) la taranta (ed il reggae) perché quasi nessuno di quelli che abbiamo menzionato fino ad ora o comunque ben pochi musicisti indipendenti/alternativi oppure sperimentali del nostro paese attingono dalla cultura popolare? Solo snobbismo?! In fin dei conti altrove c’è chi lo fa brillantemente, penso ai Jackie O’ Motherfucker, a Der Blutharsh per non dire alcuni vecchi Boredoms o Keiji Haino…
DONATO: Riuscire a far sposare le tradizioni popolari musicali della propria terra con nuovi linguaggi e tecniche dando poi al tutto una forte impronta personale, è qualcosa di estremamente difficile. Se una certa cultura popolare non la si sente sinceramente propria, se manca un senso di appartenenza e di legame verso quello che è il suono delle proprie origini, allora si rischia, nell’avvicinarsi ad esso, di farlo con distacco, di trattarlo in maniera documentaristica o nostalgica, di farne l’ennesima “fonte sonora” a cui poter attingere. Nascono così lavori freddi, magari gradevoli all’ascolto, ma assolutamente distanti da quello che è il cuore caldo e genuino della musica che più dovrebbe essere vicina alla terra ed all’uomo. A questi tentativi quantomeno discutibili, si contrappongono poi dischi a dir poco meravigliosi come possono essere, ad esempio, quelli di Iva Bittova, in cui la musica popolare (nel suo caso quella dell’Europa dell’est), intrecciandosi con naturalezza ad influenze avant, jazz e classiche e suonando assolutamente nuova e personale, riesce misteriosamente a mantenere intatte e riconoscibili le proprie antiche origini e la propria anima popolare. Ultimamente penso si sia abbastanza azzardato nel definire ed etichettare come folk o rurale qualsiasi musica abbia ostentato un qualche tipo di legame alla terra o alle tradizioni, ai rituali ed ai paesaggi del proprio territorio. Mi è sembrato un artificio abbastanza forzato, utile solo a dare più “colore” a certe produzioni; niente che veramente abbia potuto esprimere l’essenza di certe regioni e culture, al massimo un divertimento, diciamo così, virgiliano… In Sounding The Sun, il mio primo disco registrato interamente in Puglia, sebbene non ci siano elementi riconoscibili della musica tradizionale salentina e la musica attinga ad un immaginario più “visionario” che terreno, io sento comunque molto forte l’influenza della terra in cui è nato.
SODAPOP: Qual è stato il migliore complimento che hanno fatto a te come musicista o ad un tuo disco e cosa ti farebbe sentire realizzato in questo ambito…
DONATO: Hanno scritto che Sounding The Sun è “appiccicoso come l’umidità di una foresta pluviale”… mi è piaciuto tantissimo! Per il futuro mi auguro di riuscire a chiudere dei lavori che, anche se in maniera un po’ discontinua, mi stanno impegnando ormai da tempo; riuscire a trovare una buona produzione mi farebbe più che contento. Per il resto, ho intenzione di dedicarmi all’attività live, che ho sempre un po’ trascurato, ed alla label che, ne sono sicuro, continuerà a darmi, oltre a tanto da fare, anche qualche soddisfazione.