Appunti per un'(auto)analisi del collezionista

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Siamo una nicchia del mastodontico mercato del suono. Non siamo neanche un ingranaggio perchè i soldi che girano nel nostro mercato sono talmente pochi da far ridere chi veramente guadagna e lavora sui dischi e sul loro commercio. E visto che giochiamo in un mercato a parte, beh vediamo quali possano essere le regole che lo muovono, quali i valori. Non sono un sociologo nè un economista per cui mi accontenterò di partire dal mio, molto, piccolo. Stamattina ascoltavo alcuni degli ultimi 7" che ho comprato. Sono perlopiù opere prime di artisti più o meno rinomati nel settore. Tutto parte dalla constatazione che il primo brano a nome M di David Pajo, considerato uno dei più influenti chitarristi/bassisti del post louisville/chicagoano, è un'accozzaglia di bozzetti alla John Fahey appiccicati e tenuti insieme da una tremolante sonorità acustica. Sul lato B del medesimo pezzo di vinile troviamo Monade che altri non è se non Laetitia, la signora Gane, colonna portante del gruppo inglese Stereolab. Anche lei usava in questa sede per la prima volta il suo monicker da solista e anche lei gioca con suoni molto poco professionali e molto invece approssimativi. Che dire? Anche i geni sbagliano? No! Siamo proprio attratti da questo pressapochismo nonchè affascinati dalla naivetè presente. monadepajoAllora siamo scemi. O meglio siamo forse condizionati dalle altre esperienze dei personaggi in discussione che riescono a tirare su la media di molti punti. E invece secondo me no. Quella naivetè appena citata è uno dei valori per cui perdiamo la testa. Uno dei motivi per cui i primi dischi di REM e U2 sono buoni e gli ultimi cattivi. Non è l'essere di nicchia e la relativa lenta diffusione di certi dischi, l'esclusività dunque, il nostro valore. E' la sua precarietà. Il suo essere impreciso. O, forse, visto che quasi tutti si suona o si vorrebbe suonare, il sentire comune tra il mio progetto povero e quello di pari diritti della nicchia-star. La comunanza di intenti ci permette di immedesimarci e paragonarci senza timori a quei nomi cui di solito per deferenza non oseremmo mai. Gli Stereolab? Beh hanno dei suoni che noi non avremo mai. Gli Slint? Posto giusto al momento giusto. Noi? posto sbagliato suono sbagliato momento sbagliato. Monade? M? Ragazzi di trent'anni che giocano con le nostre stesse tecnologie. Chissenefrega che potrebbero averne di molto superiori, quelle hanno usato e quindi sono come noi. Chi non è rimasto colpito dal Beck di One Foot In The Grave registrato, così vuole il mito, in uno scantinato con Calvin Johnson? Chi non invidia i suoni grezzi e pieni di vita delle batterie registrate da Phil Elvrum, per Microphones, Old Time Relijun o Mirah? Beh per sua stessa ammissione per avere quei suoni basta mandare tutto in saturazione, errore/orrore per chiunque bazzichi uno studio di registrazione, dove un led rosso illuminato viene punito con bacchettate sulle nocchie. Dunque l'approssimazione è un valore. La possibilità di immedesimarsi è un altro. Sono entrambi valori propri del nostro mercato chiuso. Ma quali, se ce ne sono, i valori simili al mercato commerciale superiore?
blurBeh, l'orecchiabilità in primis. Se un brano ti rimane appiccicato addosso vuol dire che funziona. Sempre e ovunque. E questo tratto è quello che più genera confusione nel punto di tangenza dei due mercati. Dove collocare artisti quali i Blur da Parklife in poi? Dove i Rapture di House Of Jealous Lovers? Dove invece i nostrani Subsonica, ammettetelo che almeno un loro brano vi ha colpito negli ultimi anni… Insomma, canticchiare qualcosa andando al lavoro è elemento unificante del sentire comune, connaturato alla necessità umana di distogliere i pensieri dal "dovere" per portarsi nel campo delle distrazioni piacevoli. Altro elemento fondamentale è quello visivo. Colori. Immagini in movimento, caratteri importanti. Ma non solo anche altri sensi sono chiamati in causa: ad esempio il tatto nella preferenza netta dei digipack sui tray plasticosi; o addirittura l'olfatto nel vinile, nella plastica e nella carta stampata da poco in un disco appena uscito… Addirittura potrei arrivare a tirare in ballo il gusto. La connessione visione/cervello/ricordo/sensazione è provata scientificamente, quindi una copertina con cibi in bella vista (un lecca lecca?) riporta immediatamente ad una percezione indotta anche di un certo gusto. Ecco spiegata l'acquolina in bocca quando si entra in un negozietto di dischi ben fornito…
mariahcatpoveraVideo, look, ragazze in gruppo per i maschietti e viceversa, immagine. Vale tanto per la copertina di Mariah Carey ritoccata al computer quanto per un Moonpix di Cat Power no? E allora ammettiamolo. Ci sarebbe da tener presente anche il fattore emotività. Che spunta fuori di solito grazie a delle parole particolarmente ben piazzate all'interno di frasi ben congegnate a loro volta all'interno di brani non sempre costruiti sulla melodia strappalacrime. Fa sempre parte dell'immedesimarsi, ma in termini differenti. Certo non sono solo quelli i valori su cui basiamo un acquisto. Ma sono componenti presenti.
Valori quali la ribellione, l'essere contro, la politica o la poesia tendono ad essere troppo specifici per pochi casi soltanto. Comuni ma per certi versi troppo leggeri. Le sonorità sono volatili, cambiano con le stagioni e come le stagioni sono cicliche. Il rapporto con l'oggetto disco di nicchia, di esclusività, è personale, legato in effetti ad elementi che per loro stessa natura sono complessi e che, quindi, non ci permettono di conoscerli a fondo. Quello che mi premeva con queste righe di auto-analisi era in realtà mostrare come quando qualcuno viene da te e ti dice: "hai degli ascolti nobili, per pochi…" oppure "ti senti figo perchè ascolti rumenta che trovate soltanto in dieci in tutta Italia" o ancora "non capisco cosa trovi in quel rumore che io non possa trovare nelle parole di Vasco" – beh sarebbe carino fargli vedere, magari con un mixtape, come certi valori siano comuni e cert'altri no, invece che attaccarlo con un semplice "ascolti merda".
Lanciata la palla generalista attendo conseguenze meno "di tutto un po'"…