A fronte degli ormai numerosi testi e documentari che si preoccupano di storicizzare l’epopea dell’hardcore italiano degli anni ‘80 e ’90, con codazzo di reunion inutili e molto spesso imbarazzanti, la scena industriale si è sempre dimostra molto parca, in materia. A tutt’oggi la bibliografia annovera solo l’appendice di Paolo Bandera al Manuale Di Cultura Industriale edito dalla Shake e alcuni paragrafi nel recente Industrial [R]evolution di Giovanni Rossi.
È quindi il benvenuto questo volume dell’esordiente casa editrice End Of Kali-Yuga, che raccoglie le storie di quattro formazioni nostrane, scelte non so bene con che logica (una prefazione un po’ più esaustiva di quella presente si sarebbe fatta preferire), ma tutte certamente significative, ordinandole in una grafica pulita e corredandole di immagini spesso rare od inedite. Si inizia con Aldo Chimenti che, col suo stile magniloquente, ripercorre la storia dei romani Ain Soph, sviscerando ogni possibile significato e riferimento contenuto nella musica, nei testi e nelle grafiche. Se nella biografia dei Death In June questo metodo mi era parso pedante e spesso irritante, qui ha invece una grande utilità, avendo l’opera del gruppo significati così oscuri da dover per forza essere spiegati al profano che ci si voglia avvicinare. È poi la volta di Devis Granziera che rispolvera uno dei gruppi dimenticati di quegli anni, i veronesi Rosemary’s Baby, unici associati italiani al Temple Of Psychick Youth. Tipico esempio di figli della provincia che sanno crescere e svilupparsi facendosi forza del proprio isolamento fino a varcare i confini nazionali, la storia del gruppo scaligero è la più interessante di quelle qui presentate, sia per la qualità della scrittura, sia perché permette di luce su una formazione che, a causa della brevità della carriera e della difficile reperibilità dei dischi (ma una ristampa no?) era fino ad ora rimasta viva solo nei ricordi di chi c’era. Il terzo capitolo sottolinea una certa disomogeneità del volume, essendo una specie di autobiografia dei Sigillum S, scritta da Paolo Bandera. Dagli altri contributi si differenzia anche per la forma, poichè l’autore sceglie di affrontare la carriera del gruppo anno per anno, in una sorta di diario che prende il più delle volte la forma di auto-recensioni. Una lettura già per questo non scorrevolissima, appesantita da un tono eccessivamente autocelebrativo e dalla mancanza di un editing fatto come si deve, che lascia per strada qualche errore e diverse, fastidiose ripetizioni. In ultimo è il capitolo su Atrax Morgue a cura di Alessandro Papa, che rievoca con sguardo preciso e al contempo affettuoso, la vicenda di Marco Corbelli e della sua creatura. Con scelta felice, l’autore non indugia troppo sulle uscite discografiche, ma preferisce tratteggiare la figura di Corbelli e la sua vicenda umana, dando risalto a un percorso in cui vita ed arte, dagli esordi fino al tragico epilogo, appaiono strettamente legate. Tirando le somme, Rumori Sacri è un volume che, pur scontando qualche errore di inesperienza, va a riempire un vuoto editoriale, almeno parzialmente. È auspicabile che altri seguano l’esempio, per far sì che uno degli ambito musicali meno etichettabili e più creativi che il nostro paese abbia generato, possa avere la possibilità di farsi conoscere e, perché no, riflettere su sè stesso.