Xong: dischi d’artista, dischi di personalità

“Dal 2021 Xing apre una nuova costola progettuale: un’etichetta di produzione di dischi d’artista di personalità – italiane e non – legate al variegato mondo della performatività. Una collana che esplora e traccia una geografia di artisti che intendono il campo sonico come una delle piattaforme in cui espandere i loro mondi e la loro immaginazione. “Lo spazio del disco” è la scena su cui focalizzare e amplificare la propria poetica come fenomeno sonico e fisico, lo spazio da performare.
Xong, il nome della collana, è un progetto unico nel suo genere che disegna nuovi contorni per produrre una diversa comprensione del performativo, delle live arts, e del loro potenziale. Ogni disco è in edizione numerata. Il vinile bianco accoglie la solidificazione del gesto, ma non documenta alcunché. Nell’insieme colleziona una serie di creazioni originali che costituiscono una rassegna a lungo termine. Onda su onda, Xong è una collana di “Musica-Non-Musica” per attualizzare l’immaginazione.”

Kinkaleri/Jacopo Benassi con ONCE MORE aprono la fila della serie con il resoconto audio di una performance che si muove sul filo dello scontro e dello spostamento fra due soggetti, un performer ed un fotografo, un musicista, un teatrante, un soggetto, un azionista. Quel che rimane di tutto questo è l’immaginario e la musica, che aleggia per una prima parte come sospesa, per poi farsi fisica e corporale, percussiva e percuotente. Corpi e pelli, metalli, unione fra superfici e forze contingue. Una sorta di circospezione a bassa intensità in cui i diversi poli cercano e trovano un linguaggio comune. Tracciati sonori che sembrano provenire da un outback in bianco e nero sul quale sia calata una forma di intelligenza aliena. Frequenze, piatti, roboanti risacche placide. Il suono si espande a sfiati ed a battiti, quasi fosse il vero motore di un organismo super parte creato dalle due unità, per una forma dub fuori da ogni tempo. Ansimi e vocalizzi si centrano su un linguaggio finalmente comune e mandano in risonanza quella che sembra essere un’afasica preghiera agli altissimi.

Lydia Martinelli legge Marcello Maloberti, la voce, la voce, la voce, l’arte. L’arte è immediata. Le parole del poeta Maloberti vengono lette, recitate e masticate da Lydia Martinelli. Gazosa colombiana, l’arte è far accadere realtà. Questo disco è la presenza e l’assenza di Carmelo Bene attraverso la sua sodale. È la lettura percettibile che rende pulsante ed agente la parola. 30 anni di scritti fighi sono un cumulo di chicche, cacche, ritmi mantenuti dall’inizio alla fine, senza il minimo cambiamento e senza svolta, a creare un’opera di minimalismo immobile, di trance, di elenco programmatico e sorprendente in cui perdersi, trovare agganci, smontarli, piangere, ridere, bearsi.
L’arte non ê una festa comandata, il poeta è stronzo. Pamela Prati legge Kafka.

Giampiero Cane parte e la sua voce è motore strascicato. Daniela Cattivelli gioca distorcendo, creando loop fino a raggiungere un’elasticità d’azione che si propaga ridefinendo sensi e significati. Tra stockhausen e munchausen, scat e protorap, gospel gutturali che si propagano come polifonie sarde. Una corda musicale elegante vestita di pellicce e colbacco, la parola di fa pallina impazzita nell’iniziale sicché allunammo.
Riserva umana poi, tra uccelli e palloni aerostatici, come di una minaccia imminente che si stanzia sopra di essi. Scompare la voce, rimane l’ossigeno, il soffio vitale, i fiati. Spernacchio paraverbale che si gonfia come un mantice, quando Cane ritorna è balbettio ribollente, ma dubito scompare fra le onde della palude. Resta la risacca, qualche sillaba l’alleata, il soffio del vento.

Romeo Castellucci e Scott Gibbons proiettano su uno schermo circa quattordicimila sostantivo della lingua italiana, accompagnando ogni apparizione scritta ad una pulsazione ricavata dai suoni della sonda Voyager 1. Il risultato, all’ascolto, è una cassa dritta continua e martellante a 288 BPM sulla quale si stendono a tratti suoni acuti e poi spaziali, dei brevi cambi di ritmo con una persistenza che va a scarnificare membrane e strati organici. Ci si ritrova in una desolata terra di nessuno, dove poter fare i conti solo con se stessi, cercando di non soccombere. Sensazione straniante, dove la ricerca della virgola e della varietà viene meno col tempo, cercando unicamente un’omeostasi ritmica ormai impossibile.
La sensazione può essere di liberazione, disagio, smarrimento. Non prendetelo sottogamba.

Luciano Maggiore, autore di alcuni dei dischi più pregni e sorprendenti degli ultimi anni si prodiga nell’imitazione animale, sulle orme delle ormai mitiche musicassette di Jean-Claude Roche (folgorato da Jean-Henri Fabres da bambino fondò Sitelle, la sua personale etichetta, nel 1985 producendo oltre 100 supporti audio nell’ambito): registrato sul divano di casa infatti, vede il musicista cimentarsi con ben 19 specie animali. Il risultato è qualcosa di fermamente personale. Un omaggio, sicuramente, ma anche un bisogno, bisogno di lasciare i propri abiti per prendersi del tempo nel volo, negli atti ruminanti, nei versi. Ritornare vicino al mondo animale, cercando un dialogo, una via che, seppur imitativa, lascia intendere una sincera intenzione rispetto ad una comunicazione altra.
Siamo da sempre dannatamente autocentrici ed autoreferenziali, immaginando che la musica sia semplicemente cosa nostra. Very cheap non-human animal imitations prova in qualche modo a porsi su un altro piano. Cheap: scadente, economico. Bella invenzione quella umana del budget e del denaro. La qualità a discapito della comunicazione e del messaggio? Non saprei, non saprei proprio come difendere questa posizione davanti alle fauci di un’alligatore. Bisogna ammettere che l’opossum ha un verso di una bruttezza rara, ma chiudendo gli occhi il fascino rauco di questa disposizione mette di buon umore e spinge all’avvicinamento reciproco fra bestie.

Margherita Morgantin prende a se stralci delle proprie esperienze trasformandole in suono. Per farlo, essendo un’artista visiva, chiama a se due colleghe, su due progetti distinti, uno per lato del madreperlaceo vinile. Cosmic Silence parte dalle viscere della terra, dall’interno dei laboratori di Fisica Nucleare del Gran Sasso, in Abruzzo: ne carpisce stralci di dati facendoli elaborare dalla compositrice Ilaria Lemmo, che riesce a dar loro voce, trasformandoli in quella che sembra essere una corda di pura luce, di pura energie. Filo musicale che si slancia e si estende senza piega alcuna, esternando la propria linearità, fino a quando, ad un tratto, sembra invecchiare, venendo attaccata da microscopici accrocchi sonori. In Fluorescence invece un viaggio in auto verso il Museo Serralves di Oporto fornisce registrazioni e spunti a Beatrice Goldoni, che differiscono per per effetto a seconda dell’utilizzo. Motore, vento, campanellini, operai ed ambienti: siamo con lei, siamo con loro, suonano e viaggiano attraverso le nostre orecchie ed i nostri corpi.

Ehm è il titolo della collaborazione fra Renato Grieco e Canedicoda, duo che sembra impegnato a combattersi nell’utilizzo in maniera probante del rumore. Quel che ne esce sembra essere una calda fucina, Crepitii, cambi di stato, brutte frequenze, l’idea di rendere lancinante e ferino il suono proprio come caldo possa essere il fuoco. Non è materia malleabile ma è inutile cercare di difendersi. Abbracciando la sofferenza come sappiamo arriva l’epifania, si corre il rischio di sentire i cavalli nitrire nelle fiamme ed il soffio delle spatole di ferro sui tamburini luccicanti, È possibile che il fuoco caschi su una materia impalpabile. Mi rivolgo al corpo del volume, come se contemporaneamtne potesse avere e non avere luogo. Non sono peli ma squadre. finisce in un ascesa tra malridotti miagolii che preannunciano un triste finale della tenzone, a base di feedback e voci tuonanti da orchi. Cambiamo lato, Prontamente esposto al freddo e piegato in tre momenti. Uno spazio, una fitta avvolta dall’aria: il contatto genera fruscii. Il suono del nulla, il nome che vorremo per un attimo dare al vuoto, barba sorgente sfrutta toni bassi come fosse pietra su pietra lentamente, per poi partire con un baillamme cosmico di srups & crebs che è esattamente quello che vogliamo ascoltare da un disco che “…aggira il problema dell’articolazione e del senso…” rimanendo soltanto incontro, sorpresa, magia ed intercalare di disturbi e frequenze e colori in quel brutto silenzio che è la nostra vita senza questo disco.

Ma è il momento dell’ocarina, magico strumento che Invernomuto (famigerato duo composto da Simone Trabucchi e da Simone Bertuzzi) investono del ruolo di attore principale in Vernascacadabra. Accompagnata da trilli e sciabole il becco del nostro piccolo strumento ci guida in dolci divagazioni etno dub, ganci melodici basati sul nulla e proprio per questo irresistibili, tanto da sembrare spesso veri e propri anthems senza bassi come in Ching. Spesso ci si ritrova a guardare all’estremo oriente, altre volte su torrenziali montagne russe, stralunati da tanta dinamicità in quelle che sembrano strati di flauti, ottoni, percussioni a formarsi autonomamente fra le nostre orecchie. Ben sette tracce su 16 in Vernascacadabra si intitolano Enchantement: incanto, come quello che proviamo ad ascoltare con orecchio aperto uno strumento mai considerato e suadente come pochi. Disco stupendo, da ascoltare a ripetizione più che spenderci parole, tra le Alice e Sourdure, sarebbe manna per un’etichetta come Bongo Joe, ascoltatelo, e fatelo passare a coloro ai quali volete bene.

Queste libere considerazioni all’ascolto sono state effettuate esulando dall’aspetto visuale e performativo delle opere, il che potrebbe invero snaturarne la fruizione ed il vissuto. Mi è sembrato importante esternare questo dettaglio, rimanendo comunque dell’idea che un’offerta come quella di Xong possa essere goduta da più parti. Come oggetti d’arte, quindi seguendo le tirature limitate ed artistiche delle uscite (con dei prezzi oscillanti fra i 70 ed i 200 euro) o con le semplici versioni in LP (disponibile anche l’offerta a 100 euro per 5 differenti uscite.). Quel che è certo è che, come Sodapop, non mancheremo di tornare sul pezzo con le prossime uscite (già annunciate, Mattin, Mette Edvardsen e Valerio Tricoli i coinvolti). Rimandiamo a settembre le novità, per idea e catalogo invece è un centro pieno.