AA.VV. – Quit Having Fun (Boring Machines, 2009)

Prima compilation per Boring Machines, e anche se non sono assolutamente un fan della raccolte in genere (per non parlare poi di quanto è impegnativo recensirle rispetto ad un disco "standard"), questi ventiquattro brani per due CDr non sono niente male; le sonorità spaziano attorno all'elettronica più o meno rumorosa e/o ambientale, con qualche accenno più rock o folk qua e là, attraverso la scelta di nomi italiani e stranieri sia noti che meno noti, per rendere un quadro abbastanza eterogeneo di musica che tenta quasi sempre di non essere banale e spesso ci riesce.

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EAReNOW – Eclipse (Wallace, 2009)

Qualcuno di voi se li ricorderà per un bel 3" mcd d'esordio che ormai risale al 2003, ma mai ritorno fu più gradito: questo disco è splendido, vi suggerirei di appuntarvelo in agenda fra le cose che vale la pena di provare ad ascoltare. Ci ho impiegato un po' di tempo per recensirlo, ma solo e semplicemente perché il tempo che ho è quello che è, ma credo che insieme all'ultimo Rapoon sia uno dei dischi da recensire che ho ascoltato con più piacere da un po' di tempo a questa parte, tutt'altro genere ma stesso tipo di godimento.

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Sabo

Sabo – 8 Saisons à L’Ombre (RuminanCe, 2007)

Potrebbe tranquillamente, questo disco, essere la colonna sonora di un affascinante viaggio nella penombra di un milieu fantastico, la mala francese degli anni '50, tutto gangster, baiaffe, poules e caids. Un noir di duri le cui scene scorrono in uno slavato bianco e nero con immagini di baveri tirati su e attività clandestine poco chiare sullo sfondo. Un affresco di una storia troppo presto dimenticata, affogata dalla fine del romanticismo. I Sabo, non troppo differentemente da altri epigoni contemporanei, rileggono una tradizione rapidamente abbandonata con quel bello stile che abbiamo reimparato dai più curiosi autori d'Oltreoceano. Evidentemente non siamo dalle parti del repecheage di sonorità balcaniche, ma ci muoviamo su quell'assito tradizionale di chitarre acustiche contrappuntate da organi e chitarre elettriche che fecero la fortuna delle colonne sonore di fine anni '60, primi '70, del secolo scorso.

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vincenzoramaglia

Vincenzo Ramaglia – Formaldeide (Autoprodotto, 2007)

A volte mi stupisco del potere del caos mediatico, della scarsa attenzione che viene prestata a certi generi e della mia ignoranza (che quel tizio diceva che "rende forti"), così accade anche che a Sodapop vengano anche inviati materiali come quello di Vincenzo Ramaglia e non lo dico facendo della facile ironia, anzi, il problema è quello opposto, ovvero che il nostro grande capo è tutt'ora oberato di "rock targato Italia", più che di lavori del genere. Ramaglia, per la cronaca è uno che esce dal Santa Cecilia di Roma, lo stesso da cui è uscito quel tizio che si chiama Morricone e tutto sommato si sente, tant'è che state pur certi che si tiene ben lontano plasticoni da quei pianoforti digitali stile Vangelis di quart'ordine (l'originale ha fatto anche dei gran bei dischi) o dalle registrazioni immonde che rovinavano Trovajoli, Piccioni e simili durante gli anni Ottanta.

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