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Clara Clara – AA (SK, 2008)

A parte una evidente e malcelata passione per la lettera A, allitterata e ripetuta all'eccesso tra nome del gruppo e titolo del disco, i Clara Clara tirano fuori un gran bel disco. La cui unica pecca, va detta immediatamente, è una eccessiva omogeneità e una natura fin troppo chiaramente legata alla dimensione live. Un trasporto emotivo guidato da quella frenesia e quell'urgenza che informa le tirate del miglior agit-pop-rock in salsa no wave dell'ultimo decennio.

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La Batterie – He Ate A Lamp Now He’s A Fan (Cake And Coffee, 2008)

"Una versione spongebob dei Sonic Youth", e stavolta chiunque abbia inventato questa definizione per il terzetto berlinese un po' c'ha preso. Mai vista una pronuncia inglese con un accento teutonico tanto marcato, forse solo Nico ci andava vicino. Idee bizzarre che vagano tra Deerhoof (Jump And Run), un certo amore per le dissonanze: il chitarrista e singer Pascal Aperdannier con la batteria in evidenza di Anne Paschvoss pronta a sfasciarsi da un momento all'altro e la pianola del fratello Mario, sembrano proprio non soffrire la pressione di dimostrare a tutti i costi le loro capacità tecniche. Ecco sì, certi giri rimandano chiaramente ai primi Pavement (Spring, Milk And Die), sebbene in questo caso c'è forse ancora meno voglia di prendersi sul serio.

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Pre – Epic Fits (Skin Graft, 2007)

Quello che mi chiedo ora è se ci sia una qualche connessione tra ritardo mentale, animali dall'espressione poco sveglia, rifferama metalluso, strilli acuti di tipa e collage. Evidentemente qualcosa ci deve pure essere se questa formula è arrivata su su fino alla Skin Graft. Come spesso accade in questi frangenti, a noi arrivano le briciole e solo brandelli dei meccanismi rodati altrove. Non bastano le sacche spastiche di Roma e dell'asse Bologna/Treviso per giustificare la completa devoluzione del machismo metallaro (alla Giorcelli per intenderci) o della musica intelligente contemporanea (alla Ferraris, dunque) come ultimi baluardi evolutivi dell'hardcore. Pare che il riflusso liberatorio scaturito anche dall'ottimo lavoro che fece, ormai una decina di anni fa, la Skin Graft, non sia riuscito a ledere le buone maniere di chi ascolta, fa ascoltare, figlia e si riproduce solo con l'hardcore di deriva classica. Insomma pare che il grosso del nostro popolo non sia ancora pronto a rivedere i propri schemi quando si tratta di digerire della musica veloce e sgraziata, fedeli alla morte.

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The Death Of A Party – The Rise And Fall Of Scarlet City (Double Negative, 2007)

Mi sa che ci siamo dimenticati delle chitarre. Diciamocelo pure, dopo la scorpacciata math e del post-rock Kinsell-iano da queste parti (casa mia, non tra i metallari di sodapop) le chitarre sono cadute un po' in disuso. Non fuori moda, per carità, ma sono finite a fare da contrappunto alle tastiere e a star dietro a basso e batteria.

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