Still House Plants – If I don’t make it. I love u (Bison, 2024)

Terzetto misto fra Glasgow e South London quello degli Still House Plants. Jess Hickie-Kallenbach alla voce, David Kennedy e Finlay Clark rispettivamente a batteria e chitarra. Movenze fra rimasugli emocore (nell’iniziale M M M il giro di chitarra è preso pari pari dai the Van Pelt ma in diverse occasioni questo tipo di suono viene in qualche modo utilizzato per arrivare ad altro, come nella splendida Sticky), suono astratto ed asperità quasi da sound art, una voce che viaggia tra declamazioni, boati e poesia sonora. Come giustamente osservato da Diego Favrin in sede live l’ombra di Storm & Stress ed US Maple è tangibile, soprattutto per gli spazi, i vuoti e la perenne sensazione di disgregazione che accompagna l’ascolto dei bravi, quasi lasciati alla deriva da loro stessi, in un liquido amniotico ed oscuro. MORE BOY è il canto delle sirene con Brendan Canty al posto di Ulisse, l’ugola di Jess che vibra di una grana antica e libera, in qualche modo vicina alle grandissime interpretazioni del blues di inizio secolo. È un disco profondamente soul If I don’t make it, I love u, un disco soul fuori dal tempo e concepito scardinando mondi musicali, il noise ed il post-rock invece di folk e blues. No sleep deep disk è un profondo viaggio negli abissi di Jess, nel quale il suono si trasforma in arie tribali ed oscure, forse la vetta dell’album, ma ogni brano ha un fascino ed una sfumatura che ne rende intrigante i ripetuti ascolti. Molto molto interessanti…