The Star Pillow – 12/11/2016 Olandese Volante (Gazzuolo – MN)

È davvero un caso più unico che raro che qualcosa di veramente interessante passi dalla provincia mantovana, specie per la sua sezione mediana, zona storicamente depressa se si esclude qualche locale che nel corso degli anni – seppur a fasi alterne – ha tenuto alta la bandiera del metal più underground. Ancora più strano è che a far tappa in queste lande sia un progetto come The Star Pillow decisamente lontano, in ogni sua manifestazione, da ogni forma facilmente codificabile: il gestore dell’Olandese Volante ha coraggio (o incoscienza) da vendere. Premesso tutto questo è ovvio che si tratti di una serata che non si può perdere. La notte è insolitamente limpida e se ciò fa perdere un po’ di fascino spettrale alle stradine che costeggiano il fiume Oglio nella sua discesa verso il Po rendono certamente più facile il viaggio verso lo sperduto paese di Gazzuolo. Il locale è ai margini dell’abitato in un cascinale ristrutturato: atmosfera intima, birra buona, clientela varia tendente al giovane (ma per me ormai lo sono quasi tutti…); un luogo accogliente, come accogliente è la piccola sala concerti al piano superiore dove poco dopo il mio arrivo inizia l’esibizione. The Star Pillow è un progetto che probabilmente non riuscirò mai a definire con precisione: nei suoi continui mutamenti rifiuta di cristallizzarsi in una forma data, per the-star-pillow-live-02quanto in ogni passaggio conservi qualcosa della sua essenza. Come nelle ultime uscite discografiche anche questa sera Paolo Monti è solo con la sua chitarra e qualche effetto: non servirà molto di più per emozionarci. Dietro a un tavolo con le apparecchiature e davanti a uno stendardo con l’effige del pirata parte con un brano dove le note si stendono morbide grazie all’uso dell’archetto, stratificandosi in coltri che ci trasportano placide; siamo ai confini fra l’ambient e un post-rock dove è la ripetitività del loop a farla da padrone anziché l’abusato delay, una scelta decisamente felice che dà concretezza al suono e delegando alla ripetitività il compito di farci perdere fra le sue spire. Non siamo lontani dalle atmosfere di un album come All Is Quiet con placide pennellate (e davvero a volte la chitarra è suonata con un pennello!) che sembrano seguire il moto lento del fiume che poco lontano scorre verso sud dietro la cortina di pioppi che si intravede dalle finestre. Non meno di trasporto ma con altre coloriture è il secondo brano, il folk dronante dove la chitarra suonata su rumori in loop richiama alla mente Harvestman ed evoca un immaginario che ben si adatta a questi luoghi dove insediamenti gallici e strade romane che ancora segnano il territorio. Il finale dal sapore elettroacustico, con biglie di metallo che giocano sulle corde della chitarra posata su tavolo e spezzano un po’ l’atmosfera come faranno inseguito un po’ di “spipolate” che denunciano la presenza di un’elettronica evidentemente essenziale per la creazione di quanto stiamo sentendo ma mai eccessivamente vistosa. Siamo a metà dell’ora di concerto ed è il momento di un nuovo brano di concreti soundscapes e atmosfere sognanti seguito da brano di chiusura dove le sei corde che portano i volumi a livelli che stasera non si erano ancora toccati, rumorose dilatazioni alla maniera del Fear Falls Burning più veemente. Poi torna il silenzio, la nebbia surrogata che la macchina del fumo ha diffuso durante l’esibizione si dirada e torniamo alla realtà, aiutati anche dal vento che ci sferza appena fuori dalla porta. Sulla via del ritorno la luna illumina la pianura quasi a giorno e con All Is Quiet nell’autoradio l’atmosfera del concerto sembra prolungarsi piacevolmente.