NOfest! 2012 – 23/06/12 Spazio 211 (Torino) Seconda parte

Il sabato è come sempre il giorno principale del NOfest! e quello che richiama il maggior numero di persone: anche quest’anno è così e ci ritroviamo in uno Spazio211 affollato ma sempre a misura d’uomo, senza mai avere la sensazione di frustrazione tipica dei festival; anche i gruppi ovviamente sono tanti e le orecchie verranno stimolate per ore dai suoni più diversi.
Si inizia con i tre gruppi svizzeri che fanno parte del carrozzone del Freaks Show, ma complice il tempo necessario per riprendersi dal viaggio e dalla serata precedente si arriva un po’ più tardi, così perdiamo i Dee Diglers e il primo gruppo che ascoltiamo sono i The Sound Of Fridge, facenti parte della suddetta compagine neo-hippie-svizzerotta che, organizzati in power trio con organetto (più un cassone che un Farfisa, direi…), basso e batteria, si (e ci) buttano di testa nel secondo giorno di NOfest!. È roba che Ian Svenonius e qualche freakbeater prima di lui apprezzerebbero sicuramente: pezzi veloci e grezzi dai suoni alti e costantemente distorti. I pochi che formano il pubblico dimostrano quanto sia facile farsi prendere dal mood garage-psychobilly suonato sporco e sudato (e non sudano solo quelli che suonano…). I Wellington Irish Black Warriors chiudono la serie di band elvetiche e sono una delle sorprese più gradite del fine settimana: un trio dal suono rumoroso e dall’animo tormentato, tanto da ricordare un certo rock australiano con tinte di garage e new wave unite ad una voce sofferente; sghembi ma mai sbavati sono autori di un set davvero notevole. Quest’oggi il discorso concerti sarà complicato, con due palchi che si sovrappongono, costringendoci a fare delle scelte, a volte facili, altre più sofferte. Fra quest’ultime è da annoverare il sacrificio della prima parte del concerto degli autoctoni Spare Parts, che grazie alla loro no wave ingentilita, con suadente voce femminile (dallo stile quasi Bethgibbonsiano) e sax che duettano a meraviglia, si faranno ricordare come una delle più gradite sorprese dei tre giorni; a seguire Black Wings Of Destiny, band locale che si produce in un rock stoner/sludge dal sapore southern ma che seppure ben suonato ci risulta un po’ monocorde. Torniamo in prossimità del camion che, debitamente addobbato, fa da palco del Freaks Show (il Michael Davis Stage, secondo la consolidata tradizione di nominare i palchi come scomparse rockstar), per goderci la mezz’ora di Rella And The Woodcutter, che restituisce i pezzi degli ultimi dischi in versioni alterate da chitarre strascicatissime e spesso e volentieri dal violino, all’insegna un folk-psych-noise che trova pace solo nel finale, con una The Golden Undertow acustica e sentitissima. La loro è psichedelia poco accomodante e di ottima fattura che conferma la genuinità, oltre che la classe, dei personaggi in questione. Giusto per rendere ancora più emozionante e convulsa la questione dei due palchi, la defezione annunciata in extremis degli Hiroshima Rocks Around sull’MCA Stage innesca una reazione a catena per cui i Jealousy Party vengono spostati dal palco ounofest2012rellatdoor a quello interno e vengono sostituiti dai Bokassa, che avrebbero dovuto suonare nella Mosconi Death Room: un effetto domino che si esaurirà solo a tarda notte. Entriamo quindi per seguire il terzetto toscano che sfoggia il suo consueto free-funk spigoloso, punteggiato dall’oramai classico “dio bono” di Mat Pogo. Bravi, anche se l’attenzione tende a calare un po’ alla distanza. Stesso effetto, pur su coordinate diverse, lo fa il folk degli Orfanado: rispetto al disco restano solo due spoglie chitarre acustiche che, seppur lascino intendere buone idee, dano vita a un suono troppo vuoto per convincere del tutto. Dei gruppi che dicevamo in apertura valere da soli il viaggio, il nome più altisonante era certamente quello degli Starfuckers e un po’ ci sorprende vederli sul palco nel tardo pomeriggio anziché come ultimi della serata. A loro la cosa comunque non disturba, dato che i tre (chitarra, elettronica e batteria) tirano fuori una prova di gran livello e di una negritudine inattesa, sfoggiando anche un certo groove, che porta al suicidio una delle birre inopinatamente appoggiata su una cassa (che è poi quella del tastierista Bocci: chi è causa del suo mal pianga sé stesso). A pezzi più free noise se ne alternano altri strutturati, come Saturazione o un Ordine Pubblico col testo leggermente variato, che chiude il set fra il tripudio generale e i passi di danza di uno sfrenato Mat Pogo sotto il palco (mi sa tanto che questo ballerebbe pure il rumore di un bombardamento). Prova convincentissima, comunque: di un gruppo così si sentiva la mancanza. I Bokassa ce li becchiamo al volo, col loro bel post-rock danzabile che, servisse conferma, fa scatenare uno del carrozzone del Freaks Show, un po’ Beau Beau degli Avail, un po’ Mauro Repetto: sarebbe da considerare l’idea di assumerlo. Intanto è giunta l’ora di cena, così ci si sparpaglia alla ricerca di cibo, chi a far la coda al bar per i consueti, ottimi panini, chi all’esterno dell’area, a rinfrescarsi al chiosco della frutta. È in questo frangente che, scoraggiati dalla coda, ci rivolgiamo al banchetto dei cupcakes facendo una gustosissima scoperta: queste tortine dai vari gusti, fra cui spicca quello al limone, sarà fra i picchi assoluti del NOfest!. Incuranti dei nostri bisogni fisiologici i concerti si susseguono senza sosta, ma dandoci il cambio come in un incontro di wrestling non ci perdiamo nulla: mentre qualcuno affoga l’appetito nei dolci, i Farmer Sea si sparano un concerto di tutto rispetto, anche grazie al loro nuovo tellurico batterista (direttamente dagli Armstrong!, band davvero valida). Indie rock melodico con un ottimo tiro, suoni da paura e pezzi ben scritti: per un genere che nella sua accezione classica in Italia è alla frutta, questa è una bella scoperta. Una garanzia di tenuta palco e spettacolo assicurato sono il duo OvO, con il loro classico set abrasivo e senza compromessi: Bruno e Stefania sono rodati e affiatati come non mai, il pubblico li gradisce e si diverte. Segue la reunion degli Isobel nelle cui fila suona il nostro Danilo Corgnati, a giudicare da pubblico e applausi eroi locali attesi da molti: il loro post hardcore fortemente emotivo merita veramente, i ragazzi sono in forma e si divertono… si può chiedere di più? I milanesi La Crisi sfoggiano un concerto di hardcore classico sparato, col cantante Mayo scatenato sul palco; i pezzi si susseguono uno dopo l’altro nofest2012starfuckerstirati e ben suonati, per una mezz’ora coinvolgente: decisamente meglio di una delle tante reunion di cariatidi americane (e non solo) in giro in tour per arrotondare la pensione. I Trans Upper Egypt suonano subito dopo e sicuramente le loro coordinate sonore sono ben diverse: un rock psichedelico e lisergico con accenni tribali che sulle prime convince ma che alla lunga (complice la stanchezza) ci fa abbassare il livello di attenzione; rimandiamo una impressione più nitida su di loro alla prossima volta. Spaccamombu, supergruppo che unisce la chitarra di Paolo Spaccamonti ai Mombu poteva essere una cosa geniale o una schifezza, col timore che si tendesse più al secondo termine. Sorprendentemente la verità sta nel mezzo e l’insolita ensemble sfoggia tre pezzi doom (fa testo l’accenno sabbathiano durante il soundcheck) caratterizzati da una notevole pesantezza a dal del sax che si intreccia sapientemente con le sei corde. Non strafanno, non sbrodolano, non suonano troppo: una sorpresa in positivo. La chiusura della serata di sabato, mentre la folla è ormai numerosissima sia dentro che fuori, spetterebbe ai non indimenticabili Wild Weekend, ma a conclusione della cospirazione dei quattro cantoni (o meglio dei tre palchi) di cui si accennava prima, Chris X dei latitanti Hiroshima Mon Amour, si impossessa della saletta dedicata al grande Germano Mosconi (Death Room un accidente, tra l’altro, la sala è freschissima) e davanti a pochi intimi mette in scena dieci minuti di noise elettronico ben fatto, fra basi preregistrate (il tempo per preparare il set è stato d’altra parte limitatissimo) e suoni live, per lo più ottenuti sfregano una lastra di metallo con un microfono a contatto. Non propriamente una ninnananna, ma una degnissima chiusura di questa lunga giornata.

(a cura di: Claudia Genocchio, Emiliano Grigis, Emiliano Zanotti)