Melvins + Ufomammut – 12/07/2023 – Link (Bologna)

Dopo alcuni anni d’assenza, i Melvins tornano in Italia per due date,  in occasione del tour celebrativo dei loro primi 40 anni di attività.
L’occasione è ghiotta per sentire dal vivo uno dei gruppi più iconici del rock e si scende, quindi, a Bologna per il secondo appuntamento italiano del tour.
250 km di traffico infrasettimanale mi permettono di arrivare a destinazione, quando gli Ufomammut hanno già iniziato a suonare.
A destare subito un certo disagio è l’impianto, da cui fuoriescono le note grevi del rock psych-ipnotico del trio piemontese: piccolo e appoggiato a terra. Il risultato è un suono ipercompresso, a causa dei corpi umani che schermano le onde sonore che si propagano ad altezza caviglie. Anche, il volume potrebbe essere ben superiore per inondare tutti delle frequenze, quasi palpabili dei tre musicisti.
La situazione migliora solo se ci si piazza tra le prime file.
Un altro bel problema, figlio di un’organizzazione del tutto inadeguata, è la presenza di solo tre spine per la birra a fronte di circa un migliaio di para-metallari assetati. Senza contare, che erano presenti una sola cassa per i pagamenti ed un solo chiosco per il cibo.
Ulteriori noie sono dovute alla difficoltà di capire come viene gestita la fila all’ingresso: io e miei soci la saltiamo agevolmente, essendo già in possesso di tessera AICS, obbligatoria per l’ingresso, ma in scadenza il 31 agosto e di biglietto. Altri, invece, si ritrovano in un cul de sac con tempi lunghissimi per l’ingresso nell’area del concerto.
Premesso tutto ciò, gli Ufomammut, dall’alto del “palco capovolto” (parete mobile dello stabile aperta e tutti fuori a vedere i musicisti suonare “dentro”), ci danno sotto per circa un’ora con convinzione e la giusta dose di mestiere. Lo psych-rock della band alessandrina, intriso di sonorità doom, è ipnotico e meditativo. L’ennesima nota stonata, al di fuori delle band sul palco, è il blackout che congela pubblico e Ufomammut per alcuni minuti nel pieno della loro esibizione.
Alle 22.00, più o meno in punto, sulle note di Take On Me, i tre Melvins salgono sul palco. Inutile nascondere che vederli e, sopratutto, sentirli è un sogno che si avvera per molti presenti. Si è di fronte ai pionieri del rock alternativo, similarmente a ciò che furono i Black Sabbath per l’hard rock e il metal.
La scaletta dei brani era già ben nota, perché proposta anche nelle altre date del tour, senza sostanziali variazioni sul tema. Si attacca in maniera, forse, un po’ “timida” con Sneak Appeal, pezzo edito in varie versioni, ma in nessun degli album maggiori fino all’ultimissimo disco uscito per Amphetamine Reptile. Subito dopo, ecco la prima pacca e la prima hit proveniente da uno degli album più noti e seminali della band: Zodiac, direttamente dal capolavoro Bullhead. Saranno altri due i brani da questo disco, ma andiamo con ordine. A seguire c’è Copache, pezzo proveniente dall’altro capolavoro e, forse, il disco più mainstream dei nostri: Houdini.
Questa prima parte di concerto è, sinceramente, deludente per la scarsissima qualità del suono. Seguo i primi due pezzi di fianco alla postazione dei fonici e la situazione è imbarazzante. Non si capisce sostanzialmente nulla. La compressione del suono e il volume che arriva a circa trenta metri dal palco è roba da sagra di paese.
King Buzzo, Dale Corver e Steven Shane McDonald fanno quello che sanno fare: suonano alla grande, il tiro c’è, ma non è sostenuto adeguatamente dalla struttura. I tre sono nelle uniformi d’ordinanza del tour: tunica sciamanica per Buzzo, come ormai da anni; completo rosso dal gusto orientale per McDonald e trucco goth per Crover. Il bassista, l’ennesimo per i nostri, è il mattatore visivo dello show: tra balletti, saltelli, svisate lungo il manico dello strumento ed urla isteriche tiene banco e non potrebbe essere altrimenti data la militanza in gruppi energici come Redd Kross, di cui è stato fondatore, e OFF!.
La parte centrale del concerto inizia con la cover di I Want To Hold Your Hand dei Beatles dal disco Pinkus Abortion Technician e prosegue con un paio di brani dal penultimo disco Bad Moon Rising e, comunque, con pezzi relativamente recenti.
Il mio riposizionamento nella platea, davanti al palco, mi permette di apprezzare meglio lo straordinario atteggiamento dei tre: carichi, presi bene ed entusiasti di quello che stanno facendo.
Ad aprirmi il cuore, i timpani e le membra, oltre ad un paio di pacche rimediate in un saltellante pogo, sono i due pezzi da (A) Senile Animal, disco non dei più noti, ma che personalmente ho ascoltato decine di volte.
Il decollo definitivo, verso un concerto clamoroso, è la terza ed ultima parte del live, che riprende brani da Houdini e Bullhead: Honey Bucket, Revolve e Night Goat sembrano far concludere col botto lo show. Dale Crover abbandona la sua postazione per scambiare qualche parola col pubblico, a differenza di McDonald e Osbourne che staranno sempre sostanzialmente sulle loro, soprattutto, il riccioluto leader del gruppo.
Il finale è una versione sublime di Boris, con una conclusione affidata al solo King Buzzo sul palco, che trascina il bravo per altri interminabili ed intensi minuti tra sussurri e colpi sulla chitarra sempre più effimeri, fino al finale quasi sussurrato.
L’esperienza vissuta in quel di Bologna è, dunque, riassumibile come straordinaria ed intensa, se ci si concentra SOLO sulle band sul palco, che sono riuscite a non far pesare, per quanto di loro competenza, le clamorose lacune organizzative e tecniche. Probabilmente chi ha assistito al concerto di Torino, organizzato allo Spazio211, luogo ben noto ai frequentatori di concerti, avranno vissuto un’esperienza qualitativamente migliore. Siccome, però, non tutti i mali vengono per nuocere, ho potuto avere conferma che i Melvins sono una band che è in grado di sostenere uno show tutto sulle proprie spalle, senza il minimo supporto esterno. Questo mi fa affermare che sono, quindi, una delle band, se non la band, più grande in sede live che abbiamo mai visto.
Infine l’occasione è ottima per riprendere una discografia immensa e, per vero, dispersiva, ma stracolma di gemme, alcune delle quali finalmente passate in sede live attravero i miei umili timpani.