L’allontanamento dalla Relapse in virtù di una major non sembra aver intaccato particolarmente la creatività e la furia dell’eclettico quartetto che, al contrario, pur concedendosi inedite apertudei Mastodon re vocali molto melodiche (Pendelous Skin), continua il suo percorso nel tunnel del metal più articolato, strutturato e tecnico. La matrice Death grazie a Dio rimane, ma ponendo maggior attenzione a particolari tessiture: caratteristiche semmai, di un certo progressive anglosassone (Sleeping Giant, Bladecatcher). Il disco resta però godibilissimo e trovo anzi indicativo l’opening act per il tour dei Tool (dai biglietti esosi). Le chitarre non temono mai arzigogolature né avvitamenti, forse poco incisivi nell’ossatura dei pezzi, ma seducenti e sognanti nell’economia dell’intero lavoro, anche questa volta concept elementare. I quattro virtuosi non annoiano mai con i classici onanismi solisti che tanto hanno fatto svalutare il genere, prediligendo invece soluzioni e inserti dal tono più epico o anche classicamente Thrash. Apprezzabile lo sforzo di Brant Dahlor, autentico enfant prodige che, a differenza dei tre precedenti lavori, ha preferito asservire questa volta (leggi incanalare), la propria mostruosa tecnica strumentale per aggiungere dinamica e compattezza ai pezzi che, va sottolineato, nonostante la varia e complessa trama, non si annacquano mai né si perdono per strada. La solita e trita domanda sorge allora nuovamente spontanea: dopo una Blood Mountain dove possono ancora sperare di arrampicarsi questi intrepidi scalatori?!