Maple Death Records e Love Boat Records and Buttons sono due entità molto ben conosciute su queste pagine, così come molto bene si conoscono le persone che dedicano loro tempo, energie e visioni artistiche, Jonathan Clancy ed Andrea Pomini.
A breve distanza l’una dell’altra hanno pubblicato la prima Bologna for Palestina e la seconda We Will Stay Here: Music for Palestine. Due testimonianze collettive, la prima registrata dal vivo il 13 gennaio al DAS (Dispositivo Arti Sperimentali), la seconda composta con la visione da produttore puro, commissionando a progetti ed a artisti una traccia appositamente per l’occasione.
Le due compilation andranno a sostenere due differenti enti, la prima il The Ghassan Abu Sittah Children’s Fund e la seconda Medical Aid For Palestinians, enti a protezione dell’infanzia ed a sostegno delle popolazioni palestinesi.
Oltre ai nobili intenti dentro queste 34 tracce c’è un sacco di musica libera. Pregna di sentimento e di gestualità, di slancio senza essere didascalica né pro forma.
No, qui Ceci Stacchiotti, Leonardo Melchionda e Carlo Marrone, Guglielmo Panozzi e Reda Zine, Laura Agnusdei e Giulio Stermieri, Kat dei Sobeast e Daniele Carcassi, Simone Grande ed Andrea Trona, Agnese Banti e Stefano Pilia, Fera e Dario Moroldo, Ich bin Bob, Sly per quanto riguarda il blocco bolognese e Sara Persico, Agostino, STILL, Anniatu, Mai Mai Mai ed Osama Abu Ali, Bawrut ed Assyouti, Bono / Burattini, Holy Tongue e Dali de Saint Paul, Cosmo, Not Waving e 3phaz, Sousou Laroche ed A Hand per la torinese mettono il loro contributo studiato, composto od espresso istintivamente. È un lungo elenco e non sono recensioni della musica è vero, ma se il compito dei media è fare da megafono ad operazioni oneste e sostenibili beh, crediamo che quanto portato avanti dalle due label sia assolutamente ammirevole. Due nastri, due oggetti che non vorremmo riavvolgere ma che preferiremmo di gran lunga fossero promotori di cambiamento e di discussione, partendo qui per scoprire artisti, situazioni storiche, conflitti e stridori che è ormai impossibile farsi scivolare sotto agli occhi.
Dopo la presa di posizione iniziale di Agnese Banti la voce, le voci sono prese e plasmate nel suono, creando un flusso ambientale che ci fa letteralmente planare nei luoghi del conflitto, con un effetto quasi sintetico. Sono lampi free, psichedelici e jazz, spoken world, su tutto una sensazione sì di urgenza ma soprattutto di qualità e fantasia messa in comunione, di energia purissima espressa sul palco del DAS. I campioni vocali si sovrappongono a suoni sparsi, battiti come gli iniziali di Ceci Stacchiotti che ci trasportano direttamente in un bunker sotto pressione. Tutti i partecipanti declinano atmosfere e sensazioni differenziando stati d’animo che vanno dal raccoglimento psichedelico (le riprese di JS Bach di Leonardo Melchionda) e di garra, spiccando l’efferato stralcio noise ritmico di Carlo Marrone, le linee vocali di Reda Zine, i due singulti vocali di Kat dei So Beast per un suono alieno e la #9 in front of snipers della coppia formata da Laura Agnusdei e Giulio Stermieri.A tratti i brani portano la mente a concretizzare i nuclei sonori in direzione di un commento drammatico, a tratti ci portano invece in un altro mondo, in lidi straordinari e selvatici, mentre gli applausi finali ci fanno capire quanto invece tutto questo sia reale, presente e doveroso.
Sulla seconda compilation si entra invece in un mondo contemporaneo e digitale, tagliato con una temperatura ed una spaziatura che ci permettono di affacciarci sul golfo Mediterraneo, entrando a gamba tesa in una radura dalla quale parte un mix che raggiunge mescolanze e vertici parecchio alti: dall’iniziale Phoenix Plain alla testimonianza di Hilarion Cappucci nel brano di Agostino. La forza di un suono meticcio, che riesce a prendere a piene mano dalla tradizione mediorientale ma anche mediterranea (si vedano i sample dei Kunsertu utilizzati da Anniatu nella sua Abtal). Si respira una fortissima sensazione di coerenza nella diversità espressive. Il suono è caldo e polveroso, dei suoni digitali si percepiscono le rocce e la sabbia dalle quali si spremono le componenti informatiche, in un cortocircuito che forse si tocca con Jafra di Assyout, produttore e dj egiziano assolutamente magico. Poi antri dub spolpati, le nuvole dell’unione di Marco Jacopo Bianchi ed Alessio Natalizia, in un brano letteralmente stupendo e senza peso, le pungenti ritmiche di 3phaz. Susu Laroche trasporta la carovana in una nottata buia e blandamente ritmica, a seguire una voce magica e spettrale, per chiudere con il suono fantasma di Ahand e la cassa di Not Waving.
Due tributi necessari, mille mondi sonori che si incrociano fra jazz, musica impro, elettronica e tradizionale, a dimostrazione della qualità attiva sui territori, in una sorta di mappa che riesce a segnalare ed a connettere spiriti affini. Plauso a Jonathan, Andrea ed a tutte le partecipanti e musicisti, per due progetti gonfi di qualità e suono bastardo e bellissimo.