Martina Berther è una bassista e compositrice zurighese che con il suo primo album da solista riesce a portarci in un mondo aereo, soffuso e misterioso, tanto che il mood iniziale sembra mettere in atto una circospezione che in diversi ambiti abbiamo percepito tra le pagine di Jeff Vandermeer o sui dischi di Bill Nace e Loris Cericola. Le note sembrano trasformarsi in gocce, involucri a se stanti che uniti creando tessuti sonori evocativi. 6chords ed Alienruf I, i due brani con i quali apre l’album non sembrano preventivare la presenza umana, ma descrivono paesaggi altri, quasi imperscrutabili. Poi ci si accosta a nenie orientali ma il tutto rimane a forma di bozzetti, quasi flash che ci spostano delicatamente da un luogo all’altro, facendoci acquistare un senso di pace e comunione col suono. Cymbals, Bow, Arrow, tappa dopo tappa, semplicemente si viaggia con la mente, in uno stato pressoché meditativo ed avvolgente. Crepitii, suoni che paiono estrapolati da librerie sonore alla voce tensione (Wool, Obertone), senza che questa impostazione dia un’immagine sterile e fredda del lavoro in sé. Martina riesce infatti a creare un vero e proprio percorso attraverso gli ambienti con mano leggerissima, le gocce tramutate in brina, o forse semplici particole di materia sconosciuta e ricca di fascino. Mescolanze, rintocchi, risonanze ma sono solo spunti, appunti su un suono che non ha senso decifufucare bensì viver passandoci attraverso (Rythm Sponge, Sprinkler, Silverneck) chiudendo cerchi, riti e viaggi, ritornando in una Svizzera circolare, aperta ed impalpabile.
Martina Berther – As I Venture Into (Kit, 2024)
