La Lunghezza non è tutto #13

Le Jerome, duo composto da Annalisa Iembo e da Stella Mathioudakis di stanza a Bristol, arrivano con Moving a concretizzare un ep di 4 brani. Suono opprimente ma aereo, rumori amplificato come dub e sovrastati da una voce dritta ed inespressiva. Avanzando suoni sembrano giungere addirittura dallo spazio, lasciandoci increduli sulla natura umanoide del progetto: crude, fredde, come delle giovani Caroline Hervé che fanno ballotta con Miss Grit. Solo con la finale Salo Panto si lasciano andare quasi strafatte dal groove, perdendo quella piccante algidità per una chiusura che sa di Chicks on Speed alle quali abbiamo cambiato lo speed con la weed. Molto interessanti, ci metteremo alla ricerca di quanto effettuato fino ad ora per scardinarne maggiormente i concetti e le visioni.

Lullabier, aka Andrea Vascellari, decide di tradurre e di riprendere in italiano Will the Night dei Low e Damage II di Gravenhurst. La prima domanda, scontata, a venirci in mente è: perché? Semplicemente per farci un regalo, stirando su di una spiaggia invernale un insieme di parole e suoni da far accapponare la pelle. Notte è bellissima, perfettamente inserita nel personaggio di Lullabier. Epitaffio è più composta, da accompagnamento sofferto, da isolamento al buio. Andrea riesce a farsi portatore del cuore altrui, i cuori di Nicholas, Alan, Mimi e Zak, facendoci dono di qualcosa di ancor più prezioso: il battito del proprio organo cardiaco.

Con Saint Huck, progetto di Livio Lombardo, viaggiamo su binari differenti, con un impianto rock cantautore le che può aprirsi o verso una psichedelia pop aperta come i Mercury Rev insegnavano anni fa. Voci, colori e delicatezza, oltre alla capacità di rifinire arrangiamenti in piccoli quadretti pop che a sentirli in radio potresti penare ad una bella, bellissima sorpresa. Livio ce ne ha portate addirittura cinque, a noi non resta che accoccolarci in poltrona e lasciare che ci avvolgano.

Cel Ray è un quartetto di Chicago che torna dopo il loro debutto di febbraio. Pisa Park consta di quattro brani dove la voce squillante di Maddie Daviss si inerpica sulle ritmiche post-punk-dance arzigogolate che i suoi tre sodali le mettono a disposizione. Kevin, Alex e Josh suonano lucidi e nervosi, Kathleen Hanna sorride sorniona all’angolo. 8 minuti scarsi, tanto bastano ad innamorarci di loro, tanto più che negli stralci live che girano in rete sembrano essere il quartetto più ganzo della piazza, con stile, baffi ed immagine che fa strike al primo colpo. Saranno famosi!

Silvia Lovicario prende posto al microfono insieme a quel che rimane degli You, Nothing in tre tracce che sembrano sciogliere i ghiacci con la loro temperatura sotto la nuova nomea May Eyes Love. Cold wave, spleen a palla e lo shoegaze come stile necessario per controllare di non finire nelle acque gelide. Rispetto al vecchio progetto c’è maggior eleganza e catarsi, quasi un guanto di velluto al posto di un pugno di ferro, con linee vocali amniotiche ed una produzione larga che potrebbe portar loro anche un discreto AirPlay.

Da Lione i Celeste portano avanti il loro discorso dritti dritti dal 2005. Il loro ultimo ep, Epilogue(s), porta avanti un’idea di Black metal che svela le proprie origini hardcore con un’intensità solenne. L’artwork della band continua a portare avanti un discorso visuale che esula dalla classica iconografia, lasciandoci al cospetto di una bellezza dormiente e manipolata, quasi la musica fosse un’espressione segreta di un angelo, che stringe gli occhi (Plisse les yeux jusqu’au sang è il nome del brano centrale) fino a produrre delle lacrime sonore. Acri e concentrate, come questo quarto d’ora furente. In realtà l’ultimo brano, a dispetto dell’andamento, ci lascia crogiolare in una bassa intensità che si trascina verso un ambito quasi sadcore che fa dell’eleganza la sua arma e che mi ha addirittura ricordato i Chokebore

Che dire ancora delle Boygenius? 4 brani per un super gruppo che ha sempre più l’aspetto di un buen retiro nel quale le nostre possano, senza pressione, suonare insieme. Qui addirittura chiamano tre amici, Conor Oberst, Christian Lee Hutson ed il batterista Marshall Vore per un brano, Voyager, che armonizza come una vecchia storia nella valle lasciandoci sospesi nel tempo. Ma i 12 minuti di the rest sono costruiti su un impianto solido, pulito ed accurato, non scendendo mai oltre la bellezza. Credo boygenius (Lucy Dacus, Phoebe Bridges e Julien Baker per non dimenticare) possano rimanere con noi per diversi anni, commuovendoci ad ogni canzone.

Chiudiamo questo appuntamento con le quattro tracce che compongono il 4 songs ep di PACÖME GENTY su Prohibited Records, label che mai credo abbia prodotto un disco meno che bellissimo. In questo caso siamo alle prese con un cantautore declinato, lo sguardo allo spazio siderale ed arrangiamenti eleganti e mai fuori misura. Come sentire un piccolo David Bowie od un Peter Gabriel, della medesima drammaticità ma con un candore ed un calore che lo avvicinano al songwriting americano degli ultimi 20 anni. Un incrocio che favorisce la salivazione e la ricerca di quanto fatto dal nostro finora, quindi il Debut Album del 2022. Con la fantastica onestà con la quale titola le sue uscite vi auguriamo buon ascolto anche per questo mese…