'There's a word on my lips, which I could not explain' canta jonathan Anderson in Long Gone e fa il punto della situazione per quel che mi riguarda. Perchè le dodici tracce, che ci hanno messo un pò a essere messe su disco (il progetto si avvale della collaborazione di artisti che vivono lontani fra loro), sono connotate da una freschezza compositiva, ma si avvicinano molto a qualcosa che già musicalmente si conosce e si individua ma non si sa spiegare. Sarà che Lost: Time è costruito attorno a pezzi eterogenei sia tra loro che rispetto al fil rouge che trovo le unisca: il pop. Un pop molto radiofonico e probabilmente 'spacciabile' con facilità – 100 Voices -, nonostante pezzi che si discostano da questo schema – Hours on a string – e che, secondo me, dichiarano una probabile vicinanza di intenti a personaggi come il Sufjan Stevens di Illinois o Avalanches – Cease Fire – o che seguono una linea meno marcatamente indie – Waiting For Morning – lasciando intravedere (esiste 'intrasentire'?) diverse note leggere ed emozionali – Impatient, Astronauts -. Su qualche rivista settimanale non specializzata che danno in allegato ai quotidiani più gettonati si troverebbe un commento del tipo "Solo per romantici interessati, astenersi disillusi" (e non lo dico tanto per dire… come si suol dire, c'ho le prove!). E' così la Arctic Rodeo ha sfornato il terzo lavoro di quello che era nato come il progetto solista di Anderson, anima di quel che è diventato Jonathan Inc., un gruppo di quattro musicisti canadesi che tra chitarre e voci soffici, archi, vibrafoni, moog e wurlitzer creano la magia. Non una magia particolarmente innovativa, ma che amanti di un certo folk anni '70 apprezzerebbero molto.