Dopo l’esordio omonimo e Perimeter, targati rispettivamente 2016 e 2018, gli elvetici Houstones hanno intrapreso un percorso slegato dal concetto di album lungo, che dovrebbe ritornare comunque entro l’annata (al momento stanno attendendo il master, in mano a Marco Fasolo, che ha registrato il lavoro presso la locale Fabbrica di Losone). Poi date sparse nel Canton Ticino, diversi singoli: Adderall, Ittero (presente anche nella nostra compilation estiva), Aristocrush, Holy. Poi uno split con gli Jezoo (finalmente recuperato al banchetto di questa sera) ed ora siamo qui all’Oops, storica venue luganese calcata a più riprese dai Pussywarmers, eroi di casa, e della quale serbo ricordi fantastici delle scorribande degli X-Mary.
Houstones quindi, Saul Savarino a voce e chitarra, Joel Pfister alle pelli, Serena Maggini alle tastiere ed alle voci e Maurizio Cuomo al basso.
Attaccano ed il suono è inconfondibile, tra la voce di Saul, l’immaginario desertico dietro di loro e le tastiere che rinforzano tutta la scena. Il locale è bello pieno e parte del pubblico parrebbe essere qui proprio per loro…il gioco vocale fra Serena e Saul funziona e riesce a dare profondità al suono, per una Panta Ray delicata e ficcante. L’abbigliamento frontale dei tre, camicia floreale, t-shirt di joydivisioniana memoria con artwork di Harold D. Craft J e camicia a di flanella rappresenta l’ampiezza di un suono solo in apparenza monotematico. Aristocrush si trasforma in un viaggio su più livelli, torbida e coinvolgente. Poi ci si barcamena su voci filtrate (che forse avrebbero bisogno solo un po’ di coraggio per mostrarsi come sono) ed ambientazioni che fanno nascere intuizioni pop parecchio orecchiabili ma con quella crosta rock che ne potenzia in qualche modo l’espressione, per una musica sostanzialmente fuori dal tempo, spendibile fra il 198* e l’oggi. La fiducia è la speranza è che il nuovo disco, prodotto con Marco Fasolo, possa dare la giusta collocazione ad Houstones che questa sera, esclusa la resa audio che rimane quella che è, non ha mostrato problemi, riuscendo a coinvolgere un pubblico tra i 20 ed i 45 anni senza patemi di sorta, fra urli ai pezzi conosciuti ed ondeggiamenti de panza e de sostanza quando necessario.
It’s only desert rock but we like it. Intanto sono finito senza voce, qualcosa vorrà pur dire, no?