Hobocombo – 25/02/11 Il Dito e la Luna (Coccaglio – BS)

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Il vento che scende dalla Valcamonica taglia la faccia stasera a due passi dal monastero di Rovato, ma a fine febbraio e in posizione elevata ci può anche stare e lo si sopporta ancor più volentieri in periodo concertisticamente di magra. Sono salito fin quassù, attraverso un viottolo adatto più ai muli che non alle automobili, per il concerto degli Hobocombo, terzetto dedito alla riproposizione non pedissequa delle canzoni del musicista newyorkese Moondog, dei quali forse avrete letto la recensione del disco qualche giorno fa. In contrasto con l'ambiente esterno, la sede dell'associazione Il Dito e la Luna è calda per temperatura, colore e atmosfera; un bicchiere di rosso completa il quadro e ci prepara al concerto.
La piccola sala, dove i tre musicisti stanno trincerati ognuno dietro il proprio strumento, va riempiendosi lentamente; c'è evidentemente da vincere un po' di timidezza e hobocombo_1nell'attesa che ciò accada, ci pensano i ritmi tribali e drammatici di Witch Of Endor a scaldare l'ambiente. Non aiuta, alla fine del pezzo, l'irrompere della voce campionata di Moondog che lo coordina al successivo, spiazzando i presenti e bloccando sul nascere il doveroso applauso. Il ghiaccio si rompe così dopo il secondo pezzo, quando ormai si è fatta la conoscenza di questa musica vibrante, mai ostica anche quando, in confronto al disco presenta qualche ruvidezza in più. Ma proprio rispetto all'incisione il gruppo rivela una maggior scioltezza, frutto evidentemente dell'esercizio live e di una pratica che permette di impossessarsi dei pezzi, consentendo rielaborazioni ardite (To A Sea Horse) e addirittura l'esecuzione di un brano autografo, Desert Wishper, che si inserisce senza soluzione di continuità nella scaletta. Partecipare a un progetto del genere dev'essere come, per un attore, interpretare un personaggio reale: lo si studia, hobocombo_2inizialmente lo si imita e una volta che lo si è capito, si dà la propria interpretazione. Ecco, gli Hobocombo sono arrivati a questo punto. A inizio concerto avevo pigramente preso posto su una sedia, ma devo ammettere che la posizione eretta sarebbe stata più adatta: fra ritmi caraibici, intrecci vocali quasi pop, contrabbasso sferzante, melodie che corrono dalla California al Messico, siamo più prossimi a un concerto da vivere fisicamente piuttosto che da ascoltare comodamente. Non è un caso che il pubblico vada man mano aumentando, dimostrazione non solo della fruibilità di questa musica, ma anche di un'empatia che va oltre il genere proposto nel corso di poco meno di un'ora, genere che tutto sommato cos'è? Jazz sui generis che in origine ha saputo raccogliere gli umori della strada e che ora, filtrato dalla sensibilità dei tre musicisti, si trova a proprio agio in ogni contesto. Scusate se è poco.