Fabrizio Tavernelli, persona creatrice.

Da un paio d’anni mi sono appassionato all’ultima fase della carriera di Fabrizio Tavernelli, artista che negli ultimi 40 anni è riuscito a creare un percorso assolutamente personale nella sua via artistica sotto più vesti nelle quali, però, è assolutamente riconoscibile. Dopo aver ascoltato l’ultimo suo disco, Resa Incondizionata, abbiamo approfittato della sua cortesia per una chiacchierata nella quale andiamo ad esplorare diversi temi.

SODAPOP: Ciao Fabrizio, innanzitutto grazie mille per l’intervista e molto piacere!

FABRIZIO: Volentieri!

SODAPOP: Stavo esplorando un po’ la tua ultima fase artistica. Avevo recensito il tuo penultimo disco, Algoritmi nel 2022 e facendo due calcoli stai mantenendo una media di un album ogni paio d’anni da solista. Iniziando con le domande indiscrete tu di che annata sei Fabrizio?

FABRIZIO: 1965! 59 anni


En Manque d’Autre – Cianciulli

SODAPOP: 59 anni di cui quanti passati in musica? Tu iniziasti con gli En Manque d’Autre, vero?

FABRIZIO: SÌ, avevo anche qualche gruppetto prima, ma è cominciato ad essere una cosa più continua ed importante con gli En Manque d’Autre da metà degli anni ’80, dai!

SODAPOP: Nel 2010 riparti a nome tuo dopo anni con differenti progetti invece…

FABRIZIO: Sì, ci sono stati gli AFA, con i quali abbiamo collaborato con il Consorzio Produttori Indipendenti negli anni ’90 e diversi progetti prima di intraprendere questa serie di uscite soliste.

SODAPOP: Quindi una scelta di lanciarsi come solista dopo un quarto di secolo come membro di diverse band.

FABRIZIO: Esatto, con gli En Manque d’Autre abbiamo fatto dischi dal 1985 al 1990 suppergiù, prima qualcosa stile dark, new wave, no wave, post-punk, quella roba lì insomma. Gli En Manque d’Autre invece erano già più contaminati e meno emulativo: quattro album per lo più autoprodotte, all’epoca c’erano le prime distribuzioni indipendenti, poi negli anni ’90 sono tutti quanti monopolizzati dal discorso dei Dischi del Mulo, degli AFA e dal 1993 insieme alla Sugar di Caterina Caselli. Poi nacque il CPI e fino al 1999 ci sono stati loro. Dopodiché, dagli anni ’00 al 2010 ci sono stati una marea (anche troppi) di progetti con cui ho, diciamo, confuso più che potevo le menti perché ho fatto veramente di tutto. C’è stato un progetto più sperimentale, un duo chiamato appunto Duozero con Enrico Marani già con i TAC e Le Forbici di Manitù, elettronica sperimentale e concreta durato un paio di anni, uno su Snowdonia ed uno con Small Voices. Poi i Groove Safari, più pop, electropop con qualche venatura lunghe, avevo tentato qualcosa di più leggero ed era uscito anche qualche singolo con la Sony, tra l’altro con dei passaggi radiofonici nei network, tentando una cosa più commerciale (per quanto possa farla io). Sono usciti un paio di album e…

SODAPOP: Com’era andato quest’avventura, questo tentativo commerciale?

FABRIZIO: Allora, è stato un tentativo commerciale che è andato bene per un paio di singoli. Ti sto parlando del periodo fra 2001 e 2002, con Groove Safari su Tom Fut Manifesto, un’etichetta legata al Maffia, mentreil secondo uscì con Baracca e Burattini, etichetta fondata da Paolo Bedini che era l’ex manager ed agente del Consorzio Produttori Indipendenti. Sono stati i due dischi più kitsch, legati a certo suono pop elettronico con qualche divagazione punk-funk. Poi c’è stato Ajello con DJ Rocca del Maffia col quale abbiamo iniziato a fare tutta quella serie di cose che dalla new disco passava all’italo disco con aumento un paio di album con l’etichetta Expanded Music e con Piddu, Marco Gallerani, che fa roba dance ed una miriada di singoli e remix per etichette ed etichettine anche straniere, lavorando col suono che andava all’epoca.

SODAPOP: Anche con la Mantra Vibes faceste diverse cose!

FABRIZIO: Esatto! Ogni tanto mi perdo qualche pezzo, facemmo diverse date, dj set in tutta Europa. Poi un altro progetto di nome Roots Connection, sempre su Baracca e Burattini per un paio di album. Io e Fabio Ferraboschi, all’epoca già produttore per gli AFA su Nomade Psichico facemmo un paio di dischi fondendo il blues con l’elettronica con questo chitarrista che aveva suonato un sacco negli anni ’70 di nome Enrico Micheletti (chitarrista molto conosciuto all’epoca come poteva esserlo un Treves e questi personaggi italiani che facevano blues). Lui era stato negli Stati Uniti per diversi anni ed era un grande suonatore della dobro, la steel gustar. Abbiamo fatto questo incrocio fra il blues, la steel gustar e l’elettronica. Poi dopo gli IRRS è partita una serie di album a mio nome e la differenza è che dopo tanti anni ho preso più consapevolezza, coscienza di me decidendo di fare musica a mio nome. Nella griglia della forma canzone mettevo dentro tutti quegli elementi che avevo esplorato negli anni quindi ci trovi veramente di tutto. Il formato è una canzone ma dentro puoi trovare obliqui e meno diretti, Nella mia storia di ascoltatore mi sono sempre piaciuti quelli che dentro la forma canzone mettevano elementi stranianti e devianti. Che fosse post-punk, pop o elettronica portando elementi d’avanguardia senza diventare elitari creando un contenitore popolare ma avanguardisti.

SODAPOP: Effettivamente gli ultimi due dischi sono storti ma comprensibili. La forma è pop e cantautore ma c’è un gioco, sembra quasi uno scortare le cose, il che è un po’ la cifra stilistica che ti ho sempre riconosciuto. Ricordo di aver ascoltato le tue prime cose probabilmente con la partecipazione a Materiale Resistente nel 1995, poi partì tutta la ballotta del consorzio e la mia conoscenza verso quella cosa lì.

FABRIZIO: DI tutta quella cosa lì il disco che rappresenta questa contaminazione fra canzone e psichedelica o stortura è Nomade Psichico dove per la prima volta, sai, gli album precedenti degli AFA erano ascrivibile a quello che all’epoca veniva definito come crossover. Da Nomade Psichico, vuoi anche perché frequentavo pesantemente il Maffia venendo a contatto con tutte quelle musiche elettroniche che arrivavano a Reggio Emilia, il breakbeat, il trip-hop. la jungle, la drum & base che mi ha influenzato. Da lì ho iniziato ad usare i samples, ritornando ad usar el’elettronica, mentre costante rimane l’utilizzo del testo, letterario insomma, una sorta di flusso di coscienza che ha unito tutto il percorso (e che per me è sempre stato importantissimo. Con Nomade Psichico ho messo anche un suono che portava elementi innovativi, era il 1996 ed in Italia su quel suono lì, a parte gli AFA c’erano forse i Casino Royale, un po’gli Üstmamò in chiave più pop, un po’ i Blindosbarra.
Poi se vuoi che te la dica tutta, rispetto ai generi che ti ho citato, il nostro era un genere meno catalogabile nonostante ci avessero messo nel calderone del trip-hop italiano ma era molto più psichedelico. Pur usando l’elettronica era un viaggio visionario ed anche l’uso del campione non era il breakbeat che sentivi nei pezzi jungle ma era più esoterico, fu scatenante Nomade Psichico e quell’approccio, anche se più suonato, lo ritrovo anche nei dischi a mio nome.

SODAPOP: Vero che rispetto a Casino Royale e Blindosbarra foste veramente un’altra cosa, così come oggi dì solista c’è qualcosa che ti caratterizza ed ê proprio la storia personale che ci metti dentro. Ma tu, a livello strumentale cosa fai fondamentalmente? Io ti lego al testo ed alla voce come ottica, ma che tipo di formazione o di input hai tu come musicista?

FABRIZIO: Esatto…è una domanda importante ed ha senso perché in effetti non sono una figura ben inquadrabile in un ruolo od in una tecnica. Se vogliamo far una citazione del maestro, il maestro è Brian Eno che si definiva un non musicista, che pur non avendo conoscenze tecniche particolari ha rivoluzionato la musica dagli anni ’70, dai primi Roxy Music a manipolare synth su un gruppo che faceva del glam ed il mio approccio è istintivo. Ho avuto qualche nozione di tecnica da ragazzino facendo il percorso per entrare nella banda che però poi ho mollato. Però nasco come cantante, creatore di testi e cantante. Per questo ho avuto bisogno di avere intorno a me dei gruppi, perché non avevo la competenza e la conoscenza per mettere su dei brani da solo, nel senso che proprio all’inizio non sapevo mettere che pochi accordi sulla chitarra. Poi quando ho iniziato a suonare io, tenendo conto del DIY, del punk e del post.punk non è che fosse necessaria tutta questa tecnica. I Joy Division, il Pop Group o Gang of Four e Cabaret Voltaire non è che fossero virtuosi dello strumento, anzi, il punk ti diceva di prender lo strumento e suonarlo anche senza una tecnica buttando fuori. L’urgenza del punk e del post-punk, la no wave americana, il rumore…insomma nasco da lì. Poi col tempo mi sono avvicinato di più allo strumento cominciando a lavorare magari in modo non ortodosso su chitarra, tastiere e campioni cominciando a sentirmi nella possibilità di poter partir da me stesso per le musiche. Oggi, per tagliarti un po’ il percorso, in modo molto personale riesco a creare i brani a casa mia con qualche accordo di chitarra e tastiera, salpe e Beats, portando in sala prove ad elaborare col gruppo un pezzo già finito nella sua stesura, strofa ritornello cambi d’accordo middle eight, parti musicali ed idee. Sono autosufficienti ma se devo dire cosa sono posso…permettimi questa parola non per snobismo, forse mi considero più artista che musicista. Con la lettera piccola eh?! Più Brian Eno e David Byrne, vengo più da quella scuola lì e, se ti faccio anche un riferimento colto (scusami con questi riferimenti, posso sembrare un cacacazzo) il mio riferimento sono le avanguardie artistiche come gli esperimenti di Burroughs col cut-up, oppure ad esperimenti dadaisti, surrealisti o l’art brut di Dubuffet, quindi mi interessa quell’aspetto dell’arte più di saper fare tutte le scale blues possibili ed immaginabili. Ho un altro approccio che negli anni si è raffinato da brutale ad urgente, noise e grezzo, diventando più raffinato e ricercato perché riesco a fare più di prima.


AFA – Mondariso

SODAPOP: Mentre parlavi pensavo all’immagine che ho di te e definendoti potrei farlo come un ideatore, qualcuno che riesce a dare del tuo ad un suono che puoi fondamentalmente giocare come vuoi partendo da una bozza tua per poi vedere con chi dovere come completare, che è quello che fondamentalmente caratterizza la tua storia, perché si riesce a riconoscere una tua impronta personale ed artistica. Domanda: questa carriera, questa continuità produttiva ti da del credito? Hai fatto gli ultimi dischi con il crowdfunding, quindi sostenere spese di produzione e di stampa già di base. A livello mediatico, radiofonico e di approfondimento rilevi un credito che rimane attaccato o tocca sempre ricominciare sempre da zero? Ricordo che nella recensione del disco precedente evidenziato come una canzone, l’angelo del focolaio, se fosse stata cantata da un Manuel Agnelli avrebbe fatto incetta di ascolti ed elogi. Probabilmente il tuo giro ne è stato colpito ma non so se riesca ad andare oltre come sbocco. Questa cosa ti interessa ancora o il fatto di poter lavorare in libertà esprimendoti sia già comunque il risultato?

FABRIZIO: Sono un po’ tutte le cose che hai detto, allora…penso che sia impagabile a 59 anni dopo aver lavorato con autoproduzioni, etichette indipendenti, consorzio, qualche major, produzioni più grandi, a questo punto del mio percorso musicale è impagabile poter fare veramente quello che voglio o quello che in quel momento sento sia necessario far uscire. È impagabile perché io con il crowdfunding (che non so per quanto ancora possa reggere perché molti ci si rivolgono) faccio fede ad una nicchia di persone anche abbastanza consistente che mi segue già dai tempi degli EN Manque d’Autre e degli Afa, più ogni tanto si aggiungono altre figure. La fanbase ma anche dei nuovi ascoltatori e per me è soddisfacente questa cosa (scusa il termine bruttissimo) della fidelizzazione. Io lavoro anche in un supermercato perché sennò non mangerei e non pagherei l’affitto, Ho la fortuna di vivermi questo lavoro utilitaristico avendo studiato, approcciandolo avendo uno spaccato sociale ed un osservatorio sociologico. Poi mi allargo e son logorroico! Il crowfounding è soddisfacente e le produzioni ed i progetti stanno su da soli. è vero anche il fatto che ogni volta si debba ricominciare da zero. Il mio non e un nome che rimane lì e quando arrivo i riflettori verso di me. Devo mettermi lì a convincere…poi diciamo che nella mia carriera mi è sempre andato tutto piuttosto bene, anche perché non abbiamo mai avuto reazioni brutte o stroncature anzi, dalla critica musicale solo cose buone però, però vuol dire che tutte le volte…
Poi è cambiata anche la critica musicale, non è più quella cosa dei giornali, Blow Up, Rumore Mucchio e quel cazzo che è, ma molto critica musicale ora è sul web, autogestita, i blog, alcuni di qualità sta, tante alte con tanto persone che si improvvisano scrittori e critici. Vedo una nuova critica musical dei livello pari a quelle che c’erano sui giornali e parliamo di firme storiche che leggevi e rilevavi una competenza. A volte leggo persone che scrivono (anche nomi nuovi che scrivono sui giornali) non propriamente competenti, con strafalcioni nozionistici e sulla musica a volte abbastanza evidenti e grossolane.
Ci metto poi anche un discorso, positivo o negativo, che nel mio accidentato percorso musicale non ho mai fatto un disco od un progetto uguale all’altro. Un merito perché tengo la testa in movimento ma anche una complicazione nell’essere riconosciuto delle persone. Questo anche all’interno delle stesse esperienze musicali: gli AFA nel 1995 hanno fatto un crossover, qualcuno diceva patchanka, qualcuno diceva sappiano ed il disco dopo era di elettronica. Cambiamenti continui e molto distanti fra di loro, sempre in nome della curiosità ma con cambiamenti che lasciavano alcun interdetti, alcuni delusi, perdendo fan guadagnandone altri. La mia figura risulta non inquadrabile e la mia natura esplora. Non guardo al mio percorso come la ricerca di un disco della vita, che ti faccia svoltare. Vedo più un percorso, è più importante pensare che fra due o tre anni farò un altro disco e che a settembre uscirà un nuovo progetto sperimentale che sarà un’altra roba ancora.
In questo percorso ci sta anche che non tutti i dischi siano riusciti. Mica che David Bowie o Lou Reed han fatto solo dischi belli!

SODAPOP: Certo, chiaro!

FABRIZIO: L’artista vuole giocare con tutti i colori ed esplorare, magari giocarsi carte più popolari od elitarie ma è quando guardi il suo percorso generale che capisci dove si sia direzionato e quindi credo che utilizzerò il crowdfunding, pur essendo un discorso un po’ spinoso. Per alcuni è un mezzo (per me è un mezzo, non potrei far dei dischi perché sarebbero degli extra budget per me), per altri è un’elemosina. Però, pensiamo una cosa: uno che oramai le etichette vere che producono sono rimaste…qualche major. Che fanno i dischi sono concentrati sulla produzione seriale, sui talent, sulla produzione estetica più che musicale. tra l’altro molti giovani di questi poi soffrono di crisi d’identità e non ci stanno più dentro. Pensavo di, mi hanno fatto vivere un sogno ma non è così perché ne arriva già un altro. Achille Lauro è già del passato, c’è già qualcuno che lo scavalca per quanto riguarda provocazioni varie e si gioca più questo che sulla musica. Spesso poi non sono nemmeno autori, ma persone che interpretano una canzone o un ruolo e che quindi non potranno continuare in eterno. le etichette major quindi sono concentrate su questa cosa. Molte etichette indipendenti, le poche che son rimaste, in realtà sono autoproduzioni perché i budget sono risicati, si mette il maschietto vicino al disco e buona lì! Tanto vale allora…

SODAPOP: Far da sé!

FABRIZIO:…giocarsi la carta del crowdfunding. Ho una nicchia, un pubblico che mi segue. Sanno che seguendomi non è che gli do lo stesso prodotto ma che gli do qualcosa su cui ragionare mentalmente e musicalmente su quello che io di disco in disco maturo e documento, la mia visione del mondo. E la mia visione del mondo ha probabilmente un riscontro (ovviamente non si parla di folle oceaniche o che cosa) su un numero di persone che al momento mi bastano. Ovvio che se ne raggiungessi di più sarebbe meglio, ma è un nucleo di persone che probabilmente ha voglia di tenere la zucca ed i neuroni aperti e di ragionare su quello che ci sta succedendo intorno. I miei sono documenti che io butto fuori, magari sono visioni troppo difficili ma tant’è. Ovviamente non posso più pensare ad una vita di tour, hotel e così via realisticamente, ma è così, ci sono artisti più grossi di me che stan facendo una fatica immane a suonare in giro. Gli artisti stranieri che vengono a suonare in Italia, gruppi che seguiamo noi insomma e che per noi sono importantissimi fanno la fame!

SODAPOP: Certo, immagino che non ci sia nulla di scontato al momento in tutto ciò…

FABRIZIO: Poi li si va a vedere in poche decine di persone a meno che siano il nome del momento strombazzato. Si fa fatica!

SODAPOP: Rispetto al periodo nel quale riuscivi a collaborare con delle major ed ad avere un certo riscontro e supporto, a livello produttivo (essendo state le tue cose sempre abbastanza storte) hai dovuto mediare in quelle situazioni oppure ti hanno sempre dato fiducia, riconoscendoti questo tot di sperimentazione e potevate andare e fare?

FABRIZIO: Da quel punto di vista devo dire che, a forza di far produzioni di dischi una certa credibilità artistica o produttiva quella ce l’ho. Non so dirti quanto sia diffusa nel paese Italia ma un certo credito (quando faccio una produzione o quando vado in uno studio, o quando propongo) che sia con il mio gruppo o con chiunque suoni con me in sala di registrazione, c’è una certa attenzione. Non è più come quando ero ragazzino che mi rimettevano a posto dicendo di non far puttanate. C’è una certa attenzione perché sanno che escono cose…non saprei dirti se di qualità o con una profondità d’espressione, ma credo anche perché sia diventato più bravo a comunicarle, riallacciandomi al discorso di prima. Se prima prendevo una chitarra ed inventavo un accordo che non esisteva facendo casino adesso forse riesco a dire che accordo è, in che tonalità sia e dove voglia andare.

SODAPOP: Chiaro, ma in realtà intendevo proprio, ai tempi del consorzio e dell produzioni più grosse, avevate una fiducia con la quale (penso essenzialmente agli AFA) poter incidere la vostra visione o si cercava comunque una mediazione fra il mercato e la vostra poetica?

FABRIZIO: La fortuna di esser stati parte del consorzio e dei dischi del mulo è stata che, in primis per quanto mi riguarda e riguardava il gruppo di allora, l’entrata nella factory (più che un’etichetta era proprio una factory) di Massimo Zamboni e Giovanni Lindo Ferretti. La fortuna fu quella di entrare lì, vedendoci aperte molte strade. Prima noi sì, eravamo nel circuito delle distribuzioni indipendenti, dei locali e dei Centri Sociali mentre lì abbiamo iniziato ad incontrare delle situazioni ben più grandi, dei budget per la produzione, far dei video di un certo tipo, far dei tour seguiti in un certo modo. La fortuna, oltre a tutto questo (grazie al consorzio facemmo anche il disco con Caterina Caselli, furono proprio loro a portarci davanti a lei facendoci fare quel contratto) era di averli come medium e cuscinetto. Avevano la fortuna di essere un’entità indipendente dal punto di vista artistico ma che però poteva basarsi su dei budget messi a disposizione da una major. All’epoca si parlava della Polygram, quella che oggi è la Universal ed erano riusciti a creare un meccanismo per il quale avevano un budget annuale: all’epoca erano tanti soldi ed i gruppi stavano in studio di registrazione anche un mese o due mesi, i video costavano tanti soldi, se andavi in televisione avevi gli spazi per i video, c’era MTV, Video music, tanti spazi. Noi ad esempio, checché se ne dica sul lato personale devo molto a Red Ronnie ed a Roxy bar ed Help: mi ha sempre dato tanto spazio e tutte le volte che passavo nei suoi programmi mi aumentavano all’ennesima potenza i concerti perché era seguitissimo e quindi gli devo molto in questo senso.
Tornando al budget, questo era gestito in totale autonomia dal consorzio, le produzioni erano artisticamente loro. Noi abbiamo avuto come produttori artistici Massimo e Giovanni. Entrammo noi, gli Üstmamò ed i Disciplinatha e quello fu la prima cosa. Poi anche quando i Dischi del Mulo ci davano in mano ad un produttore o lo sceglievamo insieme la libertà artistica è sempre stata totale. Non ho mai visto le mie idee o le mie direzioni castrate, poi c’era un momento di totale attenzione e spazio su quella scena, anche se erano magari dei passi coraggiosi, cazzo, c’erano gli spazi. Anche le cose più coraggiose trovavano spazio. Io ho avuto qualche screzio, qualche diverbio con Massimo e Giovanni su qualche scelta artistica, abbiamo fatto produzioni con Franco Ferraboschi, Eraldo Bernocchi, però devo dire che non mi son mai visto costretto a subire o castrato, o ribaltate le mie idee e la fortuna è stata questa secondo me. Avevamo i budget e la libertà artistica con persone vicine a noi, nulla di calato dall’alto. Forse è capitato ad altri, a gruppi più grossi, ma noi non abbiamo mai dovuto ridiscutere queste cose. Tipo, Zamboni una volta mi ha rimandato indietro un album perché non lo convinceva, l’ho diciamo ricostruito ma il range sul quale ci si muoveva era quello di persone con una comune sensibilità artistica.
Soprattutto quello che si faceva, a livello di ritorno popolare, aveva un bacino bello grosso! Si parla di centinaia di date all’anno comunque, di migliaia di persone che ci seguivano e seguivano tutta la scena!


Groove Safari – Ufology @ Roxy Bar

SODAPOP: Sì, sì, ricordo bene. Io sono classe 1979 e fondamentalmente quei concerti erano i primi ai quali andavo, essendo ticinese scendevo a Milano a vedere i concerti ed una volta entrato nell’ottica del consorzio li seguivi tutti perché ne riconoscevi la linea e la qualità. Conoscevi cose comunque assurde perché tra voi, i CSI, i Disciplinatha c’erano abissi che aprivano una visione artistica non indifferente ed esisteva un pubblico per queste cose. Forse ricordo, legato al consorzio, quando vennero i Wolfango a suonare a Lugano ed eravamo soltanto in tre a vederli in piedi nella sala poiché realmente assurdi, ma c’era una continuità di qualità e personalità. Anche rispetto ad oggi, dove escono, obiettivamente e francamente troppi dischi superflui (anche valutando ciò che mi arriva nella casella mail.

FABRIZIO: Forse la difficoltà fu proprio questa ( e fra la possibile sovrapproduzione ci metto anche le mie cose, sia ben chiaro!), arrivò quando il consorzio entrò in crisi di crescita producendo troppe robe invece di concentrarsi sui gruppi con una storia od un background si aprirono produzioni, iperproduzioni, microproduzioni, tutti i Taccuini, tante belle robe ma divenne ingestibile seguire tutte le produzioni che uscivano ogni mese! Quello secondo me fu un eccesso…quello di oggi da un certo punto di vista può essere visto come democratico, è la famosa bedroom generation del farsi un disco in camera con un programma digitale. Questa era la cosa buona ma come dici tu ti devi orientare in una giungla..io stesso che sono un consumatore compulsivo (del tipo che se mi metto un giorno su bandcamp perdo la testa!) trovo di tutto. Non leggo nemmeno più le riviste musicali perché faccio fatica ma se vado su un blog e leggo due robe, poi i social…è diventato impossibile! Io poi sono un onnivoro, ho la mia curiosità e mi piace! Trovi cose bellissime, anche oggi, ma purtroppo è diventato difficile vista la mole e le strade che non conosco. Magari vengo a conoscenza di scene e stili musicali con un loro senso, che sanno su, ma che è impossibile seguire perché sono troppe! L’altra cosa che mi sconvolge è come si sia ampliata la geografia delle musiche, non è più Londra, New York, adesso c’è molta roba che arriva da altre zone del mondo, che approcciano all’elettronica ed all’avanguardia con un’ottica non occidentale che fa cose stupende! Penso ai Senyawa indonesiani, alla musica singeri africana, a quella ormai storica ed assodata del Mali, zone del mondo in cui senti cose sconvolgenti. questo mi destabilizza portandomi a trovare cose innovative con un’ottica diversa ed eccitante. ma come fai a stare a galla in mezzo a questo oceano di musica nel quale c’è anche decisamente del superfluo, secondo me soprattutto nel rock, sia antico che moderno. Molto citazionista che mi da molto fatica, gli ultimi che forse nell’ambito abbiano svoltato facendo altro sono stati i Radiohead, citando moltissime scene e fonti hanno spostato gli obiettivi del rock, piacciano o non piacciano. Tutti quelli che citano il kraut rock (che io amo!!!) od il rock sperimentale mi sembra lo facciano per dirci “Senti che roba figa che sto ascoltando!”. Lo ascolto e mi piace ma se sento i Can, i Neu! e gli Harmonia non hai inventato nulla! Il rock è definitivamente istituzionalizzato, è un po’ il liscio di quelli della mia età! Trovi più freschezza in altri ambiti, tutta quella scena della International Anthem, ci sono delle cose buone però, però fai fatica a districarti! prima, tu come me penso anche se sei più giovane, andavi a cercarti nel negozio le cose. Ora ti viene spinta addosso, gli algoritmi che pre-scelgono quello che dovrebbe essere il nostro gusto artistico e musicale, filtrando la nostra conoscenza in maniera affascinante e terribile nello stesso tempo! Quel che posso fare è parlare di ciò che sti vivendo, non per nostalgia o supponenza, ma per dare la mia visione al mondo, o forse per trasfigurare quella che e solo una realtà. Immagino che qualcuno abbia bisogno di attenzione e tempo per star dietro anche alle mie cose ed i tempi di attenzione oggi sono brevissimi. Mia figlia ha 18 anni e nonostante ascolti cose anche più interessanti, r’n’b e soul digitale mischiato con l’hip-hop, cose interessanti, ha avuto il suo bel periodo dove su Spotify schippava un pezzo dopo l’altro e, rispetto agli anni ’90, è proprio un altro mondo! I due singoli che facemmo per la Sony ai tempi, seguendo il concetto della produzione pop, dovevano avere il ritornello che iniziasse al massimo dopo un minuto circa, altrimenti radio e network non te lo passavano. Adesso siamo al livello di secondi, con pezzi che spesso iniziano addirittura con l’inciso o col ritornello ed i tempi di attenzione son brevissimi, pochi secondi o scippano, un cambiamento antropologico di fruizione, un cambiamento della specie umana con tempi diversi, prendi anche i messaggi vocali al doppio della velocità, cose per me allucinanti! è un cambiamento in atto sociale, antropologico ed umano, Bello e terribile e lo stiamo osservando con la rete, gli algoritmi e ciò che già succede e succederà con l’intelligenza artificiale. Si parla di qualcosa di grande che cambierà radicalmente, vedremo poi se sarà il bene, il male o tutti e due. Per noi, non per dipingere i miei tempi come quelli belli diventando falloso, l’ascolto aveva un approccio fisico. Due casse che coinvolgono tutto il corpo, l’ascolto al concerto, ascoltare massimo da una cuffia. Adesso penso a come ci si spacchi la schiena in studio per ottenere un certo suono quando poi in verità la maggior parte dell’ascolto viene fatta da un telefonino, da due cuffiette o da un computer, adeguandosi anche le produzioni al suono Spotify, tagliando le frequenze e cose del genere.

SODAPOP: Il dubbio che rimane sempre fortissimo per me è il fatto del come vivano la musica e di che tipo di pubblico possano essere. Poi però mi sono trovato l’anno scorso al festival di Marracash a Milano e vedevi in un pubblico giovane di 15-18 anni un trasporto, un vivere l’esperienza ed un’interesse che mi dice che allora un certo modo di vivere la musica non finirà mai.Probabilmente questo si traduce in maniera diversa, una volta si compravano i dischi ed oggi la maggior parte delle persone non ha uno stereo in casa, forse non capiremo il meccanismo ma qualcosa ci sarà, sono speranzoso!.

FABRIZIO: Sì, diciamo che alla fine a volte il pessimista è quello che è più ottimista di tutti perché ha coscienza dei cambiamenti, magari subito si trova spaesato ma poi riesce in qualche modo. Quel che dici è vero, ti faccio l’esempio anche di mia figlia che ê andata a vedere Travis Scott e si è messa a piangere quando ê arrivato come ospite Kanye West. Esiste questo aspetto rituale di adunanza, anche se ê un linguaggio diverso. Prima di parlavo dell’approccio fisico, spesso sono concerti di una o due persone, musicisti sul palco quasi eliminati, eppure sono eventi sociali totali. Anch’io sto cercando di capire perché anche per me è una cosa fondamentale. Anch’io andando a vedere i Kraftwerk, con tutto il concetto di uomo macchina, i robot e tutta la loro poetica che è inutile ripetere, credo ci fossero comunque le quattro persone a lavorare, dei Visual. Oggi spesso il rapper o rapper è una persona sola ed isolata a parte pochi casi come se fosse il Maestro della cerimonia, lo stregone del rito collettivo sfociando nel tribale ed in effetti sembra ci sia qualcosa che vada oltre come anche tu notavi e che forse proverò a capire. Quello che ho detto fino ad ora e vale fino a mezzogiorno, ma sono un ragazzo del ‘900 che sta cercando di adeguarsi a questi linguaggi cercando di interpretarli e capire, però sì, viviamo in un’evoluzione così accelerata che io, su questo pianeta, non ho mai vissuto. A volte mi ritrovo in un film di fantascienza!


Kraftwerk @ Rockpalast 1970

SODAPOP: Chiaro, l’evoluzione tecnologica nell’ultimo secolo e negli ultimi decenni è stata qualcosa di allucinante. lavorando con gli anziani e confrontandomi con loro, poi pensando a mia figlia, sono due cose realmente differenti e così anche la musica ed il modo di viverla.

FABRIZIO: Ma anche due esseri umani predisposti, due esseri umani con i sensi completamente diversi. Sono sempre esseri umani ma con gradi di evoluzione diversi.

SODAPOP: Invece a livello di ascolti, se dovessi pensare a della produzione giovane ed attuale che siano riusciti a sorprenderti da artisti emergenti se vuoi, C’è qualcosa che ti ha lasciato sorpreso o il troppo ascolto ti ha anestetizzato?

FABRIZIO: Guarda, vado fra le ultime cose che ho preso! Per dirti…gli Avalanche Kaito, produzione Glitterbeat, due belgi con un griot del Burkina Faso che prende il suono africano rielaborandolo con un’elettronica molto fisica. Oppure quest’altro, Ana Lua Caiano, forse ne avevi scritto tu?

SODAPOP: Uh! Spettacolare lei, mi ê piaciuta moltissimo!

FABRIZIO: Poi sto prendendo molti dischi della International Anthem, mi è piaciuto tantissimo questo della bassista Ruth Goller, molto interessante, poi questi Lumpeks, che fanno questa unione fra musica folk e free jazz. Poi i Natural Information Society, roba jazz, Dorothy Moskowitz, Modern Nature. Poi Slauson Malone, i Fire! Orchestra, Mary Halvorson, mi piace molto Eric Chenaux, del quale credo ne avessimo parlato…poi sono andato a vedere Selebeyone, mi è piaciuto molto Alabaster de Plume e molta roba folk come i Infantino ed i tarantolati di tricarico, quel che esce dal nuovo suono occitano tipo i Sourdure / Sourdurent


Slausone Malone – New Joy

SODAPOP: Ohi, i Sourdure bravissimi! ti consiglio anche le cose che fa Loup Uberto col suo gruppo, sempre zona francese molto interessante, i Begayer!

FABRIZIO: Loup Uberto lo conosco, ho seguito un po’, ha fatto delle collaborazioni anche con i Sourdurent credo! Se invece ci spostiamo sul territorio italiano , sono anche sincero, c’è un equivoco secondo me. gente anche brava e capace, c’è questo discorso del cosiddetto indie che in Italia vuol dire musica leggera (e non c’è niente di male) ma se però rosica lo spazio a quella che era la vera musica italiana e le etichette indipendenti sono andate sempre più ad adagiarsi su una produzione che dovrebbe andare in classifica ed a Sanremo. Sulla roba nuova ho sentito il disco di Daniela Pes, vedendola anche dal vivo, brava e non mi dispiace. Bravo iosonouncane ma adesso non mi vengono in mente tutti sti nomi, li ascolto ma faccio fatica a rimembrarmi cose eclatanti Piuttosto vado a riscoprirai i dischi oscuri del periodo dietro, con cose fra 1960, 1970 e 1980 fenomenali!

SODAPOP: Vero come non sia evidente trovare della musica in italiano coraggiosa ed attuale recentemente. A livello di musica leggera non ê così facile avere quella facilità di avere un bacino di ascolto così importante facendo altro. (NDR. Editando l’intervista tre uscite recenti in qualche modo storte che sull’istante non mi sono sovvenute: Valeria Caputo, Valeria Sturba, Arianna Pasini).

FABRIZIO: Mah, forse ai tempi la scena romana con Fabi, Gazzé con Sinigallia ci sono riusciti, con un suono che però è diventato una maniera. In Italia spesso è così, quando qualcosa funziona lo si trasforma in maniera. Anche con i nuovi cantautori italiani, i testi dedicati al quotidiano, molto intimista, universitario. Quello che ho notato è quello e qualcosa che esca da quella maniera è difficile. Dopo i cantautori è arrivato l’indie italico, poi la trap (ed alcuni episodi non mi sono dispiaciute) e siamo messi così.

SODAPOP: Anche Coca Puma è molto brava fra coloro che ho appena conosciuto, partendo da un suono jazz oppure anche gli Indianizer, che hanno azzeccato alcuni singoli con capacità`da catalizzatore anche radiofonici molto interessanti.

FABRIZIO: Io sono convinto, sentendo i nomi che mi stai citando e che non conosco, che ci sia roba molto interessante. Anche in quel filone dell’Italian Occult Psychedelia le cose che ho ascoltate le ho trovate interessanti, mi piacciono ed ascolto già a livello dei loro modelli, come le colonne sonore esoteriche e cose del genere. Ad esempio mi capita più di trovare anche nella musica italiana cose interessanti che mi arrivano in modo inaspettato, ad esempio, non conoscevo ed ho visto dal vivo Paolo Angeli che mi piace molto. Sono altri tipi di suoni rispetto ai miei che mi aprono mondi e confini. Io sono sempre disponibile a ricredermi, convinto che ci siano cose interessanti ed asportabili, è che non rimane lo spazio, un po’ io esterofilo del cazzo da ragazzino arrivo prima sulle cose estere ed il tempo per ascoltare tutto non c’è più.

SODAPOP: Certo. Io sul discorso dell’esterofilia mi sono accorto negli ultimi di quanta qualità ci fosse in Svizzera (conoscevo gli Young Gods e gli Yello come nomi tutelari e pochi altri) ma mi sono accorto di quanta roba buona esca che per un motivo e per l’altro è difficile da raggiungere. Ma c’è un sacco di roba da scoprire, ovunque, Bisogna avere tempo e passione, una volta lo facevo nei negozi di dischi, ora dal computer è una rottura di coglioni ma scremare si trovano le chicche.
Abbiamo divagato nell’ambito musicale senza parlare del tuo disco ma riallacciandoci alla tua carriera dicevi, prima, che uscirai ancora quest’anno con un nuovo progetto, corretto?

FABRIZIO: Sì, credo in autunno, anche se ancora non sappiamo con chi e come, ma il disco è pronto. È un progetto che si chiama Energumeni, che ho fatto in duo con Manitù Rossi dei Le Forbici di Manitù. Abbiamo iniziato a collaborare sul loro disco dirittura dei classici dell’Incredibile String Band , incredibile, in cui ho avuto un coinvolgimento consistente partecipando in diversi brani, quasi come un membro aggiunto. Da lì abbiamo ampliato le mie collaborazioni ad altre cose dei Le Forbici di Manitù dove, ricordiamolo, opera il mitico Vittore Baroni, sempre sia lodato!

SODAPOP: Sempre!

FABRIZIO: Riferimento musicale e culturale continuo.

SODAPOP: Una delle firme che mi mancano parecchio nel panorama di critica musicale odierno..

FABRIZIO: Rodendo manca molto anche a me, Vittore mi ha sempre trattato molto bene! Comunque abbiamo messo su questo progetto, il disco è praticamente pronto ed ê anche di jam che abbiamo fatto a casa sua, con elettronica e strumenti suonati che dovrebbe appunto uscire in autunno anche se dobbiamo vedere su che supporto ma si farà. Così, tanto per non star fermo perché ormai io ho un’età ed invece che andare a giocare a bocce come gli altri anzianifaccio dei dischi, un’attività atelieristica!

SODAPOP: Questo ê un progetto molto interessante e, da professionista del settore aspetto sempre l’arrivo nel mio centro diurno di una fascia di anziani come la vostra! Ma questo vostro insistere che tipo di passaggio potrebbe dare alla generazione più giovane della vostra? La vostra bolla di mercato è composta da pari età o c’è anche qualche infiltrato più giovane? Under 40?

FABRIZIO: ah, è una minoranza, sono per la maggior parte persone della mia età che già mi seguono dagli inizi, forse hanno una decina d’anni in meno di me. Ogni tanto si aggiunge qualcuno di più giovane, so che funziona molto il passaggio in famiglia, gli ascolti condivisi fra genitori e figli, trasmissione orale e familiare. Onestamente, facendo anche riferimento a quel che ascolta mia figlia, il nostro linguaggio è completamente diverso. Il loro è un suono che si è asciugato molto, la chitarra è messa in discussione, è molto sui samples ma a volte è proprio un po’ povera, basata soprattuto sui preset di batteria elettronica. Sarò probabilmente io a dover adeguare, chissà se ci riuscirà, il mio discorso musicale agli approcci che hanno oggi. è l’artista che deve provare ad avvicinarsi, anche se a volte ci sono queste riscoperte verso materiale vecchio attraverso le serie televisive come i the Cramps (ndr., riutilizzati per la serie TV Mercoledì, oppure anche the Caretaker con la condivisione tramite tiktok).SOno cose assolutamente random ed inaspettati, meccanismi azionati dai più giovani che spostano l’attenzione su qualcosa, ed è spesso inesplicabile ed imprevedibile. Vedi Kate Bush che ê ritornato in classifica credo per esser stat inserito in Stranger Things, meccanismi che devi valutare ma vanno oltre te, la pianificazione promozionale di un’etichetta e quel pezzo diventa il simbolo di un’epoca al di là di tutto.

SODAPOP: Toccherà vedere quale sarà il prossimo pezzo fortunato.
Vuoi lanciare un messaggio ai giovani?

FABRIZIO: ha ha ha, ustrega! No…se dovessi, a volte mi chiedono se consiglierei di far musica ai giovani direi no, non fate musica perché vi complicherete la vita, vi servirà una corazza ed un’armatura, vedo quello che sta succedendo coi giovani che vengon tirati dentro un sogno e poi spariscono. Poi so che ci sono scene che si muovono nei sobborghi del mondo senza che noi ne veniamo a conoscenza, come il suono del computer negli slum africani od il sud.est asiatico a mischiare il boom metal con la musica tradizionale. Ci sono cose interessanti, piccole tribù che magari un domani saranno più riconosciute. Direi loro di prepararsi, a meno che abbia le armi per avere successo e diventare una star di prepararsi perché se vuole diventare qualcosa di personale bisogna avere una certa armatura, soprattuto se non vuole che sia solo un episodio nella propria vita. In Italia la musica è considerata una cosa adolescenziale (allargandosi alla musica pop è così pressoché in tutto il mondo) mentre io credo debba accompagnarti per tutta la tua vita, un’altra cosa che sarebbe un sogno sarebbe quella di farla fino all’ultimo giorno della mia vita anche se non sono un’artista pop, quello sarebbe il mio sogno, anzi, se andassimo a vedere delle mostre degli artisti figurativi che sono riusciti a lasciare il massimo della loro espressività in un segno, perché non possiamo fare così anche nella musica? Pensiamo all’ultimo disco di Johnny Cash, di David Bowie, Leonard Cohen, Robert Wyatt? Dischi commoventi che ti trasmettono una storia umana e vitale, ti raccontano la storia di un’umanità e son quelli i dischi interessanti. Perché non possiamo, in Italia, considerare che un’artista possa arrivare (nonostante non sia un’artista di successo) anche ad 80 anni ad incidere, perché è un valore!

SODAPOP: Tu il disco Canzoni Perdute di Marisa Terzi l’hai ascoltato?

FABRIZIO: Dove c’è Eric Chenaux?

SODAPOP: Esatto…

FABRIZIO: Sì, l’ho ascoltato, sì, sì, molto bello!

SODAPOP: Una roba da brividi secondo me trovare qualcuno che abbia 40 anni meno di te e che ti dica “dai, facciamo un disco!” ed escano cose come quelle.

FABRIZIO: Certo, ed è quello lo snodo! Trovare qualcuno che abbia possibilità di pubblicarti, perché non credo che ad 80 anni sarò qui ancora a fare il crowdfunding…non avrò probabilmente i mezzi per farli, non che io sia indispensabile ma prendiamo l’artista da te citata, che in effetti ho trovato sconvolgente, mescolata a queste chitarre, ma c’è stato, se non erro, il coraggio di un produttore che gli ha permesso di fare questo disco, no?

SODAPOP: Sì, Jacopo Leone, visionario con un brucante a Parigi che ha deciso di fare questa cosa, mettendoli in studio e creando un capolavoro. Considerando che di cantanti dimenticati in Italia ce ne sono una marea. Tu citavi Cash che ha fatto gli ultimi 4 album della sua carriera e sono 4 capolavori assoluti, dopo anni in cui nessuno se lo filasse più.

FABRIZIO: Certo, lì c’è stato Rick Rubin che gli ha permesso questo, ma penso anche ad artisti “nazionalpopolari” seppur di grande qualità, abbiamo un nome come Ivano Fossati che ha smesso di far musica, che ha scritto fra le più belle canzoni italiane e che tra l’altro fa musica popolare di grandissima qualità ed un approccio anche colto. cazzo, io un disco di Ivano Fossati in vecchiaia me lo sentirei, avendo sempre avuto una scrittura notevole…

SODAPOP: Vero, però penso anche ad una Nada che comunque passati i settanta ha registrato l’ultimo disco a Bristol con John Parish, venendo anche lei riscoperta non moltissimi anni fa. Ci sono momenti storici dove la qualità la becchi, perché se c’era prima e riesci a valorizzarla è chiaro che poi ti salta fuori come cosa. Vedremo chi sarà il prossimo e come succederà, tu cerca di tenere botta e mantenere un profilo emerso per il quale non ti serva di essere riscoperto!

FABRIZIO: Ti ringrazio, mi fa piacere, è stata una piacevole chiacchierata e rinfranca insomma, sentire che comunque ci sono realtà che sono ancora in movimento con la testa. Anche nel giornalismo musicale, anche se forse non è il termine adatto, si viaggia molto su un canovaccio che è quello dell’artista in promozione con le solite due domande che non vanno un attimo ad investigare nulla. è anche colpa degli artisti che si sono adagiati su qualcosa di poco problematico ma Sanremo, che ho sempre odiato ma è la vetrina dell’Italia, ci sono stati dei Sanremo nei quali qualcuno ha portato delle problematicità, adesso son tutte delle pacchianate!

SODAPOP: Conocrdo, io lo guardo sempre ma è vero che negli ultimi anni quel guizzo è mancato. Io porto nel cuore Alessio Bonomo e la sua croce, un pezzo fuori completamente dalle asce dovrebbe essere uno standard ma un simbolo di espressività, vai a Sanremo che ê una vetrina e riesci a portare delle cose interessanti, oggi con tutto il bene i cantanti della nuova generazione li vedo fragili a livello di durata. Non so se qualcuno si ricorderà di loro fra tre o quattro anni, vedremo!

FABRIZIO: Speriamo, speriamo anche di riuscire a vederci dal vivo prima o poi, mi piacerebbe salire in Svizzera! Grazie di tutto ed a presto, ciao Sodapop!