Kleinkief – Fukushima (Shyrec/Dischi Soviet Studio, 2016)

Delicato art rock italiano dalle pretese e dalla presunzione fuori dal tempo. Sonorità pompose e gonfiate dalle ispirazioni anni novanta più che settanta come generosamente ama autodefinirsi la band medesima. Indubbiamente e fortunatamente per loro propongono un target musicale che al MI AMI avrà sempre un seguito e un sostegno. La voce di Thomas Zane forzatamente melò e filodrammatica risulta un nauseabondo melange tra Manuel Agnelli e certa new wave italiota anni ottanta. In fin dei conti, quello che disturba non è l’essenza quanto la ridondanza, in questo caso, di proporzioni pantagrueliche che vanifica qualsiasi intento ammaliante o anche di pura e semplice concentrazione sonora.

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Black Fluo – Billion Sands (Pulver Und Asche, 2014)

A scadenze temporali abbastanza regolari, sui 20 – 25 anni, ogni genere o sottogenere musicale viene ripreso, a volte attualizzato, con risultati più o meno stimolanti. Dal “non se ne può più di certo post rock strumentale”, ecco che in un altro giro di boa la Fenice risorge dalle ceneri e in mezzo a tanta paccottaglia, qualcosa di davvero buono viene fuori (penso ai nostrani The White Mega Giant, per avere un esempio recentissimo). D’altra parte, invece, si scorgono nuovi giovani allievi di Manuel Agnelli e Giovanni Lindo Ferretti che stanno rialzando la testa; ci distraggono con massicce dosi di filosofia sui massimi sistemi, per venderci in molti casi e sottobanco musiche acerbe, piatte e impersonali, ma soprattutto – e questa la cito – già vecchie sul nascere. E in questi casi la voglia di fare tabula rasa (non elettrificata) è tanta.

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Xabier Iriondo – Irrintzi (Brigadisco/Wallace/Phonometak/Santeria e altre, 2012)

Il primo album solista di una delle figure più presenti, in molteplici vesti, nel giro indipendente italiano è certamente un evento, che viene onorato con un insolito doppio vinile in cui ogni disco presenta un lato inciso e uno serigrafato: sul primo troviamo pezzi originali, sul secondo cover. Ad accompagnare il musicista sono, di volta in volta, i compagni di tante passate (e future) avventure. L’operazione è ad alto rischio autocelebrazione, e in effetti la cosa non viene del tutto elusa, ma l’album riserva comunque qualche sorpresa. Irrintzi è concepito come un autoritratto che mostri le molteplici facce di Xabier Iriondo, così come le sue fonti d’ispirazione, sacrificando la scorrevolezza dell’ascolto a favore di un percorso a zig-zag che contribuisce a integrarne la discografia e la biografia, andando a colmare alcuni vuoti.

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