Fabrizio Modonese Palumbo – ELP: Di Danza, Di Suono E Di Parole…

Ascoltando più volte ELP (Dissipatio, 2023) di Fabrizio Modonese Palumbo me lo sono immaginato come un generatore polveroso di suono. Nell’angolo, mentre i movimenti orchestrati da Paola Bianchi vorticavano nello spazio, a generare pulviscolo, generando turbine. A bassa intensità, generando uno spesso ambiente, non un tessusto, quasi una base cremosa sulla quale montare spostamenti, azioni ed espressioni. A tratti, come in Ekphrasis, sembra ricalcare in respiro di un uomo sintetico, quasi un polmone d’acciaio nel quale prendersi cura di altri, anche se, forse, quella di cui si occupa non è che un’opera d’arte. Potrebbe però essere entrambe le cose, non è forse l’opera un aproiezione medesima dell’artista? La sensazione è di una covata di energia, di una concentrazione di forze che potrebbe dispiegarsi da un momento all’altro. Che in effetti arriva, in NoPolis, ma è tutt’altro che deflagrante, anzi, è enorme e trattenuta, ricorda l’avanzare dei ghiacciai nelle ere passate o la loro dipartita oggigiorno, è dinamicità trattenuta ed intensa per una mole enorme in cui, all’interno, il fare umano, la danza, il movimento, fungono da cellule a prima vista impazzite, ma in realtà concentrate intorno ai loro poli. Macchinosità, suoni callosi ed inquieti, bassi ruggiti che crescono, coronando melodie più definite entro le quali forse trovare spazio, al netto di una paura che sembra atavica. ELP risulta essere un lavoro estremamente fisico, come se la polvere generata da fabrizio andasse a ricoprire i corpi diretti da Paola e li trasformasse in altre creature. La chiusura, Energheia, si apre tra vibrati, sirene ed impulsi, gettandoci subito in un clima di tensione: nebbiose arie melodiche e ronzii ci disorientano, un crescendo che sembra porti ad una conclusione ma è solo l’ennesimo disorientamento. Si comincia di nuovo, a pulsare, a battere, a soffrire forse, a volare. Quando la chitarra di Fabrizio Modonese Palumbo si fa sentire distinta sembra voglia riportare tutto a casa, caricandosi sulle spalle il peso di un’esperienza importante, fissando un concetto importante nelle mie ori. Pesantezza, leggerezza, non sono valori particolarmente interessanti: intensità, compattezza, rigore, sono quelli che riescono a mantenere un’espressione artistica coerente con una linea, con’idea, svelandola anche attraverso gli occhi chiusi. ELP è, anche, questo.

SODAPOP: Ciao Fabrizio, come stai? La tentazione spesso, quando ascolto musica composta per un teatro o per uno spettacolo di danza, è quella di chiedermi se abbia senso ascoltarla al di fuori del suo contesto originale. Parlando brevemente con Bruno Dorella a proposito del suo Paradiso però, mi ha illuminato con una risposta elementare e che da allora mi guida: “Ha assolutamente senso, se no non lo pubblicherei”. Come nasce ELP? Come il rapporto con Paola Bianchi? Qual’è il tuo rapporto con la danza?
FABRIZIO MODONESE PALUMBO: Con la danza nel senso del ballare (e far ballare), del muoversi e perdersi nel ritmo e nei flussi del suono, il rapporto è ottimo; clubbing, disco, rave fanno parte del mio background e della mia storia. Con la danza come linguaggio artistico specifico (coreografia, balletto) invece tendenzialmente pessimo, ho visto poche cose che mi abbiano colpito, spesso il tutto si riduce a tecnicismi e una serie di figure/pose sterili che con la vita poco o nulla hanno a che vedere. Proprio per questo l’incontro con Paola il cui lavoro (profondamente politico, in cui il corpo diventa testimone e archivio di memorie collettive, personali, storiche) va esattamente nel senso opposto è stato fulminante. Ci siamo annusati a distanza per molti anni, da fan del reciproco lavoro; in passato lei ha anche usato un brano di Larsen in un suo spettacolo, e quando c’è stata l’occasione il lavorare assieme è stato processo naturale. Le musiche hanno preso vita nello stesso momento delle coreografie; anche questo processo credo sia caratterizzante della nostra collaborazione, non essendo la musica fondo/ appoggio per il movimento, ma parte integrante e lo stesso per il movimento del corpo che rientra nella struttura e nelle textures del suono. Per molti versi Paola è coautrice e produttrice di ciò che ascoltate nell’album, ma il materiale originale composto per il progetto ELP è stato poi rivisto da me per avere una sua autonomia anche al di fuori della messa in scena. L’album è sostanzialmente un lavoro di archivio di quanto fatto assieme all’interno del progetto, ma anche un’indicazione di possibilità future a partire dagli show che faremo assieme per promuoverlo se/dove/quando possibile. Per motivi personali, che nulla hanno a che vedere col progetto o il mio rapporto artistico e personale con Paola, mi sono purtroppo trovato a dover interrompere la collaborazione, ma la ricerca di Paola, ELP, prosegue, ora con Stefano Murgia e anche se non ho ancora avuto occasione di assistere a un loro recente spettacolo non ho dubbi nel consigliarne la visione.

SODAPOP: Il disco inizia con un campionamento da British Sounds del Groupe Dziga Vertov, in questa occasione composto da Godard e Roger. “We must destroy that image” recita un’attrice. Che rapporto hai con la tua immagine?
FABRIZIO: Invecchiando vedo nel mio volto sempre più quello di mio padre e questo non mi piace, ma non voglio trasformare questa intervista in una seduta di psicoterapia e per citare invece il mio padre elettivo, David Bowie, anche vero è che invecchiando si diventa la persona che si sarebbe sempre dovuto essere, e sostanzialmente mi piaccio e mi riconosco e quello che vedete rappresenta, ora come mai prima, me stesso al 100%.

SODAPOP: Com’è iniziato il tuo amore per il suono? Quali sono state le molle che hanno dettato il battesimo dei tuoi progetti?
FABRIZIO: Sono cresciuto in un piccolo paese di montagna, sostanzialmente distaccato dalla sua realtà e le sue dinamiche sociali, insomma sono uno smalltown boy che, come da tradizione, appena ha potuto è fuggito per la “grande” città; come persona queer l’alienazione dal contesto è stata ancora più forte, in tutto questo la musica e il suono sono stati per me portali verso la mia stessa identità, direi senza alcuna retorica che mi hanno letteralmente salvato la vita. Ecco il suono è per me una manifestazione di vita, definisce immaginari, è politico, identitario e non smette mai di sorprendermi e affascinarmi per intensità, possibilità, bellezza.
Per quel che riguarda le molle che hanno fatto scattare i progetti è difficile rispondere, poichè ogni progetto ha le sue specifiche motivazioni, ma direi che tutti sono accumunati dall’essere necessari, non avrei potuto non farli.

SODAPOP: Titoli il quarto brano come other otherness, altre alterità. Percepisco nel tono del brano una certa circospezione e prudenza, quasi un ribollire a sé stante. Quali sono queste alterità? Quale pericolo fuori?
FABRIZIO: I titoli sono in realtà opera di Paola essendo quelli dei vari moduli e dei relativi spettacoli del progetto ELP ; l’alterità di Other Otherness è quindi quella oggetto dello specifico lavoro la cui coreografia creata da Paola viene messa in scena dalla danzatrice Barbara Carulli quindi altra rispetto al corpo di Paola. La coreografia poi si basa su memorie di contesti culturali altri rispetto al nostro. E’ quindi un’alterità voluta, ricercata ed esplorata. Non è una questione di circospezione rispetto a possibili pericoli, ma, invece, in quei pericoli, muoversi e incarnarli, sempre che pericoli siano.

SODAPOP: Energheia, attività, il percorrere con qualcosa fino ad un termine. A che punto ti senti del tuo tragitto artistico? Sono passati 26 anni da No Arms, No Legs: Identification Problems, il vostro debutto come Larsen, e, se non erro, sei nell’annata dei 55, quindi hai iniziato ad incidere abbastanza tardi se i conti mi tornano. Che tipo di visione hai dopo tanti anni di attività?
FABRIZIO: Ho cominciato a creare musica circa 25 anni e da circa 30 è occupazione a tempo pieno, detto diversamente il mio lavoro. Nel frattempo il mercato musicale è cambiato moltissimo, e oggi è forse più che mai difficile portare avanti la propria ricerca e riuscire a viverne, le economie e investimenti non sono sufficienti e spesso l’artista si trova a essere al fondo della catena alimentare/culturale anzichè venirne considerato l’elemento fondamentale. Ciò detto dopo aver fatto parte di oltre 130 uscite discografiche credo di non essere mai stato più soddisfatto di essere e fare ciò che sono e faccio, e meno male perchè altrimenti sarebbe un problema non da poco!

SODAPOP: Almagest, Coypu, Blind Cave Salamander, XXL oltre ai Larsen ed ai tuoi lavori in solo. Quali di questi progetti sono ancora attivi al momento? Quali le prossime uscite se già ne hai di programmate?
FABRIZIO: Alcuni progetti nascono con un arco di vita preciso, altri sono in continuo movimento e si manifestano in pubblico quando possibile e necessario. Ognuno ha suoi tempi e modi. A parte forse XXL vittima della difficoltà di gestire due band in una, tutti gli altri sono attivi, anche se temporaneamente dormienti. Un nuovo album di Larsen (che se non sbaglio sarà il nostro ventesimo) è in lavorazione e nei prossimi mesi uscirà una collaborazione tra me e il mio collega nei Larsen Paolo Dellapiana assieme a una sezione fiati composta da Laura Agnusdei, Ramon Moro e Roberto Paci Dalò. Ernesto (Tomasini) e io stiamo parlando di come dar seguito a Almagest! dopo una pausa forzata.

SODAPOP: Sto seguendo da lontano il lavoro con tua madre, a che punto siete? Le ultime notizie in mano mia sono di ottobre, quando sarà possibile ascoltare qualcosa?
FABRIZIO: Miriam ovvero Mariella Modonese ovvero mia madre suona il taiko in un ensamble diretta e curata dalla mia amica Chiara Lee (ex Father Murphy) quindi ovviamente lo strumento ed elementi ritmici rientrano nel lavoro. Il progetto iniziale era quello di due ep: il primo consistente di 4 cover e un’originale ed il secondo di 4 originali e una cover, ma il secondo non è mai stato registrato – e ora Madre sta valutando se e come far uscire il primo – invece ci siamo messi al lavoro su un album ispirato agli animali, che sono un po’ una nostra mania. Una sorta di bestiario sonoro. Ogni brano ispirato a un animale diverso e ogni brano verrà anche accompagnato da un’illustrazione fatta da Madre. Essendo progetto per ora del tutto DIY sta andando un po’ a rilento poichè ci troviamo costretti a usare lo studio nei ritagli di tempo in cui è disponibile, ma direi che siamo all’incirca a metà del lavoro. E’ un po’ un affare di famiglia visto che registriamo con Paul Beauchamp (mio marito), ma è a tutti gli effetti l’album di Miriam e segue la sua visione; Madre oltre al taiko ci mette varie percussioni, theremin, tastiere, chitarra e voce, io ci suono strumenti vari, mi occupo degli arrangiamenti e ci lavoro come produttore, cosa che molto mi piace fare. L’ idea sarebbe poi di portarlo dal vivo, un po’ come le vecchie famiglie del country, ma per ora ci stiamo focalizzando sul terminare l’album. Per me, che spesso cado in paranoia rispetto alle difficoltà del portare avanti il mio lavoro con l’avanzare degli anni, vedere mia madre che ci si butta dentro completamente a 71 anni e condividerne con lei il processo creativo è non solo un assoluto piacere e onore, ma anche forte ispirazione.

Su queste parole, che ci fanno sperare e presupporre nuove esperienze e scorribande sonora da parte di Fabrizio e famiglia salutiamo, restando con qualche certezza in più nella vita. Quando anime affini si trovano raramente le energie sono meno che brillanti. Dissipatio non ne sbaglia una.