6 dischi negli ultimi 6 anni per Damien Jurado. Ma è giusto così, se hai l’ispirazione e la potenzialità che devi fare? Aspettare un lustro per ogni disco? Da qualche anno ha aperto la sua Maraqopa Records, riesce tranquillamente a mantenere uno standard medio alto nelle sue uscite, una varietà non indifferente. Hai il mio ok Damien per quel che può valere. Ritmi storti, orchestrazioni barocche e tirate con il bavero alzato, passaggi che sembrano studiati per le albe più epiche che possano venirvi in mente come la splendida e sfaccettata Neiman Marcus.
A tratti Damien sembra un incrocio fra Brian Wilson e Daniel Rossen, con dalla sua una sensazione di serenità accogliente e benefica. Poi però leggi il titolo dell’abum un paio di volte e ti perdi dentro ad un cripticismo che sa tanto di autoanalisi, dentro all’arrovellarsi di pensieri che, se canalizzati, possono regalarci espressività, melodie e minuti di lenitivo benessere.
La scimmia del reggae del suo ultimo disco non è ancora passato, che la chitarrina di In a Way Probably Never parla quella lingua insieme a quella degli sceneggiati anni ’50 ed è un incrocio quasi commovente. In generale si vive un sentimento di anni passati, di ricordi legati ad un periodo che si vuole in qualche modo esorcizzare ma che non è più quello attuale. L’intero disco pare un gioco, una rappresentazione, un racconto. Un racconto che ti tiene fisso, con le orecchie attente, riconoscendo sfumature ed inflessioni un ascolto dopo un altro. Damien Jurado ormai è diventato un autore che sceglie su che campo giocare e, quando decide di farlo, è talmente sicuro dei suoi mezzi che riesce a conquistarci in un pugno di canzoni, come quelle di Sometimes You Hurt The One You Hate.