Dish-Is-Nein: voi di qua, noi di là. Sarà quel che sarà

Più che gli eredi dei Disciplinatha i Dish-Is-Nein ne sono la reincarnazione, una reincarnazione di aspetto diverso, adeguata ai tempi, ma memore della vita precedente. Il gruppo d’origine non credo abbia bisogno di presentazioni: nel caso, vi rimando al prezioso tomo di Giovanni Rossi Tu Meriti Il Posto Che Occupi (Tsunami, 2020) e al bellissimo Questa Non È Un’Esercitazione di Alessandro Cavazza, uno dei migliori documentari musicali mai girati perché parla pochissimo di musica, dando invece spazio al contesto sociale e culturale entro cui il gruppo si muoveva. I Dish-Is-Nein compaiono nel 2017 con una formazione quasi identica a quella dei primi Disicplinatha (Cristiano Santini alla voce, Dario Parisini alla chitarra, Marco Maiani al basso, Valeria Cevolani ospite in un pezzo) e un EP di 6 brani che rinnova l’antico spirito critico e oppositivo, ma dopo pochi live (con l’ingresso in organico di Roberta Vicinelli, anche lei ex del gruppo d’origine) la pandemia e il riaffacciarsi dei problemi di salute del chitarrista rallentano le operazioni, che si interrompono (definitivamente?) con la morte di Dario Parisini, il 9 giugno del 2022. Qualcosa, tuttavia, rimaneva da dire. Escono così The Man Machine, versione dish-is-neinizzata del classico dei Kraftwerk ed ultimo brano che vede all’opera la chitarra di Parisini, e a breve l’EP The Metal Machine del quale vi abbiamo detto in sede di recensione.
Il poter parlare con Cristiano Santini dell’ultimo lavoro ci dà la possibilità di tornare sulle canzoni dell’EP omonimo, non con intenzione retrospettiva, ma perché, secondo tradizione, i Dish-Is-Nein sono stati così in anticipo sui tempi che solo oggi possiamo dare una lettura completa dei temi trattati.

SODAPOP: Il dittico The Metal Machine/The Man Machine, porta il discorso del rapporto umano-tecnologico alle estreme conseguenze, addirittura a un punto di non ritorno dove l’inorganico fagocita progressivamente l’umano, tanto che, nella seconda versione, voi musicisti sembrate relegati sullo sfondo. Fin dai tempi dei Disciplinatha non avete avuto paura di integrare la tecnologia nel vostro suono e Dish-Is-Nein lo ha fatto con ancor più forza, qui però il risultato è molto diverso: cosa è cambiato nell’approccio? E avrebbe potuto prefigurare il percorso da intraprendere, se Dario non fosse venuto a mancare?
CRISTIANO SANTINI: In realtà sono entrambe le cose, mi spiego; da un lato l’utilizzo di tecnologia, sonorità elettroniche da integrare in un sound più “acustico” è sempre stata una mia prerogativa, fin dai tempi dei Disciplinatha. Ero io che mi occupavo di tutta la componente “sintetica” nei brani. Questo tipo di approccio si è ulteriormente accentuato nel primo lavoro dei Dish-Is-Nein dove l’elettronica era elemento primario già nella scrittura e definizione delle composizioni. Venendo a The Metal Machine, sentivo forte l’esigenza di rappresentare in musica quella che a tutti gli effetti, dopo la scomparsa di Dario, sapevo nel mio intimo essere la fine di un percorso durato 35 anni; dai primi Disciplinatha fino agli ultimi D-I-N. Per fare ciò ho pensato che il modo “migliore” fosse prendere i cardini di questa esperienza terminata in modo così traumatico: le chitarre di Dario, la mia voce, il basso di Roberta, e smontarli, ridurli ai minimi termini, schiacciati dal “freddo” incedere dell’acciaio che andava a sostituirsi al sangue; metafora di una fredda cupezza che prendeva il posto di una lucida visceralità. È presente inoltre, in questo lavoro, una forte componente transumanista che da un lato vuole ricollegarsi ad alcune delle tematiche trattate nei testi dell’EP d’esordio dei D-I-N, (Toxin e La Chiave Della Libertà in particolare) per creare una “continuità di intenti” tra i due lavori, dall’altro essere rappresentazione allegorica di una civiltà, quella Occidentale, trasfigurata, annichilita, consumata da un trentennio di liberismo selvaggio, sia economico che socioculturale, per certi versi, paradossalmente, appoggiato con maggior vigore negli ultimi anni più da sinistra che da destra, ed i cui effetti nefasti sono sotto gli occhi di tutti, o quantomeno di chi abbia avuto la forza di liberarsi dal giogo di questo pensiero unico, totalitario e soffocante, strumento primario per imporre il nuovo che avanza. “Sarà una forza gravitazionale a forzare i volti, costringere le schiene giù verso il basso… giù”.

SODAPOP: Riguardo a The Man Machine, ho trovato molto bello il video che presenta alcune architetture del Ventennio rese nella loro pura forma, di opere senza tempo: vi ritrovo lo spirito dei Disciplinatha – che qualcuno riteneva provocatorio, ma che credo sia più corretto definire problematico, inteso come capace di porre interrogativi – ma associato al suono dei Dish-Is-Nein, dal respiro più internazionale, diventa tutto più dirompente. Puoi parlarci di come è stato concepito?
CRISTIANO SANTINI: Credo che la persona più qualificata per rispondere a questa domanda sia Guido Ballatori, l’artista che ha curato diversi video per Dish-Is-Nein: da quello di Eva a vari contenuti che utilizzavamo dal vivo.
GUIDO BALLATORI: Dario mi ha sempre chiesto di utilizzare un’estetica del Ventennio per i video precedenti. Nel timore che dire qualcosa direttamente potesse togliere forza ad un concetto, ho sempre sviato. Inoltre non volevo essere frainteso, sapevo che le scelte estetiche passate avevano creato problemi alla band. Ma per The Man Machine ho sentito forte la richiesta che Dario mi ha sempre fatto, quindi ho proceduto seguendo suggestioni affatto lineari, mediante libere associazioni. Una delle più divertenti vorrei condividerla. Nelle grafiche di Abbiamo Pazientato 40 Anni Ora Basta, sulle divise dei giovani Balilla compare l’aquila, simbolo di Giorgio Armani, è ironica la realtà che ci mostra come oggi il Palazzo della Civiltà Italiana (utilizzato come modello nel video), è occupato da Fendi. Il video è soprattutto una riflessione sul come i regimi ordinano i corpi attraverso gli spazi e mediante le architetture cerchino di sublimare l’idea dell’uomo che vuole creare. Se questo è vero concettualmente, visivamente è reso molto bene da una regista come Leni Riefenstahl ad esempio. Ma se lei utilizzava gli spazi come fondali sui quali disporre moltitudini umane, io li ho completamente svuotati per metterli al centro della scena. È il fruitore che osservando si “muove” all’interno di un set virtuale, dove non trova suoi simili. Ho cercato infatti più che raccontare l’uomo dei D-I-N e dei Kraftwerk, di trovare un’ambientazione che potesse contenerlo.

SODAPOP: Eva, dicevo nella recensione, è resa più cupa dal remix e forse ancora più ficcante: quando venne pubblicata, nell’EP omonimo, le cose non erano ancora arrivate a questo punto, ma riascoltarne ora le parole fa tremare i polsi, oggi che quel “mio paese” trasformato in cimitero non è più, come poteva sembrare nel 2017, una metafora, ma una realtà di quella che, per quanto ci si sforzi di negarlo, è una guerra fra europei. Perdona quello che sto per dire… Come profeti di sventure avete una certa credibilità almeno dai tempi di Crisi Di Valori/Nazioni e con Dish-Is-Nein, lo possiamo dire a distanza di qualche anno dall’esordio, non vi smentite. Se devo provare a leggere nel futuro partendo dai vostri testi, mi viene da pensare che stavolta le cose andranno anche peggio: vedi davvero una notte lunga un millennio, come canti in L’Ultima Notte?
CRISTIANO SANTINI: Disciplinatha prima e Dish-Is-Nein poi, hanno sempre dimostrato una lucida lungimiranza nell’anticipare temi di varia natura: politica, sociale, geopolitica. Quindi sì, quando oggi riascolto Eva, mi vengono i brividi. Pensa che all’epoca della stesura dei testi del primo EP, con Dario ci si domandava se fossimo riusciti, a distanza di molti anni dall’ultimo lavoro dei Disci, a mantenere la nomea di “Cassandre”… beh, direi missione compiuta appieno. Poi, in realtà, non si tratta di avere la classica sfera di cristallo, ma più “semplicemente” di voler cercare i segnali premonitori (spesso volontariamente omessi dai media mainstream di regime) che anticipano situazioni in divenire. Che l’Ucraina sarebbe diventata il nuovo terreno di scontro tra l’Occidente “esportatore di democrazia” e l’impero del male (Russia) era abbastanza chiaro fin dal 2014, come chiaro da tempo era il ruolo di subalternità della UE nei confronti degli Stati Uniti d’America; una cambiale che stiamo continuando a pagare dal dopoguerra. In ultimo, ma non per importanza, i segnali del totale fallimento del concetto di “canone europeo” per come l’avevano immaginato i “padri costituenti” dell’Unione Europea (o di come ce l’avevano voluto raccontare), chiari da almeno due lustri. Se a questo aggiungiamo la completa disgregazione del concetto stesso di “civiltà” occidentale, quanto meno per come eravamo abituati a conoscerla (o a subirla), ecco che probabilmente la durata di questa “notte lunga mille anni” possa considerarsi quasi ottimistica. Siamo a pezzi, da tempo, e sembra che non vogliamo accorgercene, inebetiti come siamo dalle nuove “libertà” concesse che poco hanno a che fare con quelle “pesanti”, le libertà che davvero dovrebbero dare il metro del livello di civiltà di una comunità.

SODAPOP: L’altro tema che si ritrova in Eva è la presenza di Dio, un Dio in opposizione alla deriva del mondo attuale (“Voi di qua, Dio di là, la vostra civiltà”). Sicuramente è un argomento scomodo e che ricorre spesso nel disco d’esordio: la corona di spine sulla cover e, con estrema forza, l’immagine della mano che stringe insieme il rosario e il Kalashnikov che troviamo all’interno; c’è la citazione biblica che, nelle note di copertina, si accompagna a Finale e addirittura la voce di un papa (Ratzinger in Macht Frei) che torna ad anni di distanza da quella di Wojtyla in Crisi Di Valori. Chi è questo Dio? Uno strano alleato contro nemici comuni, qualcuno a cui crede, pur senza fidarsi, come dicevano i Laibach? Oppure i Dish-Is-Nein, crocianamente, non possono non dirsi cristiani? O ancora qualcosa di diverso?
CRISTIANO SANTINI: Il simbolismo è sempre stato un elemento fondamentale del modello comunicativo dei Disciplinatha prima e dei Dish-Is-Nein poi. Di fatto il tema non è se essere o meno cattolici, ma il volersi soffermare su quello che, da un certo punto di vista, rappresenta la Chiesa cattolica, con le proprie regole e dogmi, per noi occidentali: una diga, una barricata, l’ultimo avamposto dinnanzi alla deriva liberticida a 360° che sta cancellando i pilastri su cui si basava la nostra società. Attenzione, qui non si tratta di voler sembrare retrogradi, tradizionalisti o reazionari, ma capire che il modello del “tutto è possibile in funzione di una società evoluta” ci sta maciullando. L’inclusività sempre e comunque in realtà è puro slogan propagandistico, perché alla fine si dimostra “esclusività” nuda e cruda. O accetti il “modello” imperante, o abbracci il pensiero unico, o ti trovi censurato, deriso, brutalizzato. Il sudario e la corona di spine di Gesù Cristo presenti nel primo EP dei D-I-N, ed in misura minore (per una scelta ben precisa) in The Metal Machine, vogliono rappresentare la via crucis del mondo come lo conosciamo verso la propria dissoluzione.

SODAPOP: Il corpo lo incontriamo spesso, nei vostri pezzi: in immagini, nei video di Toxin, e Eva e in parole, dove è raccontato come oggetto di alterazioni e mutazioni, attraversato da sangue anemico. Sembra scontato parlare oggi del corpo come soggetto politico, eppure voi andate dalla parte opposta rispetto alle scontate provocazioni alla Achille Lauro e simili, come se lo vedeste portatore di un quid di verità oggettiva che non deve andare disperso. Il corpo è un nuovo campo di battaglia o l’ultima barricata?
CRISTIANO SANTINI: Dipende da quale punto di vista vogliamo ragionare su questo tema: tralasciando le buffonate partorite da radical chic del cazzo che, sfruttando il drammatico vuoto mnemonico culturale delle generazioni più giovani ma non solo, raccolgono fama e denari rapinando a piene mani da icone del passato (Bowie in primis), vorrei soffermarmi sul concetto di corpo umano come rappresentazione dell’ultima frontiera su cui si confrontano (e si scontrano) due correnti di pensiero opposte. Da una parte chi considera il corpo come un oggetto che si possa plasmare, utilizzare ed asservire a qualsiasi necessità. Basti pensare agli abomini di certa chirurgia estetica, la maternità surrogata, il corpo come oggetto; il transumanesimo dei giorni nostri. Dall’altra chi ritiene che un codice etico che impedisca esasperazioni figlie di quest’epoca in cui tutto debba essere permesso e concesso sia necessario ed imprescindibile.

SODAPOP: Devo ammettere di aver colto dopo parecchio tempo la complessità che Dis-Is-Nein porta con sé: triste a dirsi, ma ci si adegua ai tempi che ti impongono si passare oltre chi pone quesiti complessi. La pandemia e le successive limitazioni non hanno certo aiutato la promozione, specie riguardo i live, ma pensi che l’intenzione del progetto sia stata colta dal pubblico che siete riusciti a raggiungere?
CRISTIANO SANTINI: Mi piace pensare che qualcosa siamo riusciti a lasciare, ma in tutta onestà non lo so: davvero pochi tre concerti per riuscire a tracciare un percorso. Già il tempo intercorso tra l’uscita del primo EP e l’inizio di una attività live era stato troppo lungo; la pandemia prima, tutta una serie di problemi poi, in ultimo la malattia di Dario, hanno di fatto azzerato tutto quello che avevamo messo in campo con il primo EP. Nonostante ciò però spero che un lavoro così importante per noi sia riuscito a crearsi un piccolo spazio nel cuore e nella mente di chi ha avuto modo di fruirne.

SODAPOP: Nel ringraziarti per le risposte, non posso evitare, sul finale, di chiederti del futuro. Premesso che, vista la pervicace volontà di criticare e negare che traspare dai solchi, non riesco a vedervi inattivi, immagino che dire ora cosa sarà di Dish-Is-Nein sia prematuro; ti faccio quindi un’altra domanda, forse ancora più complicata: come si porta avanti l’eredità di Dario Parisini? Perché non può rimanere soltanto uno statico ricordo.
CRISTIANO SANTINI: In tutta sincerità non so se voglio essere colui che si fa carico dell’eredità artistica di Dario… anche se da un certo punto di vista è abbastanza inevitabile che ciò accada; dopo tanti anni, progetti importanti fatti e condivisi. Nonostante ciò, se con Roberta si decidesse di proseguire l’esperienza Dish-Is-Nein, vorrei sentirmi libero di seguire in modo naturale e sereno le nostre idee, musicali, progettuali ed estetiche; sono sicuro lo vorrebbe anche lui. NO, probabilmente no, non lo vorrebbe. AHAHAH.