Nuova uscita, ancor nel 2011, per gli italianissimi Dead Elephant che con questo Thanatology confermano appieno di aver raggiunto la maturità espressiva e una scioltezza compositiva all’interno di trame intricate ed ammalianti. Quattro chiacchiere con Enrico per vederci più chiaro sul buio oltre la siepe.
SODAPOP: Potresti spiegarmi il processo evolutivo di Thanatology rispetto al disco precedente? Cosa volevate creare nelle intenzioni come trasformazione o meglio come evoluzione rispetto a prima?
ENRICO: Ho iniziato a lavorare all’idea di Thanatology subito dopo l’uscita del disco precedente. Il metodo di lavoro che ho utilizzato insieme agli altri elefanti non è cambiato rispetto a Lowest Shared Descent. Tutto si è svolto nel più classico dei modi. Una grande voglia di creare qualcosa di importante per noi, tante prove, e tante idee che pian piano si modellano fino a prendere una forma più precisa… un lavoro che ha richiesto molte energie per essere terminato ma che crediamo sia valsa la pena realizzare.
SODAPOP: Thanatology ancora. Se mi concedi l’espressione mi pare un concept. Potresti spiegarmi anzitutto l’incipit di Pier Paolo Pasolini nelle note interne?
ENRICO: Il disco in sostanza ha come tema il cambiamento è quello che devi accettare di perdere per cambiare. Questo tema mi sembra molto attuale, soprattutto se cerchiamo di collegarlo a ciò che sta accadendo attorno a noi. Quello che stiamo vivendo è uno dei momenti più bui della storia del nostro paese. Volevamo semplicemente dire che occorre celebrarlo questo funerale se vogliamo andare oltre. Dobbiamo per forza di cose trovare un modo nuovo e più adeguato di interpretare la realtà perché non ci troviamo semplicemente in una fase di transizione. Questo è il momento in cui ci rendiamo conto che non siamo più in uno stato democratico. Il momento in cui per la prima volta ci è chiaro che cosa abbiamo perso. In altre parole questo è un momento di rielaborazione, fondamentale per poter ipotizzare un futuro. Alla Mia Nazione si inserisce perfettamente in questo quadro, dimostrando come con grande lucidità Pasolini avesse radiografato l’identità di questo paese già nel 1959. Il fatto che questa poesia calzi ancora a pennello con quello che è il paese oggi testimonia il fatto che anche se tutto ci sembra diverso in realtà il sistema su cui si basa questa nazione non è stato minimamente intaccato…
SODAPOP: L’ultima (e credo unica) volta che ho avuto occasione di vedervi dal vivo eravate in due (chitarra e batteria). Ora come riuscirete a presentare sul palco la fitta atmosfera sonora del disco? Inserirete tutti i sampling di Thanatology?
ENRICO: Abbiamo introdotto l’utilizzo di un campionatore dal vivo per permetterci di mantenere alcune soluzioni presenti nei brani. La maggior parte del disco è stato concepito per essere eseguito dal vivo esattamente com’è stato registrato, ad esclusione di A Teardrop On Your Grave che è stata riarrangiata per essere suonata in trio basso-chitarra-batteria senza il piano elettrico.
SODAPOP: Affrontiamo le canzoni una per volta. Che significa Bardo Thodol? Che senso ha l’introduzione sul Libro dei Morti Tibetano? Quali sono gli strumenti che si sentono in sottofondo nella seconda parte del pezzo?
ENRICO: Bardo Thodol parla della morte non semplicemente come cessazione delle funzioni biologiche ma come momento di cambiamento e di evoluzione di un individuo. Ci è sembrato importante metterlo in apertura dell’album perché questo presupposto condiziona fortemente tutta la visione che chi ascolta il disco dovrebbe essere in grado di costruirsi grazie alla musica. Nella parte centrale del brano abbiamo inserito dei campioni di brani tradizionali tibetana eseguiti con vari strumenti a fiato, tra cui la kangling e il dung chen.
SODAPOP: Mi potresti quindi spiegare l’evoluzione del pensiero attraverso i brani successivi? Perché hai introdotto On The Stem proprio con una marcia funebre?
ENRICO: Le marce funebri sono state incorporate nelle nostre canzoni perché ci sembrava interessante e potente il cortocircuito che si creava fra del materiale che appartiene in modo così viscerale alla tradizione italiana e quello che stavamo cercando di fare e dire con questo disco.
Non credo che sia necessario spiegare il senso che ha per noi l’album, perchè il pubblico è assolutamente in grado di immaginare autonomamente ciò che la musica è in grado di suggerirgli. Questo è un tipo di investimento verso un disco che forse sempre meno ascoltatori sono abituati a fare. Soprattutto ora che si ha la possibilità di avere libero e gratuito accesso a intere discografie con un click, con la conseguente svalutazione del “lavoro” che sta dietro ad un disco e dei musicisti. La verità è che occorre ricordarsi che un album per stabilirsi dentro l’ascoltatore e rivelarsi ha bisogno di diversi ascolti. Il numero di volte in cui questo processo si completa varia a seconda delle persone, del disco ma anche dalla partecipazione con cui l’ascoltatore esegue questo iter.
Molte persone ci hanno detto che Thanatology, in modo assolutamente involontario da parte nostra, reclama un investimento importante per essere compreso. In tutta onestà personalmente credo che questa osservazione possa essere vera.
SODAPOP: Che cos’è la morte dell’uomo per te? Intendo la fine della carne.
ENRICO: La tappa più spiacevole per noi nella catena alimentare.
SODAPOP: Quali sono i gruppi che ti hanno maggiormente influenzato nella stesura di questo disco? Oppure quelli che stai ascoltando in questo periodo.
ENRICO: La cosa che ha realmente influenzato Thanatology è stata l’umiliazione, la colpa e il rimpianto.
Attualmente sto ascoltando il disco omonimo dei Carol Of Harvest, un po’ di materiale di Mingus che spacca letteralmente la terra in 80 milioni di pezzi (The Black Saint And The Sinner Lady e Nostalgia In Times Square) e Asceticists di Whitehouse.
SODAPOP: Perché avete deciso di svoltare cosí radicalmente nella scelta grafica rispetto al disco precedente?
ENRICO: E’ un disco diverso che necessitava di un “vestito” differente da Lowest Shared Descent. Abbiamo chiesto a Marco Corona di collaborare anche per questo album ma non siamo riusciti a coniugare le nostre esigenze rispetto a ciò che volevamo ottenere con la copertina e come lui intendeva rappresentarla. Successivamente ci siamo rivolti a Daniel Zezelj e siamo rimasti abbagliati dalla potenza che aveva l’immagine che ci ha proposto.
SODAPOP: Come mai avete accluso il CD nell’edizione limitata del vinile? Mi pare furono gli Shellac tra i primi ad introdurre questa “opzione”.
ENRICO: Questa è stata una possibilità che ci è stata proposta da Riot Season. Ci sembrava una buona idea anche perchè è stato un modo per fare un regalo a chi acquistava le prime copie dell’album nel mailorder di Riot Season.
SODAPOP: Ma i Dead Elephant hanno fiducia nel futuro dell’umanità? Riusciremo ad auto-consumarci fino in fondo o abbiamo qualche speranza di salvezza?
ENRICO: Il fatto che nella nostra musica ci siano atmosfere oscure a parer mio non giustifica a considerare Dead Elephant un’espressione di una forza negativa o pessimista. Anche se per questo disco abbiamo tentato di parlare della morte questo per noi ha voluto dire confrontarci e tentare di interpretare qualcosa che riguarda la vita. Questo presupposto, a ben vedere, è assolutamente positivo. Personalmente credo che sia una delle cose più costruttive che ho tentato di fare.
La speranza, come diceva Monicelli, è una forma di controllo sociale, che serve a far stare buone le coscienze. Ci servono gambe e braccia per poterci riscattare, il futuro si costruisce affrontando i problemi e tentando di risolverli facendo delle scelte, a volte anche scomode nelle nostre vite. Non di certo sperando, ad esempio, in un governo che interpreta esclusivamente le esigenze della lobby di potere che si è instaurata al comando dell’Europa. La salvezza ha un costo (anche sociale)… ma questo lo capiremo tutti molto presto.
SODAPOP: Dio ci guarda? E se lo fa, nel frattempo, cosa ascolta in sottofondo?
ENRICO: Cosa fa dio non mi riguarda e se ascolta musica credo che dovrebbe provare ad ascoltare i Deathspell Omega.
SODAPOP: Ma una band italiana è in grado di suonare del buon heavy metal?
ENRICO: Non lo so, noi facciamo solo rumore. Però puoi dare un ascolto ai Lento che secondo me sono validi.