Colony Open Air Day 1 – Pala Brescia 22-23/07/2017 (Brescia)

Nello strano panorama musicale italiano il primo Colony Open Air festival si presentava come un evento unico e di importanza internazionale. Una due giorni degna del ben solido Maryland Deathfest oppure del ciclopico Brutal Assault della repubblica Ceca. Con un cartellone di altissimo livello in grado di soddisfare svariate generazioni di metalheads aveva insomma tutte le potenzialità per entrare nella storia dei grandi eventi culturali del nostro “bel paese”. Il condizionale è d’obbligo perché molte cose sono andate storte nella pianificazione dell’evento e, ad onor del vero, la maggior parte sono state completamente estranee agli organizzatori della due giorni. A questo punto la nostra recensione è ad un bivio: o Colony OA day1 Loudnessparte in una speculazione sulla malasorte dell’Open Air (che in questo caso non si chiama sfiga, ma umana stronzaggine) oppure si attiene alla notifica e critica dell’evento musicale. Noi scegliamo la seconda strada. Il day one (sabato) è stato pensato come prerogativa delle vecchie glorie, in virtù proprio di quei precursori che negli anni ottanta si sono scollati dalla NWOBHM per pigiare sull’acceleratore dell’hardcore e generare quindi quelle correnti rapide e pericolose che ancora oggi non conoscono arresto. Arriviamo tardi per i primi tre opener: i gloriosissimi Skanners, In.Si.Dia ed Hell e ci tuffiamo a piè pari nei death europeo degli olandesi Asphyx che in un interessante melange di sludge macilento e accelerazioni mortifere riportano alla mente quel glorioso periodo a cavallo di ottanta e novanta dove la scuola olandese (Pestilence e Gorefest su tutti), stava per balzare davanti a quelli che, a breve, sarebbero diventati classici del genere. E ancora, back from the grave, i Loudness, per certi versi gli Scorpions del sol levante: la band di Akira Takasaki, tra alterne fortune, dal 1981 ad oggi non ha mai mollato né si è persa per strada. Certo i fasti di Thunder In The East sono lontani, ma il loro lavoro lo fanno e non devono rendere conto a nessuno. A seguire, rispettando un runnning order a dir poco ferreo, sulle note della gloriosa The Ultra Violence attaccano i vecchi leoni della bay area: Death Angel. Anche loro, tra il già citato esorColony OA day1 Death Angeldio e Frolic Through The Park per un certo periodo sulla fine degli anni ottanta furono ad un pelo dall’entrare di diritto tra i big four. Il resto è storia. Della formazione originale (i cinque membri di origini filippine erano tutti imparentati tra loro) restano solo Mark Osegueda alla voce e il virtuoso Rob Cavestany alla chitarra solista. Spettacolo poderoso, stringato dentro i sessanta minuti come praticamente ogni band del festival, ma che non fa prigionieri ed ammalia anche i più freddi con un thrash midtempo per nulla datato, ma anzi più in voga che mai. Il pubblico nonostante l’ora (le cinque del pomeriggio) è presente e reattivo. Altro rapido cambio di strumentazione ed arrivano quelli che, a mio giudizio, erano i più attesi della giornata e cioè i nuovayorkesi Demolition Hammer. Band dispersa ingiustamente a metà degli anni novanta (con solo tre album all’attivo) per la tragica scomparsa dello storico batterista Vinnie Daze. Il roccioso e primordiale thrash venato death è sempre accattivante e non ha perso un grammo in potenza e lucidità. L’audience si scalda e risponde, conoscendo perfettamente i pezzi, seppur senza scatenare il classico moshpit d’ordinanza. In scalata verso la vetta entrano i tre leoni canadesi Exciter che dopo decine e decine di cambi di formazione si presentano con l’assetto originale dei primi tre album: John Ricci, Allan Johnson e l’immarcescibile batterista cantante Dan Beehler. Con oltre centocinquanta anni in tre, la band inanella un classico dopo l’altro: Heavy metal Maniac, Cry Of The Banshee, Violence & Force ed è un gran godere, inutile negarlo! Certo, il sound non esce cristallino, fatto in questo caso non particolarmente penalizzante considerando l’assalto frontale e senza fronzoli dei tre decani. Continuando con la Colony OA day1 Sacred Reichfortunata soluzione delle formazioni originali arrivano i Sacred Reich, alla seconda calata italica della loro storia. Certo Phil Rind fisicamente non è in formissima, somigliando più a un notaio in pensione che ad un agitatore di masse virulente, ma rimane un uomo di mestiere, simpatico, affabile e che sa conquistarsi la simpatia del pubblico che obbiettivamente è di fascia anagrafica abbastanza alta (trentacique/cinquanta) tra “rimasti” degli anni ottanta e metallari del nuovo millennio. I classiconi del quartetto di Phoenix arrivano tutti: Death Squad, American Way, Surf Nicaragua, Independent e una meravigliosa interpretazione di War Pigs. Benché estremamente professionali (suono, luci e scene) i finlandesi Wintersun sono stati a nostro avviso l’unica band poco azzeccata della giornata. Questo principalmente per il fatto che il loro death sinfonico poco si addice all’atmosfera revival della prima giornata del Colony Open Air. Lo show è ineccepibile e Colony OA day1 Kreatorcollaudato e benché presentino il nuovo album The Forest Seasons (uscito il giorno precedente su Nuclear Blast) non riescono ad inserirsi nella magia unica e rara della giornata. Poco male, tutto il pubblico, anche se provato dalla lunga giornata, non vede l’ora di vedere Mille Petrozza e Ventor calcare le scene, ancora insieme dopo oltre trent’anni. Certo i tempi di Pleasure To Kill sono ben lontani, ma i Kreator picchiano sempre duro, chirurgici ed aggressivi come pochi. Oggi come oggi forse sono più vicini ad Arch Enemy che ai Sodom, ma la longevità spettacolare, sappiamo bene, consiste proprio in un perpetuo tentativo di rinnovamento che mi pare gli alfieri della triade teutonica abbiano sempre cercato di portare avanti. Ovviamente con successo. Lo show scorre via d’un fiato tra vecchie hit e nuovi pezzi dell’ultimo (bello) Gods Of Violence. In un ultimo boato finale, il pirotecnico show della band manda tutti a casa. Distrutti ma felici. Horns up sempre e comunque.

 

fotografie di Stefano Vella