Big’n – Discipline Through Sound 25 (Computer Students, 2022)

Ok, ok, ok. 1996.
Chicago, ILINOIS, Big’n, Discipline Through Sound.
1997-2001, inizia la mia vita oltregottardo, Sarnen prima e Lucerna poi. A Lucerna ci sono un paio di negozi di dischi, in un di questi ci lavora Reto Burrell, musicista folk che riscoprirò anni dopo. In quel periodo acquisto diversi dischi, in qualche modo minori, che mi rimarranno nel cuore.
Steal the Jet Keys dei The Trans Megetti, Black Black dei Chokebore, TSS dei The Secret Stars, Influx degli Spanakorzo.
E questo. Penso seriamente che quest’ultimo disco non sia uscito in nessun mio discorso musicale da allora ne con i miei fratelli ne con i miei amici. Ritrovarlo 26 anni dopo ristampato e riconosciuto come pezzo importante di quegli anni, beh, mi fa salire un sorrisone. Scopro anche che il fratello di Todd Johnson, Al, è quell’Al Johnson di Shorty ed US Maple, una delle mie band preferite di tutti i tempi.
Un piacere ributtarcisi, i ritmi sono matematici e sporchi, le urla partono da pietanze hardcore ma grugniscono come i Pere Ubu, Chicago si sente moltissimo ma è come se fosse rimasta sotto una coltre di pioggia e nebbia, con una rabbia che destabilzza e che allo stessa maniera unisce chi suona e chi ascolta. Scopro moltissime cose grazie a questa ristampa di Computer Students, creatura di Julien Fernandez (già con Africantape, Chevreuil! e Five Roses Press) che già nel 2011  e nel 2018 diede alla luce altre due produzioni dei Big’n, il 10 pollici Spare The Horses ed il 12 pollici Knife of Sin.
In questa riedizione in doppio LP troviamo ben 79 minuti di musica, oltre all’album originale abbiamo infatti 5 demo dalle medesime sessioni, 4 pezzi provenienti da uno split con gli Oxes (altro gran bel gruppo di manici scellerati) e due outtake del 1998. I suoni sono spettacolari, il basso slappa elastico (sentite Dry, una bellezza vera) il cantante urla tanto da sembrare lungocrinito, la batteria è praticamente a 30 cm da noi tanto è casalinga, la chitarra viene a tratti accarezzata ed a tratti martoriata. A riascoltarlo si leggono in nuce un sacco di idee e di istinti bradi che furono mutuati da molto math e noise rock dell’epoca, ed avendo loro esordito ben 4 anni prima con due singoli, Hoss e Godawful b/w Smallgiant (Fake Santa) ci fa capire a che punto già stessero. Vista l’ampiezza della raccolta (si va da pezzi maggiormente atmosferici alle aggressioni luciferine dettate dal frontman e vocalist William Akins, spesso nel medesimo brano), ci si può mettere ben comodi, sfogliare il prezioso booklet della lussuriosa confezione per leggere le dichiarazioni dei Big’n medesimi, di Steve Albini che curò le registrazioni di questo disco al Chicago Recording Company e dell’inclusioni dialcune prime registrazioni del disco, quelle curate anzitempo da Dave Zuchowski e che da lui stesso vennero distrutte una volta scoperto l’approccio ad Albini senza che ne fosse stato messo al corrente. Più sporche, più becere, più brade. Tutta roba ottima che fa crescere ancor più l’immaginazione sulla forza dirompente che poteva avere allora un progetto come i Big’n.
Con King of Mexico si fa un passo in avanti, siamo nel 1999, il suono è ancora più ottuso e macilento, la voce è scomparsa, il suono opprime senza deflagrare, quasi constringendo se stesso. Chiudono questa chicca due outtake targate 1998, Like a Killer a randello, come degli Slint incattiviti in una fonderia, Missouri Boat Ride si accende senza mai partire, come se brutalità e violenza non sapessero loro stesse dove sbattere la testa.
Bevetene tutti.

Salute.

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