An Moku – Rundum Zürich…

An Moku è l’alias dietro il quale agisce Dominik Grenzler. An Moku, in giapponese, significa “tacito, non detto, implicito”. Capiamo quindi da subito quanto il silenzio possa essere importante nel suono di Dominik. Classe ’77, nasce nel nord della Polonia, a Danzica, per poi spostarsi in Germania ed infine in Svizzera, a Zurigo, dove tutt’ora risiede. Da circa dodici anni è co-proprietario insieme a Sara Hochuli di un caffè e pasticceria, Miyuko (www.miyuko.ch), le quali creazioni sembrano vere e proprie delizie per gli occhi oltre che per la gola!

Per la stesura di questo articolo introduttivo ho chiesto a Dominik da quali album avessi dovuto iniziare ad esplorare nelle sue orbite più recenti, partendo poi per una beata tangente e scoprendo altro, sul quale ho iniziato a scrivere. In primis perché, oltre alla musica in solo gran parte delle produzioni di An Moku sono collaborative e fra di loro ho trovato diversi cenni ad ambienti e musicisti a me conosciuti, sopratttto per quel che rigurda una discorso linguistico e di vicinanza. Mi sono quindi permesso di rilassarmi viaggiando qua e la, in quel che vuol essere una breve presentazione di un personaggio parecchio interessante.

Per quanto riguarda la musica il mio primo approccio con Dominik (scoperto poiché proprietario di EndTitles, label zurighese produttrice di Transit, ultimo album di Joan Jordi Oliver) è con Less, album uscito su cassetta per Puremagnetik, label di New York con un’incredibile linea grafica specializzata in suoni sperimentali e vendita di strumentazioni quali devices, synth, vocal machines e quant’altro. Attenzione, entrando nel loro sito rischierete di non uscirne più tanto è mirabile il suo aspetto (ho il vago sospetto che le nostra scorribande ci porteranno anche da Micah Frank, deus ex-machina di queste etichetta, per capire cosa si celi dietro queste chicche grafico-sonore). Ma torniamo a Less, siamo dalle parti di un suono ambient elettro-acustico, elgante e riflessivo, suonato grazie ad un basso elettrico, pedali, vinili e fields recordings. Dominik accosta i suoni di questo disco alle nature morte di Giacomo Morandi, al loro apparire davanti ad occhi ed orecchie, con un fare materico e gravido. In realtà mi riesce più facile accostare questi suoni alla polvere spazzata sulle nature morte del Morandi, quasi fosse un sedimento che l’aria e gli eventi trasportino sugli oggetti e sulle orecchie.

Quando prende potenza il suono e bruciato e psichedelico, ad ampio respiro, spaziale nel senso di presa di possesso dello spazio e della superficie, in espansione.

Meno, implicito, tacito. Ascoltando il suono di An Moku si ha la sensazione di un doppiaggio della propria realtà, quasi che i nostri movimenti vengano riletti da un musicista anni ’30, con una grana grossa e riconoscibile, un attenzione al colore del suono che ecita, nonostante le stasi, qualsiasi freddezza o rigidità. Ci sono scale di umanità e di calore dentro a queste composizioni ed il riferimento di Dominik all’ascolto di parecchio materiale sonoro legato all’Hauntology lo avvicina in effetti ad una simile esperienza di sfasamento temporale. L’impressione, nell’ultimo brano, Absent, di ascoltare una chitarra che suona sopra un disco svasato, fa da cornice a questo nostro primo approccio. Per continuare mi sposto a sud, fino a Firenze, città dove da diversi anni opera Nàresh Ran Ruotolo, mente dietro Dio Drone. Con questa entità produce a Dominik un nastro insieme a Blakmoth dal Maryland (dimostrando buon gusto ed amore per la musica polacca, non so chi si ricordi di quella chicca che fu Scindite del gruppo omonimo, ormai del 2015). Qui i suoni si fanno decisamente più torbidi, in una collaborazione a distanza dettata dal rispeto reciproco e dal non volersi corpire ma bensì lasciare un aura sacrale alla destinazione di questo Mycrodemistification. Quasi una pasta sonora che va a ripulire da ogni pregiudizio e preconcetto grazie a grani e turbine. Ombreggiature e scrosci determinano un’oscurità di fondo che però sembra essere tale per la mancanza di corruzione, quasi una verginità terrigna che i suoni dei due musicisti vanno ad osannare, dove cracks e drones sembrano null’altro che pioggia e vento. Potremmo essere dalla parti di the Wicker Man se il tempo fosse volto al brutto e l’isola sotterrata dalla pece, più le parti avanzano più il peso appare imponente, i minutaggi si dilatano ed i colori si scuriscono, sotto una pioggia sempre più fitta. Dando prova di equilibrio, e riallacciandosi alla sacralità, il penultimo pezzo (una suite di dieci minuti circa intitolata Every Start) ci trasporta in dimensioni aeree, con quello che sembra un crepitio di un fuoco e dei frangenti che mi hanno ricordato le atmosfere più meditabonde dei primi Giardini di Mirò reiterate all’ennesima potenza, che quasi si intravede il ghigno dei due dediti alla circolarità sonora. Si chiude quest’avventura isolana con un ritorno sulla terraferma, pioggia e folate di vento a riempire le vele, avanti tutta.

Siamo all’ultimo shot, con un disco uscito alla fine del 2020 per una piccola etichetta giapponese, la bull flat 3.8, condiviso con Joel Gilardini, già in Mulo Muto con Attila Folklor ed in diversi lavori collaborativi (con Paolo Bandera, KK Null e molti altri). L’occasione per questa collaborazione si formalizza grazie alla Maratona della celluloide, un festival dedicato al cinema muto con colonne sonore suonate dal vivo, svoltosi a Zurigo nel dicembre del 2019. Dominik e Joel iniziano ad improvvisare insieme non sapendo che tipo di materiale video sarà loro assegnato, facendo chilometri onde costruire affinità ed automatismi per prepararsi alla prova. La loro assegnazione consta di tre cortometraggi della regista Maya Deren, Meshes of the Afternoon del 1943, At Land del 1944 e Ritual in Transfigurated Time del 1946. Statunitense di origini ucraine, la Deren sperimenta diverse tecniche di sovraesposizioni di pellicola e con la figura femminile, elemento centrale nella sua opera. Il suono di Dominik e Joel appare salmastro e meditabondo, originando dei tappeti sonori che anche senza immagini riescono a corollare trasporto e tensione dei personaggi e degli elementi in causa. Sferzate, rintocchi, colpi di luce. Venti.

Tre lati di un personaggio che sicuramente merita attenzione e che sembra avere parecchie frecce nel suo arco, sia come musicista che come produttore artistico. Fate come noi, stuzzicatevi con An Moku, con EndTitles e con un altro scorcio di musica che, partendo da Zurigo, viaggia ovunque seguendo il lato più discosto ed intrigante…