Alice Kundalini & Luca Sigurtà – Love, Noise and Yoga

21:17 di un qualsiasi sabato sera. Ho appena chiuso un’operazione economica virtuale che in un paio di settimane porterà dal mio basista di fiducia, Fabrizio, edicolante insubrico, due pacchetti, quantomeno sospetti. Conterranno il frutto delle fatiche di una coppia, Alice e Luca.

Luca è Luca Sigurtà, mentre Alice è Alice Kundalini.

Conosco Luca da circa dieci anni ed Alice da sette, e la loro unione mi sembra una di quelle storie su cui un domani un regista illuminato potrebbe costruire un biopic di tutto rispetto. Il titolo? Love, noise and yoga ovviamente. Matrimonio a Las Vegas, carriere artistiche soliste solide e collaborazioni fra di loro di tutto rispetto.

Il primo ha recentemente pubblicato Propoli Kiss su Suoni Possibili, una nuova etichetta indipendente devota a musica classica contemporanea e musica sperimentale. Promuovono album basati su ricerca sonora, musica creativa, esperienze elettroniche. Accettano demo. Suoni Possibili è stata recentemente fondata da Luca medesimo insieme a Sergio Sorrentino (chitarrista vercellese che ha appena pubblicato un pregevole dischetto condiviso con Loren Connors) e si prospetta come realtà dalle basi solide e dai gusti ineccepibili.

La seconda invece incide da sempre come She Spread Sorrow per Cold Spring Records, etichetta fondata più di 30 anni fa da Justin Mitchell (attivo come Satori e membro del Thee Temple Of Psychic Youth). Ci ha inciso 4 album dal 2015 al 2021, con una costanza ed un rigore inappuntabile.

Alice e Luca sono una coppia dal 2014, si sono conosciuti grazie alle musiche tra le più belle del mondo. Tra i loro due mondi sonori ci sono moltissime differenze. Luca Sigurtà fa musica pop, She Spread Sorrow catarsi sonora. Scritta così sembra di trovarsi fra Franco Califano e John Duncan, no, ma le vibrazioni che ci arrivano sono comunque molto differenti. Luca ha via via affinatò un taglio di musica sperimentale seducente e che abbraccia l’ascoltatore, con diversi ritmi gommosi e tenui, giocando talvolta anche con delle voci e dei ritmi seguibili ed assimilabili, prima che sveli la ricercatezza e gli strati che compongono la sua ricerca sonora. Alice al contrario è in grado di tenerti per mano dalla prima all’ultima traccia dei suoi dischi, mostrandosi altra al termine del percorso, durante il quale non osi volgere lo sguardo al suo viso per non interromperne la sacralità della via.

Insieme, con il supporto di Daniele Delogu della Barbarian Pipe Band (furioso ensemble biellese dedito all’utilizzo di tamburi e cornamuse come armi di gioia) hanno creato nel 2017 Junkie Flamingos, trio che definire lynchiano forse non è sufficiente. Magnetici, storti, dai quali non riesci a staccare le orecchie. Tra gocce di narcotici, ricami vocali e vibrazioni che ti abbracciano, facendoti drizzare i peli sulla schiena. Il loro disco del 2019 ( Lemegeton Party, uscito per la Helen Scarsdale Agency) sembra essere programmatico ed indispensabile per entrare in una loggia segreta.

Ma comunque, passiamo in rassegna i loro lavori più recenti.

Propoli Kiss intende celebrare lo show anni ’90 MTV Chill e ci immerge in quel che sembra essere un liquido amniotico variopinto, con degli strati cromatici standar, viola arancio giallo  e verde azzurro bianco, a linee orizzontali. Sagome in movimento sullo sfondo, in una trasmissione che sembra essere una Videodrome filtrata San Junipero. È un ambito parecchio delicato, ma proprio sul confine si defininisce il talento di Sigurtà, che sviluppa un percorso di scoperta, quasi a tappe, di questi mondi immaginifici. Ci si cala nello schema quasi guidati da un oscuro master, che party over, la testa balocca ma i brividi scorrono sulla schiena. Come un Dr. Phibes con le maracas ed un animo hip-hop. Con Alphabender invece gli angoli si fanno tetri e sconnessi, tra cali di tensione e ritmiche veloci ed animate. Una dissociazione fra mood mentale e fisico molto interessante, mentre l’orizzonte sembra farsi via via più chiaro e consolante. Poi, e qui chiedo veramente un momento di attenzione, il brano che toglierebbe le castagne dal fuoco a milioni di registi. Avete presente le parti di films in cui viene mostrato l’aldilà, sobrio ma pieno di speranza, stile prateria assolata (Amabili Resti di Peter Jackson per dire il più eclatante)? Scene imbarazzanti con musiche inadeguate ed indifendibili? Prendetevi Summer ’88, sembra essere stata scritta apposta per quello, ci sono i guizzi, i ralenty, permetterebbe ogni vezzo ed è composta come dio comanda. Ci si addentra poi in quello che sembra essere un narcotico dub plastificato, palme finte e tramonti viola sullo sfondo, per uno sfiancante fine giornata in un mondo sintetico ma affascinante. Gli ambienti si mantengono in questa sorta di mezza via, tra dualismi che sono molto reali più simbolici. La realtà e la ricreazione della realtà, con una tecnica allora più rozza ma che assoggettava il pubblico abbassandone le difese e rendendolo bidimensionale, in maniera da poter entrare in un flusso comunicativo con il tubo catodico. Scintillante seduzione che rende ebeti e sorridenti, quanto di meglio si potrebbe chiedere ad un’artista pop, che gioca e fa giocare il proprio ascoltatore con lui.

Stop, cambio.

Huntress è una storia a due. Abbiamo una cacciatrice ed una preda, un mondo onirico, ossessioni e seguiti. L’atmosfera è plumbea e sta a noi calarci nei personaggi, scegliendo da che parte stare. Alice compone ma forse esorcizza i propri incubi quindi abbiamo un lato di oscurità che la musicista sceglie di lasciarci per non delineare troppo il nostro ascolto. C’è della pece, della gomma e del frullio di pale, ronzii. La voce di Alice, che è una delle più intense e spaventose che abbia mai sentito, una lama tra il collo e le orecchie, quando abbozza parole sotterrate dal suono non lascia presagire nulla di buono, anche se il continuo agire dei rombi e delle vibrazioni sembra rischiarare gli orizzonti. Ma è un gioco di specchi, una delle due figure sta tenendo il gioco anche se non mi sento di propendere per l’una o per l’altra. A tratti cresce la rabbia, a tratti l’accortezza nel gestire il conflitto, a tratti scariche di suono che sembrano essere generate da un propulsore o da fucilate a bassa intensità, quasi che le spire sonore debbano riempire l’ambiente circostante fino ad impastarlo invece che cercare di risolvere la situazione dalla lunga distanza. Quando d’un tratto la voce sembra entrare pulita e comprensibile vengono i brividi. Inside, mantici iniziali ed una nenia che sembra essere malefica da tanto è suadente, sembra che il contatto sia avvenuto e che le mani della predatrice stiano stringendo e disfacendo la preda, mentre il sangue non scorre e lo scollamento fra sensazioni e risultato è tangibile. Parasomnia ci prende per mano e ci costringe ad un finale al quale non vogliamo assistere. Non siamo più in gradi di distinguere fra reale ed immaginario, fra sogno e realtà, tanto l’atmosfera è stata cucita ed imbottita. Chi ci sta parlando? Perché cercare un senso in parole che non sono in grado di darci altro che paura ed ansia? Perche stiamo ancora ascoltando? Perché non posso svegliarmi? Non esiste verosimilmente nessun altro, maledetta mente, siamo noi stessi a torturarci, a cercare di svegliarci da questa condizione in cui sembriano non essere più in grado di scuoterci e di ascoltare la nostra coscienza, ma il suono non ci da tregua ed i trapani, uniti alle percussioni ed al metallo sferzano questa immobilità dandoci forse la speranza di un climax oltre al quale tutto potrà finire. È fatta, non sappiamo chi abbia vinto ma qualcosa è stato ricacciato altrove, o forse siamo soltanto riusciti a parlarci allo specchio.

Questo ultimo disco, Huntress, ha avuto una genesi travagliata. Scontratosi con il primo lockdown ha lasciato Alice in un momento senza possibilità di catarsi e di messa in pratica. Ha quindi deciso di concentrare le sue energie nello Yoga e nella meditazione, approfondendo i suoi studi e formandosi per l’insegnamento. Lo scontro con un tipo di mondo (a livello sonoro) permeato da stereotipi new age però non poteva che creare scintille. Pe rcercare di dare un giusto vestito alle proprie pratiche nasce quindi l’idea di sposare le sessioni ad una musica ambient fatta ad hoc per questo tipo di esperienza. Del resto, cosa più del suono può guidare il corpo in sensazioni e viagi pur rimanendo fermi? Le frequenze possono scuotere e far digrignare i denti, creare moti di fastidio e di pacificazione, cullare, addormentare e risvegliare. Nasce così l’idea di Waves Of Meditations: Luca suona, Alice respira, utilizzando la sua voce in maniera onirica e rarefatta. I partecipanti, che finalmente non sono iù pubblico ma parte attiva nel viaggio, si lascia traghettare e si unisce nel viaggio con i diversi componenti. A volte questo viaggio viene ampliato, includendo anche altri musicisti entrando a tratti in una meditazione dinamica con grida, movimenti frenetici, cadute nell’inconscio ed una voce che ti porta nel buio. Le esperienze sono esclusivamente dal vivo ed il pubblico è composto sia da persone che conoscono Alice come docente Yoga e già praticano o da novizi, che conoscono la coppia come musicisti e si ritrovano proiettati in un nuovo mondo. Tutto questo comporta l’unione di soggetti ben differenti, dalle signore che meditano agli adepti del noise a più livello, che vanno però a condividere un altro livello di esperienza. Se partendo dalla meditazione infatti questo tipo di viaggio è laterale, perché guidato con un altro occhio ed un’altra attenzione al suono, partendo dalla musica l’impatto è straniante perché porta un pubblico mediamente preparato a condividere con sconosciuti e sodali un’esperienza intima e straniante, in cui il singolo si mette in gioco, arrivando a denudarsi di ogni tipo di sovrastruttura. Non è uno spettacolo ma un’esperienza, l’apparenza non esiste visto che per la maggior parte del tempo si rimane ad occhi chiusi. Qualcosa di tangibile rimane, una vera e propria caduta nel suono e nell’atmosfera che, in moltissimi casi, è ormai negata ad un pubblico mediamente curioso ed interessato. Personalmente, ripensando a 25 anni di concerti, sono 4/5 quelli che mi hanno lasciato un impatto fisico, un rimescolamento ed un coinvolgimento tangibile a livello viscerale, che ancora mi ricordo. Rispetto alla fruizione di un concerto queste sessioni di meditazione lasciano i partecipanti aperti, con un vissuto pulsante ed in elaborazione, nudi rispetto al proprio io interiore ed alle persone accanto alle quali hanno appena vissuto questo viaggio. Un viaggio che forse si può parificare ad altre esperienze sonore che riescono, mischiandosi ad altre arti, ad aprire la nostra percezione e ad entrare nel qui ed ora sonoro. Mi viene in mente, ma è un collegamento dettato dalla conoscenza degli artisti in gioco più che dalle sessioni vere e proprie, il progetto Body of Reverbs, dove il segno tangibile, dell’esperienza, finisce sulla pelle, grazie ai suoni di Alberto Brunello ed ai tatuaggi di Michele Servadio. Sono viaggi che anni fa diversi musicisti e spettatori gestivano anche e soprattutto con l’ausilio di sostanze mentre ora il primo passo sembra essere quella della partenza dal proprio Io per liberarsene, in un tragitto che dalla lucidità porta ad un’apertura proprio abbracciando il suono, il viaggio, rifrangendosi come onda sonora.

Che dire? Il consiglio spassionato è quello di approfondire il range delle esperienze che li vede coinvolti, partendo dai dischi ed andando oltre, magari con i prossimi appuntamenti in programma, dal 14 al 17 luglio al a Cascina Bellaria (Sezzadio, AL) ed il 31 luglio a Perugia. Per il biopic si vedrà, servisse un sosia di Elvis per officiare ed una crew per musica ed intrattenimento al matrimonio noi di Sodapop non ci tireremo certo indietro…