La lunghezza non è tutto #1

Primo appuntamento, per segnalare uscite interessanti, brevi o limitate, che in qualche modo ci piacerebbe raggruppare qui. A monte è doveroso ringraziare gli autori che mi ispirarono in questo cimento, ovvero la beata coppia Stefano Pifferi ed Andrea Napoli per il loro Gimme Some Inches su Sentireascoltare e le scorribande senza titolo di Nicola Giunta su The New Noise. Perfetto, ora, punto ed a capo.

Ricordate gli Smile? Torinesi, jangle rock bello bello, omonimi del progetto di Thom Yorke? TAAC. Hanno cambiato nome, ora sono i the Wends e continuano a farci sentire come se stessimo nel nostro giubbottino di jeans dei 19 anni. Freschi, sporchi il giusto, trascinatori senza essere pesanti, intensi senza essere vecchi. Produce Subjangle Records from South Africa, che già spinse Grand Drifter, quindi il buon gusto è assicurato. Singalong, un inno che ci si attacca alla pelle sin dal primo ascolto (The Way We Die Tonight) e la certezza che non saranno mai grandi perché lo hanno scelto loro. Quando partono quelle chitarre (e partono spesso) le teste ondeggiano e si accenna anche qualche momento di air drums con le mani. Dischetto da non sottovalutare, soprattutto se doppiato du una TDK. 25:28.

Kaczysnki Editions torna con due split su nastro. Nel primo una fantomatica orchestra (Kaczynski Unexpected Quartet) si sbizzarrisce tra piano, archi, scrocchi ed una dinamica asata su un tenue equilibrio molto intrigante, come il suono si sfilacciasse riuscendo a tenere insieme il proprio nastro. Poi arrivaiano i maiali e tutto cambia, il suono si fa più dolente nel suo essere disordinatamente ambientale. Suoni e parole vanno a scatti, perdiamo bandoli e fili, abbandonandoci a correnti ascensionali e peripatetiche. L’accoppiata Ferrazza & Salis appare più granulosa, ostica e compatta. Lasciano fluire il suono ma sono scostanti, quasi minacciosi a tratti. Giocando con brandelli di suono, circuiti aperti e scariche elettriche ansiogene. 14:30 + 14:22.

Stacco, torniamo indietro, nell’adolescenza, anzi prima, infanzia al tempo dei denti da latte.

Milkteeth è l’ep di Suki Waterhouse che segue il suo debutto dello scorso anno. Voce, chitarra, compressori, spazi, voglia di urlare le proprie cose al mondo e stile, tanto stile. Suki è modella, attrice di una miriade di film dei quali, ho controllato ed è stato un puro caso, nessuno è passato sotto ai miei occhi, per cui mi posso basare soltanto su queste note. Wikipedia italia mi da una marea incredibile di informazioni sul suo conto, la più pregna delle quali riguarda la sua misura di scarpe (un bel 39). Bene fa Sub Pop a supportarla, Suki ha buon gusto, visione e stile a pacchi: colori pastello, voce calda, suoni bellissimi. I sei brani sono uno più centrato dell’altro ed andrebbero bene sia come colonna sonora per le feste di natale che per una serata romantica in cui proverete a circuire il vostro partner cucinando dei gustosi biscotti. Penso scopriremo soltanto in futuro quanto la musica possa essere una priorità nella vita di Suki, quel che è certa è la sua capacità di dipingere scene e ritratti in maniera accorata, talvolta briosa e talvolta intima. 18:28.

Corroborato da una piacente mistura di genepy verde fluorescente, vodka e tonica spengo la luce e faccio partire Formula degli Schonwald. Handclaps, sgrasi sonori, voce oltretomba tre metri dietro, registrati in una cripta di sicuro. Le chitarre mordono ma non c’è ombra di  tamarraggine anzi, si rimane sinuosi tra le braccia di Lilith e delle sue amiche. La formula è perfetta, sexy e dance, fumogeni, strobo e sudore, anni ’80 con un corpo, una densità ed una struttura. La voce di Alessandra Gismondi attrae ed ubriaca, noi balliamo ad occhi chiusi ma istintivamente la cerchiamo con i nostri corpi in movimento. 5 brani che ci lasciano senza tregua, sfatti, in attesa di un nuovo album. 20:10.

HSTNS (o Houstones come si chiamavano ai tempi che furono) scelgono la via singolare, dopo il loro primi due albums. Tre brani, aprile, giugno ed ottobre, alternanza di inglese ed italiano, aroma espanso ed aperto, quasi volatile, con spinte psichedeliche quasi dance nel primo Ittero, sostenuto da un tamburello ipnotico e dalla voce di Saul Savarino, che accompagnato da Joel Pfister e dai due “nuovi” acquisti Serena Maggini e Maurizio Cuomo hanno dato vita (grazie alla collaborazione con Marco Fasolo) di questo viaggio a tappe.

Adderall vede un piano puntellare una strana nenia desertica e grunge ed un andamento quasi rilassato e straniante.

Chiude (per ora, non abbiamo informazioni slle prossime tappe) Aristocrush, voci sfalsate di Serena e Saul, batteria e chitarra, tamburello, archi ed enfasi sofferta. 14:31.

Chiudiamo questa prima tornata di segnalazioni sempre a casa Kaczynski. Questa volta le copie stampate sono appe 15 ed i lati del nastro sono divisi fra Gabriele Barbarino e Raf Briganti. Il primo butta tutto in seek, brano da un quarto d’ora dove si alternano diversi scenari, ora più ambient ora percussivi, tra bulbi ed oscillazioni a diversi gradi di profondità. Sul finire sale anche una parte ritmica abbastanza regolare da giustificare anche qualche ancheggiamento. Il secondo ci trasporta in un antro cosmico e ritmico, sporco a sufficiente da non risultare asettico ma in grado di darci quella sottile inquietudine che ci porta a controllare dietro le spalle. Archi profondi, impianti dall’oltretomba digitale che sembrano condensarsi in voci…tappe di un viaggio che ci porta sempre più lontano, quasi aspettando il ronzio estremo, il rumore bianco o la deflagrazione. The Gadget però scema, lasciando a Thin Man il dovere di chiudere rubrica e pezzo. Lavora a stratificazioni, unendoci in un viaggio di sola andata verso lo spazio siderale. Senza urla, senza strepiti, seguendo un viaggio delineato ma non meno sorprendente di questo nastro. 14:57 + 15:01.