Il "non-plus-ultra" (pronunciato alla Colle Der Fomento) del pop eccolo qui racchiuso in questo Uzi & Ari, mi sembrava strano che fossero europei ed effettivamente leggendo su qualche sito (tanto i fogli di accompagnamento dei dischi non li leggo…) ho scoperto che non lo sono, quindi ecco svelato l’arcano di un suono che dopotutto resta americano.
Ora per iniziare subito con qualche nome, la voce ricorda molto vagamente alcune cose dei Sunny Day Real Estate o forse del lavoro solista del loro "mostruoso" cantante e questo quando erano un gruppo notevole e prima che la loro sezione ritmica passasse in forza ai primi Foo Fighters. Nonostante quanto detto per la voce la musica non è molto rock, anzi semmai direi che è "indie-poppettino" con qualche gingillume elettronico a contorno anche se nulla di lontanamente paragonabile alla perizia tecnica e rifinitiva di gente come i Notwist. Batterie semplicissime, molte casse in quarti quasi soft-dance, chitarre acustiche, piano, melodie a presa rapida e verve quasi emo, del tipo che potrebbe quasi essere la risposta yenkee al disco solista di Tom York dei Radiohead in salsa lo-fi/Caulfield (Caul…chi?!). Bambini in copertina, tutto come da copione tanto come un cadavero su una copertina di un gruppo crust, finalmente potrete nuovamente rimorchiare delle ragazzine delle superiori masterizzando loro qualcosa che non hanno mai sentito e che non sia Otomo Yoshide. Piacevole raffinato e patinato (pure troppo per i miei gusti), non si può dire che sia un brutto disco, anzi l’unica cosa da appunta è che manchi ancora qualcosa per fare il salto di qualità, magari solo il coraggio di essere definitivamente pop… che ne dite? E se ciò che ho scritto fosse vero? E se quello che mancasse ad alcuni gruppi indie fosse la stessa cosa che qualche tempo fa permise a Billy Corgan di far crescere il conto in banca? Ma non è che poi certo indie sia una scusa per non sentirsi sfigati di fronte alla superiorità manifesta di molto pop (Madonna e Robbie Williams ad esempio)?