The Mon: uno sguardo in continuo divenire

Del nuovo disco di The Mon – ragione sociale dietro cui agisce Urlo, bassista degli Ufomammut – vi avevamo parlato in sede di recensione, sottolineandone lo spirito di musica fortemente attuale e, al contempo, antichissima, capace di parlare alla parte più profonda di ognuno.
Gli ascolti successivi hanno però portato con sé nuovi interrogativi su un lavoro che si rivelava sempre più profondo ed oscuro e che richiedevano risposta: abbiamo quindi approfittato della disponibilità dell’artista per ripercorrere la storia di The Mon e approfondire aspetti musicali, contenutistici e visuali dell’ultimo lavoro. Ecco cosa è emerso…

SODAPOP: Non posso dire che The Mon sia qualcosa di completamente diverso da Ufomammut, esiste evidentemente una radice comune, eppure la forma è decisamente diversa. Cosa ti ha portato a creare The Mon?
URLO: La vita è breve, è un dato di fatto. Lo è in ogni caso, anche quando si vive fino a 80 anni. In un attimo ci arriviamo. A volte si perde così tanto tempo senza rendersene conto, gli anni passano e si comincia a sentire l’urgenza di fare tutto ciò che ci è sfuggito, che ci è scivolato addosso, ma che era dentro di noi da sempre. Ho cominciato a sentire il bisogno di fare qualcosa di mio, in solitaria, per mettermi alla prova e capire meglio me stesso dopo che con Ufomammut avevamo fatto uscire Snailking. Era un periodo di impasse, ci eravamo fermati dopo aver registrato Snailking nel 2000 ed erano passati quattro anni senza che accadesse molto, delusi dal fatto che per riuscire ad avere il nostro secondo disco fuori, ci fosse voluto tutto quel tempo. Così ho cominciato a sperimentare e ho scritto Lucifer Song e Astrodronaut, brani che finiranno nel terzo disco della band. Sono stati i miei primi brani, progetti che mi hanno spinto a lavorare a qualcosa di differente che si sarebbe poi sviluppato maggiormente con Farwest Zombee, che non ha mai visto la luce. Nato inizialmente da me, come mio primo progetto solista, si era poi sviluppato assieme a Poia, Lorenzo e Fede dei Lento.
Quando Ufomammut ha cominciato ad ingranare sempre più, il tempo per trovare una mia strada si è fermato. Sono passati quasi dieci anni prima che mi decidessi a portare a termine un lavoro personale dall’inizio alla fine.
Arrivato ad un certo punto, mi sono reso conto che con la band non avrei potuto sperimentare verso ogni possibile direzione, tre teste hanno ovviamente tre idee diverse e visioni della musica che a volte non collimano. Quindi ho iniziato a buttar giù qualche bozza, cercando di liberarmi dall’idea che scrivere musica dovesse essere solo per Ufomammut, ed è nato The Mon, con il primo disco Doppelleben.
Mi piace comporre di getto, mettere in musica l’emozione di un momento. E Doppelleben è nato molto in fretta, anche se poi ho impiegato ere geologiche per mixarlo e metterlo assieme…
Appena terminato ho cercato nuove soluzioni, mentre Ufomammut arrivava ad un punto di svolta con l’abbandono di Vita.
La pandemia ha cambiato ogni cosa, quei mesi passati in casa mi hanno spinto a cercare dentro di me, a guardare alle mie emozioni in maniera differente, più intima e per certi versi più “semplice”, immediata. The Mon è quello che sono realmente io, lo specchio in cui si riflette il mio essere, un momento di intima creatività sonora.

SODAPOP: Rispetto a Doppelleben e My Rotten Heart il suono sembra virare decisamente verso il folk, anche se le pulsioni elettriche ed elettroniche non vanno perse, danno anzi nuova linfa a una musica che, di suo, ha radici profonde. A cosa è dovuto questo cambiamento?
URLO: Non ho mai amato ripetere quello che faccio e, proprio perchè The Mon rappresenta ciò che sono, essendo, come tutti noi, un essere in continuo divenire, ciò che compongo cambia con il momento in cui mi trovo a vivere. Non volevo rifare un secondo Doppelleben che rappresenta un momento preciso della mia vita, che è finito, passato. Volevo scrivere ciò che ero in un altro istante e comporre qualcosa di più intimo, per certi versi più immediato e semplice, ed è nato EYE. Con questo disco ho fissato dentro di me un istante della mia vita. Ora sto già lavorando ad altri progetti e sono ancora differenti, legati al mio presente.

SODAPOP: In EYE gli ospiti lasciano il segno, ma non snaturano il lavoro, dando l’idea di una grande unità d’intenti. Come li hai selezionati e come avete lavorato? Li hai indirizzati in qualche modo o li hai lasciati liberi?
URLO: Gli ospiti di EYE sono artisti con cui ho condiviso il palco, con cui sono in contatto da anni e che ho sempre ammirato e rispettato. Ho lasciato loro la massima libertà, la mia curiosità era capire cosa avrebbero dato alla mia musica, cosa avrebbero aggiunto ai brani. E una volta ascoltati i pezzi con le loro parti mi sono emozionato tantissimo, è stato un momento incredibile.
Steve Von Till ha scritto il testo, cantato e aggiunto alcuni synth in Confession, rendendo il brano quello che per me, nella mia personale storia, è un punto di svolta. Lavorare con lui mi ha insegnato molto, mi ha dato una visione differente di come approcciarsi alla composizione.
Colin H. Van Eeckhout ha scritto il testo e cantato per la seconda volta in un mio disco e la sua voce è così unica che ascoltare To The Ones mi riempie il cuore ogni volta.
Sarah Pendleton, artista che seguo e conosco da anni, ha suonato il suo violino in tre pezzi, dando loro una nuova forma, creando un’atmosfera unica.
Dave W. (White Hills) ha portato una sorta di velata psichedelia nei brani in cui ha firmato gli assoli. Infine, ho cantato The Secret con Francesca, la mia compagna, che ha creato la sua linea melodica dando un senso nuovo al pezzo.
È stato molto importante condividere con questi ospiti i miei pezzi, mi hanno aperto la mente, dandomi prospettive differenti e nuove per me. Spero sia qualcosa che si ripeterà in futuro, è molto importante continuare ad imparare nella vita e questo scambio è stato davvero istruttivo.

SODAPOP: La copertina di EYE rappresenta un occhio. Occhio che però è più simile ad un pianeta che ad una parte del corpo, quasi a rappresentare un personale mondo, svelato od interiore. Quanto la musica di EYE guarda al proprio interno e quanto invece è testimone dei tuoi incontri e delle tue relazioni?
URLO: Quando ho iniziato a pensare alla copertina del disco, ho ragionato all’idea del “terzo occhio”, quella parte della mente che è in grado di vedere oltre i nostri confini fisici, quella capacità che abbiamo, come esseri umani, di immaginare, di sognare, di partire dal nostro interno per arrivare chissà dove fuori da noi stessi.
Volevo che la copertina rendesse l’idea di un qualcosa che fosse umano ma legato all’infinito dei nostri pensieri e, guardando la foto macro di un occhio, ho pensato ad un “occhio spaziale”, una stella/pianeta che si dispiega nell’universo di noi stessi. Iniziando a disegnare la copertina, lentamente ho sviluppato quell’immagine che rappresenta il disco. A copertina chiusa è un occhio, mentre aprendola si scopre che è una sorta di cometa/pianeta/asteroide nello spazio. Può sembrare anche un essere planctonico, una sorta di medusa spaziale…
Durante questi ultimi anni, tante cose sono cambiate e sono stato testimone di così tanti accadimenti, sia personali che generali, nel mondo esterno, e l’occhio è ciò che filtra tutto ciò che accade prima di passare le informazioni alla mente. EYE è un disco molto intimo, un raccoglitore di ciò che è stata la mia vita nel bene e nel male negli ultimi cinque anni. EYE è una parola palindroma, bifronte, il suo significato è lo stesso comunque la si legga.
Una piccola curiosità riguardante la scritta di EYE, così come appare sul disco: è un emblema che rappresenta il mio microfono, uno Shure SH55 che possiedo da sempre e che mi ha accompagnato nella mia avventura musicale.

SODAPOP: I Mon sono emblemi giapponesi che indicano persone e famiglie: graficamente il tuo emblema è rappresentato da due triangoli incrociati e la scritta, nella quale salta all’occhio una croce. C’è qualche richiamo simbolico in questo? Passione, espiazione, speranza?
URLO: Ho sempre amato giocare coi simboli. Da sempre, disegnando con Malleus, il collettivo artistico di cui faccio parte (www.malleusdelic.com), ho cercato di fare nostri tantissimi simboli, cercando di staccarli dal loro significato e portandoli verso un significato differente, che si adattasse al contesto in cui erano utilizzati, integrandoli visivamente nella grafica. Il nome “The Mon”, oltre ad essere un gioco di parole (DEMON), è anche ispirato ai Mon giapponesi, come hai giustamente notato.
La scritta è un insieme di simboli che danno vita al nome The Mon. I due triangoli sul retro rappresentano gli elementi (l’acqua e il fuoco), la E rappresenta i tre livelli della psiche (inconscio, il preconscio e la psiche), la O rappresenta la luce e l’Oroborus, mentre la T, da cui tutta la scritta si dipana, è una croce. La croce, oltre ad essere un simbolo geometrico, prende il nome dal latino crux, che era uno strumento di tortura attraverso cui si espiava un peccato. La croce è un simbolo presente sin dall’antichità e rappresenta anche la rinascita. Nel caso di The Mon è il punto di partenza da cui tutto il resto si compone, il momento di espiazione da cui il simbolo nasce.

SODAPOP: Nei testi ci sono temi ricorrenti – il muoversi su un asse verticale, sia che porti verso l’alto (The Sun, Secret) che nell’abisso (Confession, This Dark O’Mine) – e parole e concetti che tornano spesso (heart, blood, breath,… ), eppure i testi non sono solo opera tua ma anche di alcuni degli ospiti: c’è un concept che vi ha guidati?
URLO: No, non esiste un concept. Ho lasciato totale libertà a Steve e Colin. Mentre tutti gli altri testi sono opera mia. È un album molto scuro, lo è la musica, fondamentalmente. E di riflesso le parole che ne scaturiscono. Credo che liberarsi dai pensieri più nascosti, dal dolore e metterlo in musica sia molto importante per poter affrontare l’esistenza, in un mondo che è sempre più cupo, ricco di costrizioni, regole e paure.

SODAPOP: Sempre riguardo ai testi: il tono è piuttosto scuro per tutto il disco, il finale è però affidato a due canzoni – Where e Pupi – che sembrano essere canzoni d’amore. C’è dunque speranza?
URLO: Where è una canzone d’amore per una donna, ma anche una “preghiera” per la morte.
Pupi è dedicata alla mia gatta che è stata con me 18 anni e se n’è andata un paio di anni fa. È stato un brano che ho scritto di getto, il giorno stesso che Pupi è stata addormentata. Ho sentito il bisogno di chiudere il disco con questa canzone, perché è una dedica ad una parte della mia vita che se n’è andata con lei.

SODAPOP: Ultima domanda, inevitabile: The Mon esisterà anche come progetto dal vivo?
URLO: Sto lavorando ad alcune date in Italia per Ottobre e quindi vorrei portare il disco in Europa.
Non è semplice rendere il disco come “one man band”, ma è una sfida molto interessante. Anche perché alcuni brani non sono stati cantati da me.
Sono abituato a suonare il basso, a volte i synths, a stare dietro un microfono, ma mai ad essere solo sul palco. Quindi questa esperienza sarà strana, mi ci vorrà un po’ di tempo per ingranare.
Ho presentato il disco in una versione scarna, solo con chitarra acustica, a Maggio, a Milano all’Headbangers Pub. È stato qualcosa di veramente nuovo a cui, come dicevo, non sono abituato.
Sono molto curioso di intraprendere questo progetto che è più una ricerca su me stesso, per comprendermi meglio, capire aspetti della mia persona che non ho mai esplorato abbastanza e che ho bisogno di comprendere.

Le fotografie a corredo dell’intervista sono di Francesca De Franceschi Manzoni