Valerio Marras, aka S A R R A M è arrivato già l suo quarto album sotto questo monicker. Come il precedente è targato Subsound e l’etichetta non potrebbe essere la più giusta, che la puzza di zolfo è tangibile. In primis perché, da buon intenditore, invita a sé le migliori cantanti pagane della penisola, da Lili Refrain a Dalila Kayros, offrendo loro paludi e peci dove espriersi. In più coglie nelle oscure litanie di Sicker Man un sodale per tessere i suoi percorsi. Un malsano gorgo sonoro dove fumi vaporosi creano la corretta atmosfera per godere di questa musica. Un gorgo che, seguendo quanto descritto da Eschilo nel suo Agamennone, è il risultato del dolore che Zeus ha posto come legge valida per gli umani. Così Valerio, in un disco che ha la capacità di fondere fra di loro le tracce che lo compongono, riesce a declinare in intensità sonora, in fatica, in un risultato ottenuto con dispendio di energie. Sospende Zarola fra rintocchi di pianoforte, spedisce in India Korimai mentre seguiamo la voce femminile come ipnotizzati, ci ferma, affinché possiamo goderci a fondo una glaciale Slow Care, Heavy Wires che sembra trasformare lo slowcore dei tempi andati in pasta modellabile dalle sue mani. Calma, che abbassando il ritmo ci si accorge come la musica di S A R R A M si stia alleggerendo di brano in brano fino prendere il volo, fnendo in una liquida Long Live, Farewell, talmente caratterizzata sin dal titolo da ricercare fra gli autori le cerchie migliori di Chicago o di Boston. Ma qui siamo nel lungo inverno sardo, per scaldarsi solo l’ondeggiare dei corpi sferzati dal suono di Valerio.